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UOMINI E CAVERNE

UOMINI E CAVERNE

 Per gentile concessione del Nuovo Giornale Nazionale.it mi chiedo quand’è stato che l’uomo delle caverne abbia deciso di usare la clava non più p

Socialist system lays foundation for democracy in China: Italian economist
Flp, via a Gruppo monitoraggio su nuove frontiere del lavoro
India deals a blow to US’ ‘democracy’ narrative

 Per gentile concessione del Nuovo Giornale Nazionale.it mi chiedo quand’è stato che l’uomo delle caverne abbia deciso di usare la clava non più per “battere le noci di cocco” e goderne del frutto ma per fracassarla in testa ai suoi consimili. Probabilmente fu perché voleva tenersi lui tutte le noci di cocco o perché gli altri volevano prendergli le sue.
Fu quindi per perpetrare una ingiustizia o evitarne una a suo danno che decise quale fosse l’uso più utile e lo decise probabilmente ancor prima di elaborare un linguaggio.
Divenuto “commerciante”, e non solo di “noci di cocco”, convenne che poteva essere utile il dialogo, siglare accordi, stipulare contratti e, ad un certo punto del suo cammino evolutivo, stipulare contratti financo di natura sociale come ben ebbe a significare Jean Jeacque Rousseau.

Sulle pagine di questo stesso giornale, qualche giorno fa, Paolo Falconio ha scritto un bell’ articolo dal titolo “La fine di un Mondo”. Una sorta di “requiem – analisi in morte della Globalizzazione”, un’ occasione andata male con per la mancata realizzazione di una ipotetica Repubblica Globale.
La conseguenza è stata che le lancette del tempo hanno improvvisamente iniziato a girare a ritroso ponendoci innanzi ad un ritorno del Mondo alla Storia con il nastro della pellicola in fase di riavvolgimento su sé stesso per chiudere un periodo che partiva carico di aspettative con la caduta del muro di Berlino.
Il mondo negli anni ’90 ci era parso con meno nemici: la Russia era pronta ad unirsi all’Occidente e la Cina, persino affascinata dal diritto Romano su cui fonda la nostra civiltà, apriva a riforme sulla proprietà privata. Così registrammo le grandi privatizzazioni, il processo di delocalizzazione dell’impresa per criteri di economicità e convenienza e tutti gli indicatori sembravano garantire fosse stata imboccata la via per la costruzione della pace e del progresso sociale globale nel nome del liberismo.

Però non è andata così e quello che stiamo vivendo, non ultima la guerra in Ucraina, è il passaggio affatto indolore necessario per smontare la globalizzazione economica, a favore di un processo di nuova Internazionalizzazione e presa di coscienza che quel mondo che si era preteso “unipolare” deve ora fare i conti con una dimensione “multipolare” che nel frattempo comporta il ritorno di un linguaggio che pensavamo dismesso se , persino la Germania si riarma pesantemente nel rinverdimento per tutti del livello Nazionale.
Mario Bergamo più di un secolo fa, premonitore allora incompreso, sottolineava che senza Nazionale non esiste Internazionale. Propugnava, profondamente Europeista, un Repubblicanesimo Sociale, un “sistema nazionale ma anche sociale o che dir si voglia comunitario, che necessariamente si apra al mondo intero perché non può esserci una comunità che viva in modo isolato e quindi non socialmente con le altre”…e che questo doveva avvenire nel nome di un “affratellamento” basato su “libertà e giustizia per tutti.” (Mario Bergamo – Il mio Nazionalcomunismo- “Lettera ad Ardengo Soffici”). Preallertava che il “macchinismo” che avrebbe dovuto liberare l’uomo, invece lo avrebbe dominato, e che se risolveva il problema della produzione, non aveva e non avrebbe risolto quello della distribuzione perché le questioni non sono “politiche” ma “sociali”. Evidenziava che la “concordia o è un accordo in buona fede, che mette naturalmente in comune quello che è un fine comune, o è la dissoluzione nel calderone del vuoto e dell’ingannevole ….e la concordia si risolve nell’elisione reciproca delle forze che la compongono, o nell’assorbimento di tutte le altre da parte di una di esse..” (Mario Bergamo, Lineamenti di Programma Repubblicano 1924 e Giorgio Mario Bergamo- Premessa a Nazionalcomunismo di Mario Bergamo- Edizione Cino del Duca 1965 )

Della globalizzazione abbiamo cercato di avvantaggiarcene in primis noi Europei così proprio come ora pare che chi abbia più da rimetterci di questa de-globalizzazione si sia ancora noi Europei, tanto più che i giochi nello scacchiere mondiale più che dirigerli li subiamo non avendo prodotto nel frattempo alcuna reale “emancipazione”, confidando nella non necessità di alternative dato per scontato che gli Usa facevano da gendarmi anche per noi e che la Cina avrebbe continuato a fare la “fabbrica” e la Russia la “miniera”. Una svista che oggi presenta il conto.
Ed è così che siamo giunti a quella parte del film, il viaggio della nostra vita, in cui il casello ferroviario appare irraggiungibile, il treno è costretto a una brusca frenata al limite del deragliamento della stessa locomotiva sotto gli scossoni del frantumarsi delle scelte energetiche e di mercato lì per lì credute azzeccate, pensando che la Storia, appunto fosse Storia e non ripresentasse conti di un passato andato e che invece s’era solo appisolato sonnecchiante ma ridestatosi, ha ribussato alla porta, “rimettendo a noi i nostri debiti”, anche sabotando le vie energetiche sottomarine, legame improvvido con un ora preteso nemico, che a sua volta sentitosi minacciato da coloro ai quali aveva pur provato a fare l’occhiolino, ha palesato il suo volto minaccioso.
Dapprima indifferenti alla protratta guerra fratricida in terra d’Europa e incoscientemente inermi, non ci avvedevamo che l’intero convoglio europeo sotto i colpi dissestanti di forzati disequilibri ed equilibrismi precari, stava frantumandosi con la conseguenza che alcuni vagoni più di altri, finivano ammaccati. Tra questi vagoni c’è la nostra elegante carrozza priva di blindatura, e giù nel precipizio, come in un gorgo, il rischio è l’accartocciamento delle esigue lamiere mentre i passeggeri oltremodo provati e frastornati sono sofferenti per le fratture scomposte potenzialmente azzoppanti per sempre.

Con il senno di poi, si può dire che siamo rimasti ipnotizzati sotto l’incantesimo di più o meno noti illusionisti e ci siamo lasciati prendere dalla frenesia della musica dei mercati e dalla danza sussultoria e ondulatoria del ritmo della finanza, pensando a rincorrere il nostro benessere mentre la ricchezza si accumulava in poche tasche e la scala delle ingiustizie aumentava i suoi gradini talché gli scalini avevano alzate che si trasformavano giorno per giorno in barriere. Siccome di santoni e guru il mondo abbonda, convincenti narratori quando non imbonitori, ci avevano persuaso che il “Sentiero” era quello giusto, che eravamo prossimi alla Patria Europea, tappa necessaria verso una futura Patria Mondo, nella quale l’intera Umanità fraterna e concorde, si sarebbe riconosciuta Comunità di Destino e fosse in grado di porre rimedio alle questioni ambientali ed ecologiche in modo che quel battito d’ali in se poca cosa, non finisse poi per esser fonte di cicloni e infiniti lutti dall’altra parte del globo. Però ci si scordava che il nostro bene-stare poggiava sull’altrui stare-male

Sono davvero tante le cose che non hanno funzionato.
C’è che le promesse che hanno accompagnato i nostri anni, si sono fondate su reciproci inganni e immani sfruttamenti atti a celare o mal celare la realtà di un mondo in cui il nesso tra gli uomini delle caverne, delle clave e delle noci di cocco e quello degli oligarchi e filantropi altro non sono che facce non dissimili di una stessa medaglia. Immense risorse nelle mani di pochi dotati pure di strumentazioni tecnologicamente sofisticate e avanzate concorrenti degli stessi Stati.

Vi sono costruzioni, come la stessa Costituzione americana che si richiama al concetto di “felicità” ma appare evidente che questa felicità non è per tutti.

Si è contrabbandata l’idea del bene comune superiore facendo credere che ogni azione politica ed economica fosse condotta nel nome della Libertà, dell’Uguaglianza, della Prosperità, della Solidarietà, dell’Unione fra i Popoli per un progresso sociale che troppo spesso tale non è. Assistiamo all’affermarsi di attori accentratori e pure narcisi che già potenti diventano anche più potenti al punto di pensare di poter piegare tutto al proprio desio, fantasticando di sconfiggere pure la morte mentre nel frattempo arano la terra col vomere della sofferenza facendo propria la forbice di Atropo.
I banchieri centrali, le multinazionali, i grandi fondi di investimento hanno mostrato un insaziabile appetito interessati unicamente al profitto incuranti e indifferenti alla necessità di un progresso sociale promesso da acquisiti ventriloqui. Gli Stati, nel frattempo ad arte svuotati e ridimensionati, non sono riusciti a incidere con quei correttivi necessari per l’imposizione dei rintocchi del mantra “lasciamo fare ai mercati che si autoregolano!”.
La conseguenza, sotto gli occhi di tutti, è quella di un mondo pregno di difetti economici tra i quali i più evidenti sono l’incapacità di assicurare piena occupazione, scatenare una iniqua e arbitraria distribuzione della ricchezza e dei redditi.

Sull’orma di uno sfrenato “Laissez -faire” dei mercati e l’asservimento completo alle logiche spesso illogiche e alle giaculatorie ricattatorie della finanza speculatoria, gli stati hanno dismesso di fare gli Stati entrando in un “gorgo” fittizio complici più o meno inconsapevoli della liquefazione della storia e della loro Storia e dei partiti che hanno fatto Storia nel tentativo di cancellare tutto con la promessa di fantastici e fantasiosi mondi anche virtuali e “paralleli”, ove occorresse, in dissociazione da noi stessi e dalla realtà.

Eppure un autentico Stato libertario, mai può dismettere il suo ruolo di guida. Avvertiva Keynes, rispondendo in opposizione agli “ortodossi” della scuola di Chicago, che “ …non è importante che lo Stato assuma la proprietà dei mezzi di produzione…ma deve essere in grado di determinare l’insieme delle risorse destinate all’aumento dei mezzi di produzione e del tasso di remunerazione di chi li possiede. E’ necessario prevedere misure di socializzazione che vanno introdotte gradualmente.” E quanto all’individualismo, oggi indicato come il male della nostra epoca, diceva che “se purgato dei suoi difetti e abusi, costruisce la miglior salvaguardia della libertà e amplia la varietà dei modi di vivere cosa che manca negli stati totalitari”. ( General Theory Cap. XXIV- J.M. Keynes).

Però diceva anche che “il Capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso, e non mantiene le promesse……lo disprezziamo, ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi “
( Autosufficienza Nazionale- J.M. Keynes).

In soldoni, il sistema capitalistico serve ed è insostituibile ma non lo si può lasciare fare completamente perché nulla garantisce che sia in grado di fare bene.
Oggi il valore premonitorio e monitorio di questa affermazione è di evidenza.

Gli Stati, invocava Keynes, sono un necessario argine intesi non come un impedimento al capitalismo ma come un elemento modulatore e in questo si inserisce l’azione amministrativa e di indirizzo della Politica.

Ma se la politica finisce sotto dominio dei mercati e della finanza allora si rivela distolta e protesa verso lotte pure nobili come la tutela dei diritti civili nel nome dell’uguaglianza dimenticando che rispondono allo stesso principio le lotte per i diritti sociali che non si sono risolte con il ‘900 perché questo mondo sovra-strutturato, tecnologico, moderno, capace di produrre ricchezza resta ancora incapace di distribuirla.

Ed ecco che allora tutto ritorna, intere classi sociali si ritrovano impoverite con il paradosso che un terzo della ricchezza mondiale è nelle mani di tre fondi tra cui spicca Black Rock.
Società sempre meno sociali per una atomizzazione esiliante dell’essere nel nome dell’avere per di più di pochi .

Tra le tante distonie risaltano, oltre la corruzione, indotte predeterminate crisi economico -finanziarie che si accompagnano a guerre asimmetriche combattute a più livelli quasi che il mondo fosse tutto un grande Gioco dell’Oca, un grande bluff, a metà tra Monopoli e Risiko. La costruzione, reggendosi su trucco e speculazione, ha finito per implodere nelle mani degli stessi incendiari che si sono trovati innanzi all’incendio di due questioni: da un lato la concorrenza di paesi non più emergenti ma “emersi” che hanno sottolineato che il Mondo non può essere di uno solo ( è il fronte esterno) e dall’altra che chi sta impoverendosi non intende assistere inerme al proprio declassamento ( fronte interno) ed è in questo capitolo che si innesta il fatto drammatico e pur grottesco dell’attacco a Capital Hill.

C’è che la ricchezza, ha senso se ha una valenza e ricaduta sociale e la macchina del tempo forse ci permette di recuperare ma non sarà indolore.

La tesi è che la storia umana fatta di prevaricazioni può trovare un componimento solo nella progressiva estensione dei diritti e dei doveri. Non scomoderò il mio amato Mazzini. I diritti e i doveri vanno insieme e sono il prodotto della ragione umana, quella dei filosofi non dei sedicenti filantropi.
I diritti e i doveri non esistono in natura. Sono un costrutto che muove dal principio di giustizia, la Dike di Mario Bergamo, madre di tutte le libertà, sotto i colpi di Ananke, la Necessità.
La Politica è lo spazio in cui si dovrebbe trovare la sintesi di tre sistemi che si sono sempre avversati: Liberalismo, Socialismo e Ambientalismo. Sintesi significa che ideologie che nel passato si sono aspramente combattute oggi sono chiamate a trasfondersi poichè complementari. E’ ciò che Mario Bergamo cercava di far comprendere con il suo “ Nazionalcomunismo”, termine che ancor oggi inquieta ma solo chi non ha saputo fare i conti con gli spettri del passato mentre invece racchiude in se l’idea di una “Terza Via” che poggia su di un Repubblicanesimo non di facciata, su di una Democrazia non solo formale e su un reale Laicismo e Giustizia Sociale.

Ideologie del ‘900 ritenute a torto inconciliabili e contrapposte mentre in realtà si completano l’una nell’altra e il terreno in cui questo avviene è nel connubio fra diritti e doveri e la loro capacità di ampliarsi e compenetrarsi. Un sentiero che riguarda i diritti sociali ( diritto al lavoro e giusto salario, diritto alla casa, diritto all’istruzione, diritto alla salute e a una buona sanità) e questi diritti pongono come contraltare i doveri.
I diritti civili ed economici devono armonizzarsi con quelli ambientali e per garantire pure questi non vi sono scorciatoie o sotterfugi ma altrettanti doveri pure nei confronti di chi verrà dopo di noi.

Il neo-liberalismo che è stata l’idea dominate degli ultimi quarant’anni si è preteso inconciliabile con il socialismo e con l’ambiente. Ma se si procede non per dogmi abbandonando le scorie ideologiche e ci si muove secondo giustizia e necessità ci si avvede che liberalismo, socialismo e ambientalismo hanno tutti una vocazione universalistica e nel trasfondersi agevolerebbero la consapevolezza di fratellanza parlando a tutta l’umanità organizzata in Stati per questione anche di praticità o che dir si voglia amministrativa.

La Cina parla di armonia, sulla scorta confuciana di armonizzazione tra le genti; l’America parla di “Ricerca della Felicità” con una intonazione anche più altisonante salvo poi la difficoltà di esplicitare in cosa essa consista; la Francia rivoluzionaria puntò diritta la prua al grido di “Liberté, Egalité, Fraternité” tre parole, una sola bussola di riferimento per la concordia e che significa che non possiamo continuare a “sbinariare” dalla libertà ( propria del liberalismo) , dall’ uguaglianza ( propria del socialismo) e dalla fraternità propria del fatto che viviamo tutti lo stesso pianeta. Non c’è perciò nessun dogma che tenga ma una combinazione, la sintesi tra istanze in continua evoluzione e adeguamento nel tempo.

 

a Cura di Paola Bergamo

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