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Stati Uniti e Russia: una lunga storia fatta di false flag

Stati Uniti e Russia: una lunga storia fatta di false flag

Qualche settimana fa vi avevamo raccontato di come gli Stati Uniti avessero espresso timori per una possibile operazione false flag russa per giustifi

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Qualche settimana fa vi avevamo raccontato di come gli Stati Uniti avessero espresso timori per una possibile operazione false flag russa per giustificare l’invasione dell’Ucraina. Il Consigliere della Sicurezza nazionale Jake Sullivan aveva affermato che “la nostra comunità di intelligence ha raccolto informazioni, che ora sono state declassificate, secondo cui la Russia sta gettando le basi per avere la possibilità di costruire il pretesto per un’invasione”.

Stante l’attuale livello di mobilitazione delle truppe e l’incessante acuirsi della tensione internazionale, l’attuazione di un’operazione di questo tipo è perfettamente plausibile, e non sarebbe nemmeno la prima volta che avviene nella storia. Vediamo quindi di ricapitolare i più lampanti esempi di false flag, ma prima cerchiamo di capire esattamente di cosa si tratti.

Dare il pretesto per entrare in guerra ma non solo

Sotto il nome di false flag (letteralmente “falsa bandiera”) ricadono quelle operazioni che vengono concepite da un soggetto A affinché, una volta portate a compimento, la colpa delle medesime venga fatta ricadere su un soggetto B e non su colui che le ha concretamente realizzate e portate a termine.

Non si tratta, sempre, di operazioni militari: l’incendio del Reichstag nel 1933, di cui furono accusati i comunisti, permise al partito nazista di aumentare il suo potere interno eliminando l’opposizione politica. Restando in Germania, sappiamo che il 31 agosto 1939 una squadra delle SS vestita con uniformi polacche sequestrò una stazione radio vicino al confine e trasmise un breve messaggio anti-tedesco in polacco con lo scopo di alimentare un sentimento anti-polacco per giustificare la prossima e già decisa invasione della Polonia.

Facendo un salto indietro nel tempo, a gennaio 1898, quando divamparono le tensioni tra i rivoluzionari cubani e le truppe spagnole, la corazzata Uss Maine fu inviata all’Avana per proteggere gli interessi americani. Il 15 febbraio una gigantesca esplosione affondò la nave, uccidendo 266 marinai. Articoli di giornali sensazionalisti e sostenitori della guerra accusarono gli spagnoli di aver distrutto la nave e un’indagine della marina statunitense concluse sbrigativamente che una mina innescata a distanza aveva causato il disastro. Gli Stati Uniti grazie a quell’atto dichiararono guerra alla Spagna e conquistarono le Filippine, Guam e Cuba proiettandosi per la prima volta a potenza globale. Anche se non sapremo mai la verità, oggi gli esperti dubitano che gli spagnoli siano stati gli esecutori di quell’attentato, e si ritiene che la causa sia da ricercarsi in una serie di fattori “interni”, come un incidente nel deposito munizioni, nella stiva del carbone o un’esplosione di una bomba nell’interno della nave.

Lo stesso affondamento del transatlantico Lusitania avvenuto il 7 maggio del 1915 che causò l’ingresso nella Prima Guerra Mondiale degli Stati Uniti sembra essere alquanto controverso: la nave passeggeri venne silurata da un sommergibile tedesco, l’U-20, ma a quanto pare stava trasportando segretamente, oltre al suo carico di circa 1200 passeggeri tra cui un centinaio di statunitensi, munizioni ed esplosivi, facendone di fatto un bersaglio militare. Nonostante fosse contro le leggi statunitensi il trasporto di civili e armamenti sulla stessa nave, l’affondamento ebbe una grandissima eco mediatica e spinse gli Stati Uniti a entrare in guerra a fianco di Regno Unito e Francia.

False flag made in Usa

Venendo a tempi più recenti, quando John Kennedy giunse alla Casa Bianca e cominciò fattualmente la politica di contrasto verso la Cuba di Fidel Castro, il dipartimento della Difesa Usa propose un piano per addossare al governo cubano la responsabilità di attentati contro bersagli civili e militari americani perpetrati però da agenti della Cia, in modo da giustificare una guerra contro L’Avana. Si trattava dell’operazione Northwood, che prevedeva in dettaglio di assassinare immigrati cubani, l’affondamento di barche di profughi cubani in alto mare, il dirottamento di aerei per essere abbattuti o dare l’impressione di essere abbattuti, far saltare in aria una nave statunitense e l’orchestrazione di atti di terrorismo nelle città degli statunitensi. Il progetto venne respinto da Kennedy, ma gli Stati Uniti, quando lo hanno ritenuto opportuno, hanno sempre usato tattiche di false flag simili.

Sembra infatti che anche la deposizione di Mohammad Mossadeq in Iran, nel 1953, benché ormai platealmente noto che venne orchestrata dai servizi segreti britannici e statunitensi, sia stata preceduta da una serie di attentati organizzati da finti attivisti comunisti iraniani: in realtà si trattava di persone assunte dalla Cia col compito di fingersi comunisti e commettere azioni terroristiche per cercare di rivoltare la popolazione contro il leader democraticamente eletto.

Potremmo continuare anche con il famoso, e controverso, “incidente del Golfo del Tonchino” del 1964, che fornì il pretesto per ufficializzare l’intervento statunitense in Vietnam: non è mai chiarito del tutto se le motosiluranti nordvietnamite, che pure stavano navigando in modo aggressivo, abbiano mai realmente attaccato il cacciatorpediniere Uss Maddox, un’unità navale che era stata riempita di strumenti per lo spionaggio elettronico.

Come dimenticare poi il false flag più clamoroso di tutti, forse anche perché quello più recente: le armi di distruzione di massa presenti in Iraq che hanno fornito il pretesto per quella che viene chiamata Seconda Guerra del Golfo nel 2003. Chi ha più di 30 anni ricorderà la provetta contenente “polvere di antrace” sventolata alle Nazioni Unite il 5 febbraio di quell’anno dall’allora Segretario di Stato Usa Colin Powell. La guerra, le cui conseguenze patiamo ancora oggi in termini di terrorismo islamico e destabilizzazione di buona parte del Medio Oriente, ci fu, ma delle armi di distruzione di massa irachene non venne mai trovata traccia.

I false flag russi sono legati alla maskirovka

Cambiando lato “della barricata”, anche la Russia ha una notevole storia di false flag da raccontare. Uno degli esempi più eclatanti è quello che riguarda la violenta repressione della Primavera di Praga, la stagione di riforme portate avanti nel 1968 dal leader cecoslovacco Alexander Dubcek. L’allora leader sovietico Leonid Brezhnev, insieme al capo del Kgb Yuri Andropov, usò agenti sotto copertura per creare incidenti che giustificassero l’intervento dell’Armata Rossa.

Un tipo di operazione che fa parte della ben nota maskirovka, ovvero a tutti quelle attività legate non solo all’inganno del nemico ma che prevedono anche misure attive come il rovesciamento di governi stranieri, l’eliminazione di gruppi politici o di singoli individui, il sabotaggio e l’appoggio al terrorismo. Per quanto riguarda il caso cecoslovacco, gli agenti provocatori russi si presentavano come giornalisti, imprenditori e studenti, spiando e mettendo in atto azioni sotto copertura per aprire la strada all’intervento armato sovietico.

Spostandoci un po’ avanti nel tempo, e restando in Unione Sovietica, anche l’invasione in Afghanistan ha visto la messa in atto di un’operazione false flag: oltre ad aver sostenuto Nur Mohammad Taraki nel suo golpe che rovesciò il legittimo governo del Paese qualche tempo prima, nelle primissime ore dell’invasione reparti speciali degli Spetsnaz fecero irruzione nella residenza presidenziale ed eliminarono Hafizullah Amin (che aveva eliminato Taraki) facendosi passare per afghani.

In tempi più recenti, alti ufficiali dell’esercito e dell’intelligence russi hanno ammesso che l’Fsb ha fatto saltare in aria una serie di appartamenti tra Mosca, Buinaksk, e Volgodonsk in una serie di attentati che ha avuto luogo a settembre del 1999 incolpando falsamente i ceceni, al fine di giustificare l’invasione della Cecenia. Quegli attentati terrorizzarono la Russia, e spinsero l’opinione pubblica a sostegno di un secondo conflitto in Cecenia.

Nel 2014, i servizi di intelligence di Mosca, all’indomani del referendum riguardante l’annessione della Crimea nella Federazione Russa, hanno condotto un sondaggio tra l’opinione pubblica locale altamente sospetto che affermava di mostrare uno schiacciante sostegno popolare alla decisione. Fattore che è stato propedeutico alla penetrazione ufficiale in Crimea delle forze armate russe. Secondo alcuni rapporti, agenti filo-russi a Kiev hanno anche lautamente pagato persone per protestare contro il movimento per la democrazia Maidan.

Oggi, con la diffusione capillare di internet, almeno in nazioni mediamente avanzate, si utilizzano i social media come parte integrante della maskirovka e dezinformatsiya: la creazione di centinaia di falsi profili, da cui diffondere notizie mendaci che a loro volta vengono rilanciate dal pubblico bersaglio, è uno degli strumenti principali della guerra ibrida di matrice russa. In questo senso gli “hacker” che gestiscono questi profili, sono gli attori di un’operazione di “false flag” telematica che ha, ormai, lo stesso peso ed importanza degli agenti provocatori che sobillavano la popolazione in Cecoslovacchia nel 1968.

Fonte: Insiderover.it

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