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TRUMPONOMICS: GLOBALIZZAZIONE SENZA TURBO – di Prof.Massimo Merlino

TRUMPONOMICS: GLOBALIZZAZIONE SENZA TURBO – di Prof.Massimo Merlino

Si moltiplicano i commenti degli osservatori sulle possibili mosse economico-finanziarie del nuovo Presidente USA e in genere si sta passando da a

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Prof. Massimo Merlino

Prof. Massimo Merlino

Si moltiplicano i commenti degli osservatori sulle possibili mosse economico-finanziarie del nuovo Presidente USA e in genere si sta passando da allarmi e insulti a toni più equilibrati di valutazione. Trump si trova con due modelli di riferimento, il liberismo Reaganiano (e Tatcheriano) e il protezionismo caro agli economisti francesi e germanici, questi ultimi rei dell’aggravamento della crisi del ’29 con i loro consigli per il pareggio di bilancio e oggi della crisi dell’Europa.
Nella tradizione repubblicana Reagan è stato il grande tagliatore di tasse sulla base della curva di Laffer, censurata nelle nostre università politically correct.

Ero negli Stati Uniti allora e ricordo lo chock positivo immediatamente percepibile in un Paese che riteneva ormai di aver perso la gara con il Giappone e dove le persone a tutti i livelli sociali avevano il morale molto basso.
La globalizzazione accelerata dal 1982 ha portato fuori dalla povertà circa tre miliardi di persone nei paesi asiatici e sudamericani e perciò è assai difficile che si possa bloccare. La prima, quella della regina Vittoria, a trazione inglese, l’hanno fermata i tedeschi provocando due guerre mondiali, questa che ha dato risultati ben superiori è difficile da fermare. Certo non la vogliono fermare gli asiatici che ne hanno tratto i maggiori benefici, ma il consumatore americano arrabbiato per la delocalizzazione industriale, ha consumato prodotti cinesi a basso costo nelle grandi catene distributive americane, senza l’inflazione europea degli anni ’80 e ’90, e quindi ne ha beneficiato. Si può spingere la produzione interna di petrolio, ma il suo prezzo è influenzato dai mercati internazionali, non si può tenerlo alto artificialmente per sviluppare lo shale gas.
La delocalizzazione ha fatto perdere lavoro, ma anche riportando gli investimenti in USA, la nuova ondata tecnologica ridurrà ulteriormente il lavoro, non lo aumenterà.
Perciò al di là dei fieri propositi autarchici elettorali, le cose non cambieranno radicalmente, si cercheranno mitigazioni e rallentamenti del turbocapitalismo secondo Luttwak, facilitati dal fatto che grazie alla globalizzazione i salari asiatici non sono poi oggi così competitivi come ieri e che molte imprese di alta tecnologia sono già sulla via del ritorno a Occidente.
Si continueranno a espellere immigrati illegali come già nella Presidenza Obama al di là della retorica, si cercheranno sviluppi di settori non delocalizzabili come agricoltura e turismo, miniere e risorse energetiche, ci sarà qualche ritorno di investimenti fatti sull’onda del costo del lavoro basso, ma che avvieranno impianti robotizzati, senza lavoratori ancora una volta.
Credo che i maggiori successi come sempre con i Presidenti repubblicani da Nixon a Reagan, si avranno in politica estera, dove il confuso ideologismo democratico che con Wilson rovinò la pace del 1918 preparando la guerra del ’40, sarà superato finalmente da una ripresa di concreti equilibri basti su rapporti di forza e trattati bilaterali tra i grandi del mondo, con un netto progresso verso una tranquillizzazione del Medio Oriente e dell’Europa Centrale, e un chiaro ribilanciamento di peso con la Cina.
Soprattutto da queste nuove iniziative verrà una maggiore stabilità dei mercati che già scontano risultati positivi sia per i settori che Trump rilancerà, energetico, tecnologico, finanziario, sia per la speranza di minori tensioni internazionali. In definitiva ritengo più probabile un orientamento blandamente reaganiano piuttosto che una chiusura protezionistica: per questa ci vogliono le dittature europee degli anni ’30, non l’esperienza di business man e l’abitudine al negoziato che ne consegue.
Anche Trump è nato nei mercati, ne è un notevole esponente, si può dire anzi che come per i prodotti innovativi si accorciano i cicli di vita, anche i mercati necessitano di alternare facce nuove al potere per rivitalizzare un po’ le attese dei cittadini, fermo restando che i trend di fondo verso l’internazionalizzazione non cambiano e che i poteri e gli interessi nazionali ne rimangono lesi in misura crescente. Ma il tempo che passa con queste novità ogni volta annunciate come drammatiche, facilita l’adattamento dei cittadini e il loro cambiamento culturale.

di Prof. Massimo Merlino

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