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Agenda globale e il falso mito del sovraffollamento

Agenda globale e il falso mito del sovraffollamento

La questione demografica è un tema che spesso suscita dibattiti e preoccupazioni non sono in Italia, ma in tutto il mondo: si tratta, infatti, di un e

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La questione demografica è un tema che spesso suscita dibattiti e preoccupazioni non sono in Italia, ma in tutto il mondo: si tratta, infatti, di un elemento essenziale per lo sviluppo e il futuro di ogni nazione. Proprio recentemente hanno suscitato scalpore le esternazioni del magnate statunitense Elon Musk secondo cui il problema che affligge il pianeta non è quello della sovrappopolazione, bensì l’esatto contrario: un inarrestabile calo demografico. Tuttavia, ad ossessionare l’opinione pubblica e le istituzioni occidentali, soprattutto dagli anni Sessanta in avanti, è il problema di un’esponenziale crescita demografica, vissuta all’insegna del catastrofismo. Emblematico di quest’idea che identifica nell’aumento demografico un vero e proprio cancro per il Pianeta è il libro del biologo statunitense Paul R. Herlich “La bomba demografica”, uscito nel 1968. Secondo l’autore, infatti, l’aumento esponenziale della popolazione comporterebbe carestie, fame, povertà e catastrofi ambientali in tutto il mondo. Il tema della “sovrappopolazione” è diventato, dunque, centrale nelle politiche dei Paesi occidentali, con istituzioni come l’ONUthink tank privati come il Club di Roma che per anni hanno sostenuto e messo in atto politiche di contenimento della popolazione. Sulla medesima scia, di recente, il nostro ministro per la transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha affermato esplicitamente, durante una conferenza, che «il pianeta è progettato per tre miliardi di persone»: ciò significa che i restanti quattro miliari sono di troppo. E, del resto, lo stesso Cingolani ha tolto subito ogni dubbio affermando che «l’essere umano è un parassita perché consuma energia senza produrre nulla».

Il vero problema è la denatalità

Detto ciò, è possibile constatare che, allo stesso tempo, torna ciclicamente alla ribalta anche il problema inverso, ossia il crollo demografico in quasi tutti i Paesi sviluppati e non solo: come accennato, Elon Musk ha suscitato un vespaio di polemiche scrivendo su Twitter che «l’Italia si troverà senza popolazione se le nascite continueranno a calare» e affermando, similmente, che la curva demografica degli Stati Uniti è al di sotto del livello di rimpiazzo da circa 50 anni. Indipendentemente dai motivi che hanno spinto un transumanista come Musk a preoccuparsi del fattore demografico, se si osservano i dati, le affermazioni del CEO di Tesla risultano corrette: nella maggior parte dei Paesi del mondo, i governi si trovano a dover affrontare lo spettro della denatalità piuttosto che quello opposto della sovrappopolazione. Non solo l’Europa, infatti, assiste ad un costante calo delle nascite, ma anche l’Asia: il Giappone, ad esempio, è il Paese con la popolazione più anziana del mondo seguito dall’Italia: secondo i dati Istat, nel nostro Paese la curva demografica continua a calare e nel 2021 le nascite sono state 12.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2020. Secondo le previsioni, se la tendenza demografica italiana proseguirà in questa direzione, gli italiani potrebbero letteralmente scomparire entro due secoli. La stessa cosa succede in Asia: un recente articolo dell’Economist ha spiegato come Hong Kong, Macao, Singapore e Corea del Sud si stiano avvicinando allo stesso tasso di bassa natalità del Giappone, inclusa la Cina.

Anche la Russia sta affrontando un notevole calo demografico: la sua popolazione, infatti, si è ridotta di circa mezzo milione di unità l’anno scorso, segnando la più netta contrazione da 15 anni a questa parte. Secondo l’ente statistico Rosstat, la Federazione registrava nel 2021 146 milioni 238 mila abitanti, il minimo dal 2014, anno che ha visto un balzo di oltre 2 milioni grazie all’annessione della Crimea. Per questo il presidente Vladimir Putin ha dichiarato di trovare preoccupanti le dinamiche demografiche del suo Paese, incoraggiando il popolo russo ad avere almeno tre o quattro figli per coppia. Gli unici continenti per i quali si prevede una crescita demografica sono l’India e l’Africa.

Le origini della teoria sulla sovrappopolazione

Nonostante ciò, la convinzione che la popolazione mondiale stia aumentando a ritmi insostenibili è penetrata in modo quasi irreversibile nell’opinione dei più, diventando uno dei tanti luoghi comuni, ripetuto incessantemente da un certo tipo di propaganda. Da dove nasce, dunque, il (presunto) problema della sovrappopolazione? Le sue origini risalgono lontano nel tempo, quando la popolazione della Terra era ancora ben lontana dagli attuali 7 miliardi circa: è possibile farle risalire al Settecento, quando l’economista inglese Thomas R. Malthus pubblicò il suo “Saggio sul principio di popolazione” (1798) in cui scriveva che “il potere di popolazione è infinitamente maggiore del potere che ha la terra di produrre sussistenza per l’uomo. La popolazione, quando non è frenata, aumenta in progressione geometrica. La sussistenza aumenta soltanto in progressione aritmetica”. Poiché ciò comportava un divario notevole tra risorse e popolazione, da un punto di vista politico, la tesi di Malthus implicava l’esigenza non solo d’introdurre iniziative di controllo delle nascite, ma anche di negare l’assistenza alle fasce più povere della società.

Per Malthus, una delle principali cause di povertà e sottosviluppo, infatti, era proprio la sovrappopolazione. Tuttavia, la tesi delle progressioni aritmetica e geometrica non era corroborata da alcuna evidenza empirica e, in seguito, fu più volte smentita dai fatti. Come riporta il Wall Street Journal: “nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo, la popolazione del mondo occidentale è cresciuta rapidamente, con un crollo nel biennio 1918-19 a causa della Prima guerra mondiale e della pandemia di influenza spagnola. Ma l’aumento della produttività agricola si è dimostrato più che in grado di alimentare le bocche dei più”. Se, come sosteneva Malthus, un alto tasso di natalità è alla base di fame e povertà, la situazione opposta – ossia una popolazione numericamente contenuta – dovrebbe comportare maggiore benessere e prosperità per tutti. Ma anche quest’ipotesi è stata clamorosamente smentita già a partire dal 1845, quando scoppiò la Grande carestia irlandese, a causa di un parassita del tubero delle patate che distrusse i raccolti. In quell’occasione, la drammatica condizione comportò decessi e una massiccia emigrazione che diminuì notevolmente il numero della popolazione: quando i campi tornarono alla normale produzione, tuttavia, il meccanismo di spopolamento era ormai avviato e il calo demografico non accennò a diminuire. Nonostante ciò, le condizioni di vita degli abitanti e la crescita economica non ne ebbero alcun vantaggio, ma anzi continuarono a peggiorare. È emerso rapidamente quindi che la teoria di Malthus non era fondata su evidenze scientifiche e che in realtà è proprio la denatalità ad ostacolare lo sviluppo economico, esattamente il contrario di quanto sostenuto dall’economista inglese: lo stesso Wall Street Journal ha evidenziato questo fatto in un articolo intitolato “Come la demografia governa l’economia globale”: qui viene rilevato come ad ostacolare la ripresa dalla crisi finanziaria globale siano stati proprio i dati demografici, con una popolazione in età lavorativa in costante calo nelle economie avanzate, ma anche in quelle emergenti. Secondo l’autore dell’articolo, in questo modo “le aziende restano senza lavoratori, senza clienti o senza entrambi. In ogni caso, la crescita economica ne risentirà”. Al di sotto di una certa densità di popolazione è difficile che si creino le condizioni per lo sviluppo e i fatti hanno più volte smentito la teoria malthusiana. Non a caso, i Paesi con una maggiore potenzialità di crescita economica sono quelli con un alto tasso di natalità.

Le politiche neomalthusiane adottate dal “potere”

Nonostante le evidenze abbiano ampiamente smentito le ipotesi di Malthus, la sua “teoria” fu accolta con enorme favore ai vertici del potere britannico e, in particolare, presso la Royal Society – una delle più antiche associazioni accademiche che ricevette la patente reale – di cui l’economista inglese era membro. Ridurre o contenere la popolazione risulta essenziale ai fini del controllo delle masse: è molto più semplice, infatti, governare e sottomettere ristretti gruppi di popolazione. Inoltre, la teoria malthusiana venne formulata a ridosso della rivoluzione industriale che portò con sé anche la nascita del liberismo: contenere la popolazione, dunque, serviva anche a contenere le potenziali rivolte della classe operaia che andava irreggimentata e disciplinata.

Nel corso del XX secolo, le teorie fin qui esposte non tardarono a penetrare nel cuore degli organismi internazionali che costituiscono il nucleo delle politiche globali: istituzioni come l’ONU, infatti, ricevettero cospicui finanziamenti da importanti fondazioni americane e internazionali – quali la Fondazione Rockefeller e il Club di Roma – che vedevano nella sovrappopolazione una delle principali cause di povertà e sottosviluppo. Proprio il Club di Roma finanziò uno studio di ricerca condotto dal MIT (Massachusetts Institute of Technology), intitolato “The Limits to Growth” (I limiti della crescita, 1972), che fondamentalmente altro non era che una versione aggiornata delle idee di Malthus. Per questo si parla spesso di politiche neomalthusiane, ossia quelle misure che, specialmente le istituzioni occidentali, hanno imposto ai paesi in via di sviluppo, ma non solo, con il pretesto di combattere la povertà: si pensi, ad esempio alle iniziative di “birth control” attuate in Africa, dove le cause della povertà non sono di certo da ricercare nei dati demografici, quanto nello sfruttamento neocoloniale attuato dai Paesi occidentali per mezzo di organismi come l’FMI che hanno sistematicamente imposto politiche di austerità contrarie alla crescita economica.

Meno umani e più robot?

Tuttavia, ancora oggi, i vertici delle istituzioni politiche occidentali individuano nel “sovraffollamento” del pianeta uno dei principali mali attuali da monitorare costantemente: tale visione è accompagnata, a tratti, anche da un più o meno velato disprezzo per l’umano in sé, tradito da esternazioni come quella di Cingolani, per cui l’uomo sarebbe un «parassita». Tale atteggiamento ha promosso ideologie e movimenti che vorrebbero rimpiazzare, specialmente sul lavoro, gli esseri umani con robot, umanoidi e droni sulla scia della Quarta Rivoluzione Industriale e del transumano.

Lo stesso Cingolani, del resto, è un esperto nonché sostenitore della robotica e dell’intelligenza artificiale: nel 2018, al Festival economico di Trento – il cui tema era “Lavoro e Tecnologia” – portò sul palco il robot umanoide iCub, realizzato dall’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che allora dirigeva. Secondo il Ministro della transizione ecologica, infatti, in un futuro non troppo lontano, le macchine intelligenti supporteranno l’uomo nelle attività quotidiane, migliorando la vita, il lavoro e l’invecchiamento. Cingolani è uno dei tanti esponenti delle istituzioni appartenenti alla schiera dei fautori del transumanesimo: di conseguenza, proseguendo su questa china e stando ai programmi “visionari” delle élite di Davos, potremmo ritrovarci con pochi abitanti – per lo più anziani – e più umanoidi come iCub. Al fine di evitare uno scenario di questo tipo, è necessario invertire la tendenza demografica, specie in Paesi come l’Italia. A meno che in futuro non ci si voglia ritrovare in una nazione spopolata, rimpiazzata da droni e macchine parlanti.

Fonte: Indipendente.online

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