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PA. FLP: “Serve un piano straordinario di assunzioni: con aumento di ⅓ dell’organico in tre anni, +10% di PIL per il Paese”

PA. FLP: “Serve un piano straordinario di assunzioni: con aumento di ⅓ dell’organico in tre anni, +10% di PIL per il Paese”

Fonte: Flp.it “Basta assunzioni tappabuchi, serve un piano straordinario di assunzioni”: così Marco Carlomagno, segretario generale di FLP, sindaca

Sciopero Ispettorato Nazionale del Lavoro
COME AFFRONTARE IL CONCORSO DELL’ AGENZIA DELLE ENTRATE? Scadenza 28 agosto 2023
Intervento del Segretario Generale della Flp Marco Carlomagno alla trasmissione “L’ Imprenditore e gli altri” su CusanoTV

Fonte: Flp.it

“Basta assunzioni tappabuchi, serve un piano straordinario di assunzioni”: così Marco Carlomagno, segretario generale di FLP, sindacato dei lavoratori pubblici e delle pubbliche funzioni, ha dichiarato questa mattina al tavolo di lavoro “Innovazione e politiche di sviluppo del personale”. Secondo una stima FLP, infatti, un aumento di ⅓ della forza lavoro nella pubblica amministrazione nei prossimi 3 anni comporterebbe un aumento del PIL per il Paese del 10%.

“Un grande piano di potenziamento dell’organico che si autofinanzia”, ha spiegato Carlomagno. Assunzioni, cioè, intese non come mero costo ma come investimento: un nuovo organico, più numeroso e competente, da un lato assicurerebbe maggiore produttività e una PA più efficiente e, dall’altro, genererebbe un naturale aumento dei consumi interni.

I nodi della PA. Un organico che oggi, a livello numerico, è sottodimensionato tra il 30% e oltre l’80%, che conta 3 milioni e 238mila unità (dati 2022 su 2021 RGS) e che negli ultimi 10 anni è diminuito di circa 37mila unità. Inoltre, il blocco del turn over alla base della riduzione del numero dei dipendenti pubblici, congiuntamente alle modifiche delle disposizioni in materia di accesso alla pensione, hanno rappresentato gli elementi principali che hanno determinato un significativo incremento dell’età media nel pubblico impiego. Infatti, a livello di anzianità, la PA italiana è passata in 20 anni – dal 2001 al 2021 – da un’età media di 43,5 a 49,8 anni (dati RGS). Se nel 2001 in tutti i comparti l’età media di uomini e donne non raggiungeva i 50 anni, e anzi ne era piuttosto lontana, nel 2021 si è varcata la soglia ovunque, a eccezione delle donne nel settore sanità. Questa la fotografia del settore pubblico scattata dall’ISTAT. L’aumento dell’età media è un problema che ne porta con sé un altro: quello della digitalizzazione, su cui infatti la Corte dei Conti ha stimato una carenza di 65mila professionalità tecniche, a fronte di una formazione necessaria ma che stenta a decollare. Oggi, in media, un dipendente della PA ha meno di un’ora di formazione all’anno e, nonostante l’annuncio del ministro Zangrillo sull’aumento della formazione a 30 ore/anno, l’obiettivo è difficile da raggiungere perché non ci sono le coperture economiche. La forte ritrosia delle burocrazie a investire sul lavoro agile e da remoto rappresenta un altro punto dolente e, infine, la questione delle retribuzioni, che nel pubblico, a parità di inquadramento (e quindi di responsabilità), sono più basse che nel privato, con percorsi di carriera ingessati e scatti di carriera difficili da ottenere, così come gli scatti economici differenziali. A tutto questo si aggiunge il grande tema del PNRR e la sottovalutazione dal punto di vista degli investimenti della strategicità della funzione della PA nella sua realizzazione. “Occorre integrare i fondi del PNRR, che sono stati visti esclusivamente da un punto di vista strutturale, con competenze, assunzioni di personale, innovazione e un radicale cambio di quei processi delle pubbliche amministrazioni ancora obsoleti, ancora legati a modelli feudali”, conclude Carlomagno.

FOCUS

Organico sottodimensionato. Secondo l’INPS, nei prossimi 10 anni, 1,35 milioni di dipendenti pubblici andrà in pensione, cioè fino a un terzo dell’attuale organico. Questo accadrà perché il 36% (1,35 milioni, appunto) dei dipendenti della PA ha più di 55 anni. Se a questo si aggiungono le rinunce dei nuovi candidati nei concorsi pubblici, è evidente la grandezza del problema. In un confronto con i principali Paesi europei, l’Italia continua ad avere un numero totale di impiegati pubblici nettamente inferiore, sia in proporzione alla popolazione (5,5 impiegati pubblici ogni 100 abitanti, mentre sono 6,1 in Germania, 7,3 in Spagna, 8,1 in UK e 8,3 in Francia), sia in proporzione agli occupati (14 impiegati pubblici ogni 100 occupati, contro il 16,9 in UK, il 17,2 in Spagna, il 19,2 in Francia). Un sottodimensionamento che va dal 30% a oltre l’80%, e che riguarda tutte le aree della PA, dal Ministero della Giustizia agli ospedali e alle ASL, dalle amministrazioni locali alle sedi dell’Inps e dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Anzianità. Secondo il rapporto della Corte dei Conti, in un confronto tra Italia, Francia, UK, Germania e Spagna, il nostro Paese è quello con l’età media dei dipendenti della PA più alta.
Secondo il centro studi sull’innovazione nella PA, FPA Data Insight – Lavoro Pubblico 2023, nelle amministrazioni l’età media degli impiegati pubblici stabili è di 50,7 anni. Nel 2001 l’età media era di 43,5 anni. L’età media di entrata nell’impiego pubblico è passata in vent’anni, dal 2001 al 2021, da 29,3 anni a 34,3 anni. Gli impiegati pubblici che hanno meno di trent’anni sono il 4,8% e, se escludiamo i precari, si riduce al 3,6%. Si riduce poi ancora a meno del 2% al netto delle Forze Armate, Corpi di Polizia e Vigili del Fuoco. Nel dettaglio, negli Enti Locali si conta che il 21,2% dei dipendenti a tempo indeterminato ha più di 60 anni, mentre gli over 50 sono il 65%; nei Ministeri lo 0,7% ha meno di trent’anni, ma il 29,3% è sopra i 60 anni. Nella scuola addirittura lo 0,3% under 30 contro il 22,8% di persone sopra i 60 anni.

Digitalizzazione. Un problema, quello dell’età, che si rispecchia in un altro problema: la digitalizzazione. Dal punto di vista del livello del titolo di studio, la PA italiana nel suo complesso (con sanità e scuola compresa) è indietro, con una percentuale di laureati che si attesta intorno al 40%, a differenza di Francia, Germania e Regno Unito dove si viaggia su percentuali che superano il 50%, senza contare che il 14% dei laureati italiani in materie STEM decide di lasciare il nostro Paese. Un dato non da poco se consideriamo che l’88% delle pubbliche amministrazioni locali utilizza ancora procedure e strumenti analogici. Una carenza che diventa ogni giorno di più un problema visto che nei prossimi cinque anni per il 57% dei fabbisogni professionali del settore privato e pubblico si richiederanno competenze digitali.

Formazione. Oggi in media un dipendente della PA ha meno di un’ora di formazione all’anno, un apporto totalmente insufficiente per sviluppare le competenze necessarie per partecipare efficacemente alla transizione digitale. Il ministro Zangrillo ha annunciato di voler aumentare la formazione a 30 ore all’anno, un annuncio che potrebbe influire positivamente sul rinnovamento della Pubblica Amministrazione ma che ad oggi presenta non pochi limiti, primo fra tutti quello delle coperture economiche. Nel 2019 i fondi per la formazione sono stati un totale di 164 milioni (nel 2008 erano 262 milioni), il che vuol dire circa 48 euro annui per lavoratore pubblico. Nel 2021, i fondi sono ancora scesi a 158,9 milioni. Se moltiplichiamo questo costo (comunque più basso del costo di una formazione buona, che si aggira sui 100 euro) per le ore di formazione a cui auspica Zangrillo, cioè 30 ore, ne esce un costo totale di circa 4,5 miliardi. Un numero enormemente superiore a quelli stanziati finora.

Lavoro agile. La forte ritrosia delle burocrazie a investire sul lavoro agile e da remoto è un altro elemento che dimostra come il lavoro pubblico sia ancora scarsamente attrattivo ed è anche uno dei motivi per cui, dopo il superamento delle selezioni, molti vincitori preferiscono rinunciare o abbandonare dopo pochi mesi, a fronte di bassi stipendi e di notevoli costi da sostenere per trasporti, abitazioni e costo della vita. “Buona parte delle attività potrebbero essere svolte a distanza, o in Uffici collocati nella sede di residenza dei vincitori, pur lavorando pratiche nazionali – spiegano da FLP – Se tale opportunità venisse utilizzata non assisteremmo a tante rinunce, miglioreremmo la digitalizzazione delle amministrazioni e dei processi e miglioreremmo la qualità e la fruibilità dei servizi a cittadini e imprese, non costretti a rivolgersi unicamente a sportelli fisici”.

Retribuzioni e inquadramento. Secondo la Corte dei Conti, il costo del personale sul totale della spesa della pubblica amministrazione e in rapporto al Pil, in un confronto con Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, mostra l’Italia al penultimo posto. A questo si aggiungono due questioni: quella degli scatti e economici differenziali e quella degli scatti di carriera. Nel primo caso, tali scatti non vengono corrisposti come automatici al decorso temporale, ma a seguito di procedure che devono essere bandite dalle singole amministrazioni, sempre che queste abbiano le risorse disponibili. E questo potrebbe non avvenire per tutte le amministrazioni, senza contare che per partecipare alle procedure selettive, quando vengono indette, è necessario che passino almeno tre anni (riducibili a 2 o elevabili a 4) per potervi di nuovo solamente partecipare. Nel secondo caso, quello degli scatti di carriera, è evidente come ad uno stipendio notevolmente basso per le funzioni che devono essere svolte (per un funzionario pensiamo alle verifiche fiscali, agli accertamenti ispettivi in materia di sicurezza sul lavoro, economisti e statistici al Ministero dell’Economia, architetti al Ministero della Cultura etc ) ci troviamo di fronte a percorsi di carriera ingessati, non al passo con l’inflazione e il costo della vita e poco motivazionali per chi si accinge ad entrare o a candidarsi nelle Pubbliche amministrazioni. Il passaggio ad altre funzioni superiori, poi, puo’ configurarsi in due modi. Attraverso la partecipazione a concorsi esterni o concorrendo nelle rarissime procedure interne che sono state sbloccate con l’ultimo CCNL ma che comunque devono far fronte ai limiti numerici ed economici correlati ai vincoli assunzionali in quanto esse sono equiparate alle nuove assunzioni. C’è poi il nodo dell’Area delle elevate professionalità che è prevista dall’ultimo CCNL e che al momento è unicamente un contenitore vuoto. In molte Amministrazioni non è stata neanche istituita sulla carta e comunque per renderla esecutiva è necessario modificare gli organici di tutte le Amministrazioni, prevedere il numero delle unità da inserirvi, e quantificarne il costo.

PNRR. Sono stati stanziati per la PA poco più di 9 miliardi sui 190 complessivamente disponibili nel PNRR, frammentari in una serie di progetti di corto respiro, e in buona parte tutti di natura infrastrutturale. Sul reclutamente di nuove leve, il PNRR si è limitato a prevedere forme di reclutamento a termine quando una delle principali motivazioni alla base delle criticità riscontrate nella PA risiede nella debolezza strutturale delle Amministrazioni, sia centrali che locali, causate da decenni di mancato reclutamento, sia numerico che qualitativo. “Si poteva intervenire con maggiore decisione sul potenziamento delle risorse umane e della formazione, utilizzando le altre risorse derivanti dal bilancio dello stato e dai PON e dai Fondi strutturali Europei” – dice Carlomagno – “È mancata finora, purtroppo, la necessaria sinergia per l’utilizzo compiuto e coerente di tutte le risorse a diverso titolo disponibili, una vera cabina di regia non solo, come sta avvenendo in modo tra l’altro parziale, delle sole risorse del PNRR. Per non perdere le risorse del PNRR e utilizzare appieno l’occasione che si è presentata, è necessario da subito cambiare registro e mettere in campo una nuova stagione di reclutamento del personale e delle professionalità necessarie, ridefinendo gli ordinamenti professionali del personale, rinnovando i contratti nazionali di lavoro scaduti, adeguando gli stipendi al costo della vita e al valore del lavoro, rafforzando la formazione, utilizzando tutte le potenzialità della digitalizzazione e della tecnologia che costituisce un fattore di attrattività importante” conclude Carlomagno.

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