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Perché non basterà il petrolio a trasformare lo yuan in un perno della finanza globale

Pechino spinge per pagare il greggio in moneta nazionale, soprattutto con Russia e Arabia Saudita, per scalzare il dollaro come moneta regina degli scambi globali.

Perché non basterà il petrolio a trasformare lo yuan in un perno della finanza globale

Fonte: Formiche.net E se il renminbi cinese, alias yuan, stesse davvero minacciando la supremazia globale del dollaro americano? Non è certo la pri

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Fonte: Formiche.net

E se il renminbi cinese, alias yuan, stesse davvero minacciando la supremazia globale del dollaro americano? Non è certo la prima volta che se ne parla, specialmente i tempi di saldatura, più o meno reale, con il rublo russo. Ma forse la verità è un’altra e cioè che sì, la moneta cinese è certamente molto più globalizzata di quanto non fosse fino a vent’anni fa, ma no, il primato del biglietto verde non è in discussione e il baricentro del sistema monetario mondiale rimane ben piazzato a Occidente.

Il punto, secondo il Financial Times, è questo. Da qualche tempo la Cina ha cominciato a pagare parte del petrolio, anche dalla Russia, in yuan. Nonostante la pressoché totalità degli scambi di oro nero, avvenga in dollari. Una mossa, spesso vista come un grande passo verso un sistema monetario internazionale più multipolare, in cui il dollaro americano perde terreno rispetto al renminbi cinese. Alcuni esempi concreti.

Russia, Cina e Iran, con un qualche appoggio dell’India, stanno d’altronde cercando di scalfire il dominio del dollaro come moneta globale di riferimento. Dominio che rimane solido ma che, secondo alcuni osservatori, potrebbe prima o poi iniziare a risentire delle sanzioni imposte contro Mosca. Cina e Russia si sono già accordate per utilizzare anche lo yuan nell’interscambio di idrocarburi. Altri Paesi temono che in caso di contrasto con gli Stati Uniti, le loro riserve in dollari, spesso detenute presso banche centrali estere potrebbero subire lo stesso destino. L’Arabia Saudita, tanto per tornare al caso poc’anzi citato, è il secondo produttore e primo esportatore al mondo di petrolio. Ogni giorno vende a Pechino 1,7 milioni di barili di greggio, per un controvalore ai valori attuali di circa 46 miliardi di euro all’anno.

Ora, si chiede il quotidiano britannico, ipotizziamo un fanta-scenario in cui tutte le importazioni di petrolio della Cina siano regolate in yuan. In questo caso la quota dei contratti future sul petrolio denominati in renminbi passerebbe dal 5% al 15-20% del totale globale. Il resto sarebbe ancora denominato in dollari Usa. E questo perché la Cina non può “internazionalizzare la propria valuta semplicemente pagando tutte le importazioni di petrolio in renminbi. Deve convincere anche i terzi a commerciare nella sua moneta. Cioè tra fornitori e fornitori. Anche se un numero maggiore di barili russi venisse regolato in renminbi, questo non renderebbe lo yuan un punto di riferimento globale per il greggio”.

E comunque, “i cittadini possono periodicamente essere insoddisfatti del dominio del dollaro, ma si sentirebbero davvero più sicuri con il renminbi?”, si chiede FT. Perché il grosso problema del “potere” delle valute non è tanto nel loro utilizzo o diffusione, quanto nel sistema politico, giuridico e finanziario che è alle loro spalle.

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