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Questione del Kosovo del nord: dilemmi e prospettive

Dagli scontri di Zvečan all’attentato di Banjska, l’area settentrionale del Kosovo torna periodicamente al centro delle cronache internazionali e si conferma tra i principali ostacoli sulla strada della normalizzazione dei rapporti Belgrado-Pristina. I principali problemi sul tavolo e le vie d’uscita prospettate dagli attori coinvolti.

Questione del Kosovo del nord: dilemmi e prospettive

Fonte: Geopolitica.info Tra i numerosi nodi da sciogliere relativi alla questione del Kosovo, quello riguardante la parte settentrionale del Paese

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Fonte: Geopolitica.info

Tra i numerosi nodi da sciogliere relativi alla questione del Kosovo, quello riguardante la parte settentrionale del Paese rappresenta in modo particolare un rebus di difficile soluzione. Ciò alla luce di vari elementi: la complessità dei problemi sul tavolo, la difficoltà da parte degli attori in campo a trovare delle soluzioni e, talvolta, a dare seguito ai rispettivi impegni, ma anche, soprattutto nel corso degli ultimi mesi, il verificarsi di rilevanti crisi sul terreno, tali da impegnare in modo significativo la diplomazia internazionale, le forze di peacekeeping presenti nel territorio e i decisori politici.

Un chiaro esempio è rappresentato dai fatti accaduti nel maggio scorso nella località di Zvečan, dove i soldati della missione KFOR sono rimasti coinvolti in duri scontri con dimostranti serbi che, in seguito al boicottaggio delle elezioni locali da parte del partito Lista Serba (affiliato a Belgrado ed egemone nella minoranza serba del Kosovo), protestavano contro l’insediamento dei sindaci di etnia albanese che, alla luce dell’astensione di massa, erano stati eletti in alcune municipalità a maggioranza serba. Una nuova crisi avvenuta nei giorni scorsi, quella dell’attentato della vicina località di Banjska, ha ugualmente determinato un incremento della tensione e del livello di attenzione dell’opinione pubblica, e potrebbe rivelarsi foriera di maggiori conseguenze sul piano internazionale e sull’evoluzione delle dinamiche regionali.

Il commando che, nel corso della giornata del 24 settembre, ha compiuto un’incursione in territorio kosovaro, innescando una sparatoria con la polizia locale e causando la morte di un poliziotto, è stato neutralizzato qualche ora dopo dalle stesse forze dell’ordine, con un bilancio finale di quattro morti tra gli assalitori e di alcuni arresti tra le fila di questi ultimi. Tanto il Primo ministro kosovaro Albin Kurti quanto la Presidente Vjosa Osmani hanno subito attribuito a Belgrado la responsabilità dei fatti, descritti come un’azione terroristica volta a destabilizzare il Kosovo. I sospetti sul possibile coinvolgimento di Belgrado, fin dalle ore successive all’attentato, sono stati avvalorati non solo dall’ingente quantità di risorse militari a disposizione del commando, ma anche dal coinvolgimento nell’azione di Milan Radoičić, vicepresidente del partito Lista Serba, la cui presenza tra gli assalitori è stata presto confermata, tra l’altro, da alcune riprese video.
Lo stesso Radoičić, spostatosi nel frattempo in Serbia, si è assunto la responsabilità dell’azione di Banjska (subito prima si era dimesso dal suo incarico nel partito), per poi essere arrestato nella giornata del 3 ottobre. Il suo rilascio, poche ore dopo, è avvenuto dopo il rifiuto da parte dell’Alta Corte di Belgrado di ordinare la custodia cautelare nei riguardi dell’accusato, al quale però è stato imposto di non lasciare la Serbia senza autorizzazione del tribunale e di non fare ingresso nel territorio del Kosovo, dove peraltro le autorità potrebbero chiedere a Belgrado la sua estradizione.

Il Ministro degli interni kosovaro, Xhelal Sveçla, ha collocato l’attentato di Banjska in un quadro più ampio, descrivendo l’azione del commando come parte di un piano della Serbia volto a compiere una sostanziale annessione del Kosovo settentrionale. Gli assalitori, secondo Sveçla, si sarebbero preparati in alcuni centri di addestramento militare in Serbia, e la loro azione sarebbe stata finalizzata a occupare una serie di posizioni nel Kosovo settentrionale. A quel punto si sarebbe aperto un “corridoio” con il territorio serbo, creando le circostanze logistiche per un’azione più massiccia e per l’imposizione di una “nuova realtà” nella parte settentrionale del Paese.
Gli Stati Uniti, in questo contesto, hanno denunciato un anomalo dispiegamento di forze militari serbe presso il confine con il Kosovo, chiedendo a Belgrado di ritirare le truppe e i mezzi accumulati. Il ritiro è effettivamente avvenuto nei giorni successivi, salutato positivamente dall’ambasciatore statunitense nel Paese Christopher Hill. Lo stesso Hill, insieme all’ambasciatore dell’UE a Belgrado Emanuele Giaufret e al Ministro della Difesa serbo Miloš Vučević, si è recato nella giornata del 5 ottobre nella Serbia meridionale, constatando come la situazione fosse effettivamente tornata alla normalità.
Tanto Hill quanto il suo ambasciatore USA Pristina, Jeff Hovenier, tuttavia, hanno messo in evidenza la necessità di fare chiarezza sui fatti del 24 settembre. Hovenier, in particolare, ha affermato come l’attentato possa difficilmente essere considerato come un’azione spontanea, descrivendo il gruppo degli assalitori come addestrato, dotato di risorse sofisticate e probabilmente supportato da strutture preesistenti.

Dal punto di vista delle conseguenze politiche, queste potrebbero riguardare sia il dialogo tra Belgrado e Pristina mediato da Bruxelles, che peraltro ha visto le ultime riunioni terminare con un nulla di fatto e anzi caratterizzarsi per un livello crescente di sfiducia, sia la posizione internazionale della Serbia in relazione all’UE, dove nei giorni successivi all’attentato sono state ipotizzate delle sanzioni nei confronti di Belgrado. Anche qualora il governo di Vučić venisse esplicitamente ritenuto responsabile dei fatti, tuttavia, la posizione di alcuni Paesi potrebbe ostacolare questa prospettiva; è il caso dell’Ungheria, il cui Primo ministro Orban ha fermamente bocciato l’ipotesi di sanzionare la Serbia.

 

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