HomeInternational Banking News

L’ influenza iraniana in Iraq a livello securitario e di governance

L’Iraq rappresenta un paese centrale per l’Iran a livello strategico, securitario ed economico. È un’area fondamentale per la politica di difesa avanzata ed un perno del cosiddetto asse della resistenza (Muqawama), un network di milizie e attori ibridi sciiti, legati alle forze Quds, che garantiscono all’Iran un livello di penetrazione ed influenza significativi.

L’ influenza iraniana in Iraq a livello securitario e di governance

Paradossalmente è stato proprio l’intervento Usa (visti dall’Iran come il grande Satana) a favorire la penetrazione iraniana: la campagna di de-baathi

How the African Union has failed the continent
Il nuovo accordo storico tra Israele ed Emirati Arabi
Iraq: obiettivi e sfide dei primi sei mesi del governo al-Sudani

Paradossalmente è stato proprio l’intervento Usa (visti dall’Iran come il grande Satana) a favorire la penetrazione iraniana: la campagna di de-baathizzazione, che è diventata de-sunnizazione, ha conferito potere agli sciiti iracheni dopo anni di persecuzioni sotto Saddam Hussein. Gli sciiti rappresentano il 60% della popolazione irachena e nel 2005 per la prima volta uno dei maggiori paesi arabi ha avuto un governo a maggioranza sciita. È proprio grazie a questo bacino sciita ed alla creazione, iniziata negli anni ‘80, di attori ibridi legati alle Forze Quds, che l’Iran è diventato attore protagonista sulla scena irachena. Ha consolidato la sua presenza grazie ad una pletora di milizie sciite legate alle IRGC-QF, creando un sistema di Stato nello Stato, ed ha raggiunto l’apice dell’influenza a livello securitario e di governance nel 2019, dopo che la coalizione pro-Iran ha ottenuto 48 seggi alle elezioni. Alcuni eventi hanno ridimensionato la sua capacità di influenza e la sua immagine: l’uccisione di Soleimani, la perdita di sostegno popolare, acuita dalla dura repressione del movimento Tishreen, il ritiro delle milizie sciite Atabat, fedeli ad al-Sistani, dalle PMF, ed i risultati deludenti nelle elezioni di ottobre 2021. Nonostante questi shock l’Iran rimane un attore fondamentale in Iraq, capace di sfruttare le opportunità, agendo su più livelli.

L’influenza a livello securitario: milizie sciite filo-iraniane come vettore di potenza

Le milizie sciite, create, addestrate e sostenute a livello ideologico e materiale dalle IRGC sono uno dei principali vettori di potenza dell’Iran in tutta la regione come dimostra il caso del Libano e dell’Iraq: garantiscono il controllo di vaste aree del territorio, divengono attori ibridi, integrati nelle strutture statali, con propri partiti politici e attività imprenditoriali (lecite e non). Portano avanti un’agenda favorevole agli interessi iraniani non solo a livello militare, ma anche politico ed economico. La situazione irachena, caratterizzata da uno scenario multipolare in tema di sicurezza e dall’impossibilità del governo centrale di esercitare il monopolio dell’uso legittimo della forza è stata particolarmente penetrabile e favorevole. Le prime milizie filo-iraniane nascono negli anni ’80 in Iran come la Badr Organization; nel post-Saddam le IRGC Quds riescono a creare un network diversificato, coordinato e allineato agli obiettivi della Repubblica Islamica grazie al lavoro di Soleimani, comandante delle IRGC e del leader iracheno al-Muhandis, leader di Kata’ib Hezbollah. Le principali milizie sciite pro-Iran attive in Iraq ed i rispettivi leader sono: Badr Organization (ex Badr Brigade), guidata da al-Amiri, Kataib Hezbollah, guidata da al Hamidawi, Asaib Ahl al Haq, guidata da Khazali, Harakat Hezbollah al Nujaba, guidata da al Kaabi, Kataib Imam Ali, Kataib Sayyid al Shuhada e Saraya al Khorasani, a cui si aggiungono diversi gruppi di facciata.  Le diverse milizie servirono inizialmente a combattere le forze USA/Nato; nel 2014 con la formazione delle PMF (Popular Mobilization Forces), dopo la presa di Mosul da parte dello Stato Islamico, grazie all’endorsement del governo e alla fatwa emessa dal mariy’a Al-Sistani, massima autorità sciita in Iraq, hanno ottenuto un’aurea di legittimità ed aumentato il consenso popolare. All’interno delle PMF, ombrello che comprende le diverse milizie sciite ma anche sunnite e curde, fin dall’inizio la fazione filo-iraniana ha svolto il ruolo di guida, grazie alla leadership di Soleimani e al-Muhandis, che divenne de-facto il capo di tutte le PMF, imprimendo una stretta svolta filo-iraniana ed un carattere maggiormente repressivo e settario.  La creazione e l’istituzionalizzazione delle PMF ha conferito alle milizie pro-Iran diversi vantaggi: penetrare gli apparati statali, approvvigionarsi delle risorse statali (gli stipendi sono pagati dall’Iraq), avere basi, armi, copertura politica e accesso a settori economici quali telecomunicazioni e dogana. Proprio per questo l’Iran si è opposto ai diversi tentativi di smembrare le milizie o integrarle completamente all’interno delle IDF, tentando di sfruttare lo stato dall’interno, senza rinunciare all’autonomia. Esplicativa è la marcia indietro fatta dal primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi nel 2019: emanò il 1° luglio l’Executive Order 237 che prevedeva l’assorbimento di tutte le milizie nelle forze irachene nel giro di un mese, ma dopo una visita a Tehran chiarì che le PMU sarebbero rimaste una entità separata.

Le criticità del dopo-Soleimani

È evidente quindi la proiezione di potenza che queste milizie consentono all’Iran; c’è però da sottolineare che la gestione di questo agglomerato eterogeneo richiede un grande lavoro di mediazione e coordinamento, per poterne mantenere il controllo e dettarne l’agenda. Questo coordinamento era affidato a Soleimani, architetto dell’asse della resistenza e ad al-Muhandis, leader di KH e de facto guida delle milizie sciite in Iraq. Il 3 gennaio 2020 un missile USA uccise, a pochi km dall’aeroporto di Baghdad Soleimani e al-Muhandis, assestando un duro colpo all’Iran non solo in Iraq, ma in tutta la mezzaluna sciita. Le milizie sciite filo-iraniane in Iraq si trovarono prive non solo del leader IRGC ma anche del loro leader: questo vuoto di leadership sta avendo effetti devastanti nella strategia iraniana. Le diverse milizie cominciano a frantumarsi, perseguire le proprie agende e lottare tra loro per ottenere la leadership. Un tema particolarmente delicato riguarda la scelta strategica tra una de-escalation vs una escalation nei confronti delle truppe USA /NATO: all’annuncio di un cessate il fuoco il 4 ottobre 2020, KH aderì alle direttive del nuovo comandante IRGC, Qaani, mentre AAH continuò ad attaccare le truppe occidentali. Tra i due gruppi nacque una faida a livello soprattutto mediatico, la cosiddetta Tuna/Noodle saga, con accuse reciproche di non essere in grado di colpire obiettivi significativi. Il leader di AAH al-Khinzali in una intervista alla BBC, condotta da Nafiseh Kohnavard, ha sottolineato come AAH possa agire in autonomia e non dipenda più dalle forniture militari delle IRGC, ribadendo l’intenzione di continuare la resistenza armata contro l’Occidente, indipendentemente dalle direttive iraniane. KH e AAH stanno diventando troppo grandi, meno leali e con agende divergenti dagli obiettivi della Repubblica Islamica e l’Iran, sotto la nuova gestione a guida Qaani sembra aver perso in parte le capacità di controllo, persuasione e mediazione. Una possibilità è che le IRGC creino nuovi gruppi più piccoli, più leali e meno conosciuti, che garantirebbero una maggiore deniability e sarebbero meno soggetti a raid USA/Israeliani.  Un indizio in merito è il fatto che nel primo incontro di Qaani con i leader delle milizie sciite pro-Iran, siano stati messi in primo piano Abu Ala al-Walai, leader di Kata’ib Sayyid al-Shuhada e Akram Kaabi, leader di Harakat Hezbollah al-Nujaba (HaN). Le milizie dell’asse della resistenza stanno quindi vivendo un periodo turbolento, tra lotte intestine e traiettorie talvolta contrastanti, dove l’Iran sta ri-adattando la sua strategia: certamente la morte di Soleimani ha un impatto negativo ma le milizie sono attori ben radicati e la strategia iraniana, che da sempre punta ad un portafoglio diversificato di attori ibridi, rende l’influenza a livello militare e securitario un tratto destinato a rimanere, impedendo allo Stato iracheno di ricostituire il monopolio della forza, fattore imprescindibile per un Iraq stabile e scevro da influenze straniere.

La penetrazione del sistema politico ed economico

Caratteristica fondante delle milizie filo-iraniane è l’essere attori ibridi e quindi raggiungere non solo la dimensione prettamente securitaria ma anche quella di governance: questi attori affiancano infatti al movimento armato un’ala politica e spesso divengono anche attori economici di rilievo. Anche da questo punto di vista la creazione delle PMF ha segnato un punto di svolta, a vantaggio dell’Iran. Grazie all’ingresso nella Commissione Hashd ed alla legalizzazione delle milizie del 2016, queste hanno accesso alle casse dello stato che garantisce i salari, alleggerendo quindi di molto gli investimenti fatti dalle IRGC, aspetto sempre più rilevante alla luce della crisi economica iraniana, legata anche alla massima pressione ed alle sanzioni. Sulla scena economica irachena questi proxy sono attivi  in settori chiavi quali il settore bancario (attraverso istituti privati da loro controllati si assicurano dollari per trasferirli in Iran),  la gestione di valichi e dei checkpoints, delle telecomunicazioni (KH ha uomini nel ministero delle telecomunicazioni), dei porti e aeroporti (fino al 2020 KH ha gestito i servizi dello scalo di Baghdad) e dei campi petroliferi (Najma, Qayyarah, Pulkhana, Alas), accrescendo anche il problema della corruzione. Ancora più impattante è il ruolo svolto da queste milizie nelle istituzioni (sul modello di Hezbollah): la Badr Brigade è diventato un importante movimento politico e nel 2014 ha vinto 22 seggi, assicurandosi ministeri di peso come il ministero dell’interno (grazie ad al-Ameri che guida anche le PMF), dei trasporti e dei diritti umani. Interessante vedere come le milizie sciite abbiano saputo spendere l’aura di invincibilità derivante dal loro ruolo nella sconfitta dello Stato Islamico e la legittimazione religiosa, ottenuta grazie alla fatwa di al-Sistani , trasformandole in sostegno popolare e guadagni politici. Le elezioni del 2018 assegnarono alla coalizione al-Fatah (che raccoglie PMF pro-Iran) 48 seggi, diventando la seconda forza politica del paese, dietro al movimento Sadrista. Il governo Abdul-Mahdi segnò l’apice dell’influenza e delle infiltrazioni iraniane nella scena politica irachena.

Fonte: Geopolitica.info

Commenti