Il ministero del Commercio della Repubblica Popolare cinese ha rilasciano una nota circa la revisione del Catalogue of Technologies Prohibited or Restricted from Export in China il 30 gennaio scorso. Una notizia passata inosservata, ma dal forte significato simbolico e soprattutto geopolitico.
La revisione è volta a rafforzare la gestione strategica di importazioni ed esportazioni, in accordo con la Foreign Trade Law e i regolamenti sulla condivisione di tecnologie ritenute critiche per la sicurezza e gli interessi di Pechino. Il nuovo catalogo, aggiornato con la cancellazione di 32 voci, la modifica di 36 e l’inclusione di altre 7, creerà le basi giuridiche per una stretta alla cooperazione tecnologica con i partner commerciali, su tutti gli Stati Uniti.
Gli sforzi messi in atto da Usa e Ue per affrancarsi da questa dipendenza – a partire dal revival di attività di estrazione e soprattutto raffinazione – vedono una serie di progetti di piccola scala ora in fase di sviluppo, come MP Materials e USA Rare Earth nel Nord America, affiancati a realtà industriali più avanzate, come la tedesca Vacuumschmelze, azienda produttrice di magneti con impianti anche in Cina, in partnership con l’americana General Motors. Al di fuori della filiera controllata dalla Cina, Lynas Corporation rimane l’unica azienda mineraria con una capacità di raffinazione (in Malesia) integrata alle attività minerarie che conduce in Australia occidentale, nel sito di Mountain Weld. La canadese Neo Performance Materials, invece, si colloca a valle della filiera, producendo metalli di terre rare dal sito di trasformazione di proprietà, in Estonia, a partire dalle forniture della materia prima dagli Usa, grazie alla partnership con Energy Fuels.
Ma è appunto la scala industriale necessaria per incontrare la crescente domanda (in particolare da EV e settore eolico) con la produzione interna che rimane un vulnus tra ambizioni politiche e realtà. Secondo le più recenti stime di Adamas Intelligence, nel solo 2022 il mercato di terre rare ‘magnetiche’ valeva 3.8 miliardi di dollari. Con la progressiva elettrificazione della flotta automotive e l’installazione di turbine offshore, il valore di consumo (50% per gli EV, 25% circa per le turbine) crescerà di dieci volte, con un ritmo del 19% entro il 2035. Senza capacità di raffinazione in scala, è molto probabile che gran parte di questo valore aggiunto verrà realizzato in Cina che possiede attualmente più del 90% del mercato dei magneti.
Consumo che potrà essere soddisfatto, in linea con le direttive europee sulla sostenibilità, da una maggiore estrazione domestica che tuttavia presenta le sue criticità. La prossima presentazione dello European Critical Raw Materials Act verterà proprio sulla necessità di agevolare queste attività, insieme ad accordi e partenariati strategici con i paesi ricchi di risorse. Le tecnologie e i processi di estrazione e lavorazione delle terre rare sono ormai abbastanza conosciuti e diffusi, seppur via sia un solido presidio di licenze cinesi nel settore.
È probabile, dunque, che le restrizioni imposte da Pechino non vadano a colpire direttamente i progetti in rampa di lancio, ma è possibile che una cooperazione con le industrie cinesi diventerà sempre più limitata in questo nuovo clima geopolitico. Uno scenario che rende necessari (e comunque complessi) gli sforzi per la diversificazione. Lo ha rimarcato, di recente, anche il consigliere del Presidente Joe Biden, Amos Hochstein, in un’intervista alla Cnbc. “È una seria preoccupazione per gli Stati Uniti e il resto del mondo. Mentre ci dirigiamo verso un nuovo sistema energetico pulito, dobbiamo assicurarci di avere una supply chain diversificata”.
Fonte: Le Formiche.net