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Ecco i piani anti-cinesi di Usa e Ue sui minerali critici per la difesa

Il mercato dei minerali critici per l'industria e la difesa è nelle mani della Cina. Ecco cosa stanno facendo Usa, Ue, Giappone e non solo per ridurre la dipendenza.

Ecco i piani anti-cinesi di Usa e Ue sui minerali critici per la difesa

Non ci sono solo il petrolio e il gas: nell’elenco delle dipendenze strategiche dell’Europa bisogna inserire anche quei minerali e metalli cosiddetti

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Non ci sono solo il petrolio e il gas: nell’elenco delle dipendenze strategiche dell’Europa bisogna inserire anche quei minerali e metalli cosiddetti “critici” che sono fondamentali per una lunga serie di applicazioni militari. Questo tema è al centro di un recente focus dell’Economist, da cui dati emerge chiaramente la concentrazione di questa industria nelle mani di pochi attori come la Cina.

Metalli e minerali essenziali per l’industria bellica

Lo scorso 4 luglio la Cina ha annunciato di aver introdotto restrizioni all’export del gallio e del germanio, due metalli critici di cui il Dragone detiene rispettivamente il 98% e il 60% delle quote di produzione globale.

Il gallio e il germanio sono metalli prodotti in piccole quantità che hanno un valore commerciale relativamente contenuto. Ciononostante essi sono fondamentali per la realizzazione di alcune attrezzature e applicazioni a scopo militare come i radar, i satelliti spia e i laser.

La famiglia dei minerali cosiddetti critici ha in molti casi una storia lunga generazioni. Conosciuto già ai tempi biblici come medicina e cosmetico, l’antimonio viene impiegato da tempo nelle munizioni e nei cavi. Noto per la sua resistenza agli stress fin dagli inizi del XX secolo, il vanadio viene impiegato, mescolato all’alluminio, nella realizzazione di componenti per aerei. L’indio è un metallo morbido e malleabile usato sin dalla seconda guerra mondiale nella produzione di motori per aerei.

L’elenco dei metalli e dei minerali critici impiegati a scopo bellico si è ampliato drasticamente durante la guerra fredda. Tra questi c’è il cobalto di cui, ancor prima che fosse valorizzato per le batterie elettriche, erano note le capacità di resistenza alle alte temperature, motivo che lo rende ideale nella fabbricazione di munizioni perforanti. Anche il titanio è stato sfruttato come materiale ideale per gli armamenti. Idem per il tungsteno, impiegato nella realizzazione delle testate.

Caratteristiche dei minerali critici

Al di là delle loro specifiche e varie proprietà, questo insieme di potenti minerali esibisce delle caratteristiche comuni. La prima è che non sono quasi mai trovati in natura in questa forma, ma vengono ricavati dalla raffinazione di altri metalli. Questo elemento rende la loro produzione molto complessa, costosa, energivora e inquinante.

Per lo stesso motivo i Paesi che hanno investito precocemente in questo settore godono di un rilevante vantaggio competitivo che ha il duplice effetto di mantenere bassi i costi di produzione e inibire la concorrenza.

Un’industria concentrata

I dati dell’Economist mostrano chiaramente l’estrema concentrazione di questa industria. Per ben tredici di questi materiali critici i primi tre esportatori controllano oltre il 60% dell’offerta globale, con la Cina che è la più grande produttrice di otto dei tredici minerali considerati. Ma anche Paesi come Congo e Brasile si ritagliano una fetta considerevole di questo mercato.

La diversificazione: un problema di sicurezza nazionale

Da quando quello della concentrazione della produzione è diventato un tema chiave delle analisi sulle priorità della sicurezza nazionale, si è posto il problema della diversificazione degli approvvigionamenti e soprattutto della nascita di nuove catene produttive da collocare in patria o in contesti geopoliticamente sicuri.

Gli Usa hanno ad esempio investito in un complesso di purificazione di metalli rari in Texas che dovrebbe diventare operativo nel 2025. Washington sta inoltre esercitando pressioni su Australia e Canada – gli unici due Paesi occidentali in possesso di consistenti riserve – affinché avviino la produzione; nuovi legami sono stati poi stabiliti con i mercati emergenti dell’Indo-Pacifico in cui sono stati localizzati significativi giacimenti ancora da sfruttare.

Ma questi sforzi produrranno risultati soltanto nel lungo termine: l’analista di Eurasia Group Scott Young ritiene che, almeno fino al 2030, l’industria bellica americana sarà esposta alle bizze di produttori non propriamente amici come la Cina.

L’Ue tra l’incudine e il martello

Questo problema, rileva l’Economist, si presenta in forme ancora più gravi in Europa, Giappone e Corea del Sud che sono del tutto privi di giacimenti significativi. La loro unica speranza è che gli Usa avviino quanto prima una produzione massiccia e la mettano a disposizione di alleati e partner.

Per un blocco economico come l’Ue che si è faticosamente affrancato dalla dipendenza energetica verso la Russia si annuncia ora quindi una nuova e scomoda stagione in cui si troverà, per le necessità della sua macchina militare, fra l’incudine della Cina e il martello dell’America.

Fonte: Startmag.it

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