Questa testata ha sempre tenuto una posizione molto chiara sugli aumenti dei prezzi causati direttamente o indirettamente dalla pandemia e che riguardano essenzialmente i prodotti energetici ed alimentari. Si è cercato di documentarne al meglio la dinamica, sottolineando, in particolare, che (come dimostrato da ricerche economiche –mai smentite – e relative in particolare all’Italia) i mezzi di informazione abbiano avuto nel recente passato (ossia poco più di venti anni fa) un ruolo non secondario nel diffondere aspettative inflazionistiche generalizzate sulla base di tensioni specifiche ad alcuni mercati. Le aspettative che incidono su tutti gli agenti economici sono il maggiore e miglior veicolo che quella che un articolo del New York Times del lontano 1937 chiamò la spirale prezzi-salari.
Sono dati eloquenti. Sono cresciuti notevolmente i prezzi dell’energia, specialmente dei prodotti i cui prezzi sono “regolamentati”, un mercato in cui l’autorità di regolazione può, ed anzi ha il dovere di, incidere e in cui il Governo può portare sollievo temporaneo non generalizzato ma alle fasce deboli utilizzando la leva tributarie sulle aziende (poche ma potenti) che dalla situazione traggono extra-profitti.
Più difficile, operare nel mercato dei generi alimentari: come già sottolineato su questa testata, è doveroso alzare la voce a Bruxelles in materia di politica agricola comune. Di recente, Robert Shiller ha ricordato come sia errato includere i prezzi dell’energia e degli alimentari nelle stime aggregate dell’inflazione data la loro volatilità. Sono infine da considerarsi fisiologici, e temporanei, gli aumenti dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona a ragione del forte aumento della domanda dopo due anni di restrizioni dovute alla pandemia.
Dagli Stati Uniti, dove l’aumento per l’indice dei prezzi al consumo è stato molto più alto che in Europa ed in Italia (ha toccato il tasso annuo del 7,5% in gennaio) ci sono indicazioni che il tasso (inclusivo di energia ed alimentari) ha raggiunto il picco e sta iniziando una lenta discesa, soprattutto in quanto si stanno esaurendo gli effetti sui prezzi del rapido “rimbalzo” dell’economia registratosi dopo la brusca recessione del 2020 dovuta ai vari lockdown ed ai forti stimoli monetari e di bilancio per superarla.
Si potrebbero fare altre citazioni. Così come gli aumenti dei prezzi negli Usa hanno anticipato quelli in Europa (e sono stati più sostenuti), è ragionevole chiedersi se anche nel Continente vecchio, le tensioni inflazionistiche abbiano raggiunto il picco.
Fonte: Formiche.net