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L’alternativa al glifosato, conviene all’ambiente e conviene al portafoglio”. Una ricerca italiana

Lo studio della Scuola Superiore Sant'Anna e dell’Università di Pisa è stata pubblicata sulla principale rivista scientifica di agronomia

L’alternativa al glifosato, conviene all’ambiente e conviene al portafoglio”. Una ricerca italiana

Vi ricordate il duello all’ultimo dossier sul glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo? Era il 2017. Lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerc

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Vi ricordate il duello all’ultimo dossier sul glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo? Era il 2017. Lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro collegato all’Oms aveva deciso di considerarlo probabilmente cancerogeno, mentre due agenzie europee (Efsa e Echa) erano di parere opposto. Una lunga guerra sui retroscena del contenzioso, animata dai corposi Monsanto Paper pubblicati da Le Monde, si era risolta con un compromesso: una proroga dell’Unione Europea di 5 anni, la metà di quelli richiesti

Ora che la proroga sta per scadere quell’aspro contenzioso appare ridimensionato da una ricerca, condotta per 3 anni in pieno campo in un’azienda commerciale, che punta a sciogliere il dilemma mettendo a fuoco un’alternativa conveniente per l’ambiente e per il portafoglio. L’ha curata un gruppo di lavoro della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa nell’ambito di un progetto europeo ed è stata pubblicata sulla principale rivista scientifica di settore, Agronomy for Sustainable Development.

L’uso cresce di 15 volte

“Il glifosato è usato da circa mezzo secolo”, spiega Paolo Barberi, il docente della Sant’Anna di Pisa che da 30 anni studia la resilienza dei sistemi agricoli. “All’inizio venne presentato come un erbicida ecologico perché ha tempi di degradazione più rapidi rispetto ad altri. Ma il quadro è cambiato a partire dal 1996, cioè da quando è stata ingegnerizzata la prima soia resistente al glifosato. Nel tempo le colture transgeniche ingegnerizzate con l’inserimento del gene per la resistenza al glifosato sono diventate 6: soia, mais, colza, cotone, barbabietola ed erba medica”.

Il cambiamento dei semi ha prodotto un cambiamento delle tecniche. Mentre prima il diserbante poteva essere usato solo prima o dopo il ciclo di crescita della pianta, adesso poteva venire impiegato anche con la pianta in campo. La maggiore semplicità d’impiego ne ha favorito l’uso. “Dalla metà degli anni Novanta a oggi, con il boom delle colture transgeniche, l’impiego del glifosato è aumentato di 15 volte”, continua Barberi. “Inoltre, visto che si degrada velocemente, per mantenerlo attivo viene spesso applicato anche 3 o 4 volte durante le fasi di crescita della coltura. Il che ha determinato una forte accelerazione della selezione della flora infestante. Al momento sono state trovate 56 specie di erbe infestanti che hanno sviluppato resistenza a questo erbicida“.

Le infestanti che resistono al glifosato

Il problema è che se sul campo spunta un’infestante resistente al glifosato, questo erbicida non serve più a nulla. Bisogna sostituirlo con un altro, spesso uno della generazione precedente, con un impatto maggiore, cioè con una più elevata persistenza ambientale, un maggior grado di tossicità e maggiori costi.

Inoltre la crescita d’uso del glifosato pone altri problemi. “Da alcuni studi su animali allevati e su gruppi di persone risulta che fino all’80% dei campioni prelevati nelle urine rivela la presenza di residui di glifosato o di suoi prodotti di degradazione”, prosegue Barberi. “Una situazione che non può non preoccupare: la discussione sulla cancerogenicità del glifosato resta aperta, il quadro degli effetti tossicologici misurati sull’ambiente è abbastanza certo, e quello relativo all’uomo è poco studiato ma potenzialmente pericoloso”.

Di qui la ricerca di soluzioni non basate sulla chimica di sintesi. “A noi agronomi interessa trovare alternative per poter offrire agli agricoltori possibilità più sicure dal punto di vista sia ambientale che economico”, precisa il docente della Sant’Anna. “Siamo intervenuti su una rotazione tipica del Centro Italia. Prima è stato coltivato frumento; poi una coltura che serve a tenere il terreno coperto da vegetazione in modo da contrastare l’espansione delle piante infestanti; infine girasole. La coltura di copertura può essere la veccia, una leguminosa che offre anche il vantaggio di apportare azoto al terreno aumentando la fertilità del suolo. La veccia è in grado di restituire al terreno fino a 140 chili di azoto per ettaro, cioè molto di più degli 80 chili per ettaro che si danno in Italia al girasole attraverso il supporto dei fertilizzanti sintetici”.

 prospettiva può cambiare

Nei sistemi tradizionali con colture di copertura senza lavorazione del terreno, il girasole viene seminato dopo aver sfalciato la coltura di copertura e aver applicato il glifosato, che serve per limitare la ricrescita di questa coltura quando il girasole è in campo.. “L’alternativa che abbiamo studiato”, chiarisce Barberi. “è una macchina, un rullo come quelli che si usano per spianare la sabbia, sagomato in maniera tale da schiacciare la vegetazione e sfibrarla per impedire che ricresca. E’ un rullo che si può comprare, ma abbastanza semplice ed economico da poter anche essere costruito in un’azienda agricola”.

Nell’esperimento, dopo aver passato il rullo, in alcuni casi si è utilizzato il glifosato e in altri no. Quando gli interventi sono stati condotti nel momento in cui il 70% delle piante di veccia erano fiorite – e quindi in fase di lignificazione e più sensibili all’effetto del rullo – il risultato è stato più che soddisfacente. Il sistema senza uso di glifosato, cioè agroecologico, stava in piedi sia dal punto di vista produttivo che da quello economico, rendendo inutile l’uso del glifosato. Questo sistema può essere adattato a molte altre tipologie di rotazioni, anche con colture ortive. Se i risultati della ricerca dovessero essere confermati su una scala più larga, il quadro della convenienza dell’uso del glifosato in agricoltura cambierebbe.

Fonte: Huffpost.it

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