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La deterrenza nel XXI secolo

È riemersa la nozione di deterrenza, soprattutto nella crisi ucraina, ma è completamente superata rispetto alla formulazione canonica. Lo racconta Niccolò Petrelli, docente di studi strategici all’Università di Roma Tre, nel suo nuovo libro “La deterrenza nel XXI Secolo”, edito da StartInsight

La deterrenza nel XXI secolo

Nel corso degli ultimi anni la nozione di deterrenza, da tempo quasi completamente scomparsa dal vocabolario della politica internazionale, è prepoten

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Nel corso degli ultimi anni la nozione di deterrenza, da tempo quasi completamente scomparsa dal vocabolario della politica internazionale, è prepotentemente riemersa, da ultimo nel corso della recente crisi Ucraina. E proprio la deterrenza è il tema del volume “La deterrenza nel XXI Secolo” pubblicato da StartInsight.

Il volume mostra come la deterrenza moderna, del XXI secolo, sia profondamente diversa ed estremamente più complessa rispetto ciò che è stata nella seconda metà del secolo scorso, quando per la prima volta fu teorizzata. L’evidente difficoltà da parte di esperti e commentatori nell’interpretare il comportamento delle leadership di Usa e Russia delle ultime settimane attraverso le “lenti” della deterrenza ne è prova evidente.
Nella sua formulazione teorica “canonica”, la deterrenza veniva definita l’arte del ricatto e della generazione della paura, o in termini più formali, di scienze sociali, la manipolazione del calcolo costi/benefici di un avversario circa una determinata azione. La deterrenza non tentava di controllare l’avversario, ad esempio cercando di eliminare la sua capacità di agire o di stabilire su di esso una qualche forma di controllo fisico. Al contrario, lasciava a chi ne veniva fatto oggetto, la possibilità di esercitare una scelta, tentando di influenzarla. In secondo luogo per quanto radicata in un calcolo razionale, la deterrenza constava anche di una componente emotiva. Da sempre infatti, le strategie di deterrenza hanno presupposto l’introduzione di un elemento imponderabile al fine di generare incertezza, dubbio, in chi veniva fatto oggetto di minacce, circa come varie forme del “potere” a disposizione avrebbero potuto essere impiegate contro di lui. Tale caratteristica della deterrenza fu magistralmente sintetizzata da Thomas Schelling nell’espressione: “la minaccia che lascia qualcosa al caso”.

Il problema è che questa nozione di deterrenza, come illustra la ricerca di StartInsight, è completamente superata, non rappresenta più le modalità di funzionamento delle attuali strategie di deterrenza, profondamente modificate dalle trasformazioni intervenute nella natura del “potere”, così come dalla moltiplicazione dei “domini” in cui esso può essere esercitato. Tali trasformazioni hanno fatto sì che, da processo lineare di comunicazione di minacce progressivamente sempre più intense finalizzato a condizionare il calcolo strategico dell’avversario generando un effetto psicologico, la deterrenza si sia trasformata in un processo non-lineare di formulazione di minacce incerte e uso della forza, suscettibili di variare verticalmente e orizzontalmente, finalizzato a condizionare il comportamento di un avversario attraverso effetti sia psicologici sia fisici.

Durante la Guerra fredda, lo stratega Hermann Kahn equiparò in un noto studio il funzionamento della deterrenza a una scala, i cui pioli rappresentavano i possibili livelli nella minaccia dell’uso della forza a fini coercitivi. Una metafora più appropriata per pensarne il funzionamento oggi è invece quella di una rete di percorsi trasversali e intersecanti. A una minaccia in uno specifico dominio e/o fondata su un determinato meccanismo è oggi a rispondere un dominio alternativo, con minacce meno chiaramente formulate, basate su capacità non necessariamente “simmetriche”, e attivando meccanismi di vario tipo.

La deterrenza moderna è fondata su una condotta strategica più attiva, volta a influenzare in senso sia positivo sia negativo il calcolo strategico e il comportamento dell’avversario attraverso un’iniziativa permanente e costante. Ciò appare più che mai evidente in formulazioni recenti come “deterrenza cumulativa”, ovvero fondata su un processo di attrito prolungato, deterrenza “tailored”, specificamente mirata alle vulnerabilità di un avversario, deterrenza “cross-domain”, orientata a sfruttare al massimo i vantaggi competitivi generati dalla possibilità di operare simultaneamente in vari domini. Parimenti rivelatore della natura più complessa della deterrenza moderna è il sempre più ampio numero di meccanismi identificati alla base della deterrenza. Negli ultimi anni si è infatti parlato di deterrenza fondata su delegittimazione o “contraccolpo pubblico”, ovvero attraverso la costruzione di narrative finalizzate a delegittimare un avversario, a frammentare il consenso di cui gode rispetto a un certo corso d’azione; deterrenza attraverso “intreccio”, ovvero basata sullo sfruttamento di interdipendenze suscettibili di rendere proibitivi i costi di un corso d’azione; deterrenza attraverso “rilevamento”, ovvero basata sulla capacità di controllare in maniera permanente la condotta di un avversario.

Quanto appena descritto è esattamente ciò a cui si è assistito in relazione alla crisi Ucraina tra Usa e Russia (e in misure minori Ue e Nato) nelle ultime settimane. Un processo di reciproco “apprendimento della deterrenza” in cui gli attori coinvolti hanno ampiamente sfruttato la possibilità di operare in domini diversi, sfruttando forme di “potere” diverse e formulando “minacce che lasciano qualcosa al caso” ma comunque suscettibili di creare un “contraccolpo pubblico”, ingenerare la percezione di essere sotto costante sorveglianza, o sfruttare interdipendenze, al fine di vagliare le reciproche “linee rosse”, di identificare e sfruttare i punti di fragilità dell’avversario, massimizzando i propri punti di forza.

Fonte: Formiche.net

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