In Europa operano ormai 96 challenger banks, di cui 64 attraverso una licenza bancaria completa. A sorpresa, l’Italia con le sue 12 challenger banks è il secondo Paese più rappresentato nella graduatoria europea dopo il Regno Unito (37); seguono Italia e Francia (12), Germania (8) e Spagna (7). «Gli operatori italiani appaiono tuttavia di dimensioni minori e presentano valori inferiori alla media per ricavi e totale attivo». E’ questa la fotografia che emerge dal rapporto dell’Area Studi di Mediobanca sulle 96 challenger, il secondo capitolo di una serie programmata di report sul mondo FinTech (il primo, sul PayTech, è stato pubblicato lo scorso dicembre).
Il boom dal 2013
Dal rapporto risulta che circa il 65% delle società europee analizzate è stato costituito dopo il 2013. Il triennio 2014- 2016 è stato il più fecondo, con l’avvio di 26 società. Delle 96 complessive, solo nove sono per ora quotate in Borsa: sei inglesi, una italiana (Illimity Bank), una estone e una norvegese (Aprila Bank) trattata in un mercato non regolamentato (Euronext NOTC), mentre altre tre società sono state delistate, oggetto di acquisizione da parte di incumbent o fondi d’investimento.
Le “vecchie” digital banks nate prima del 2010
Più in dettaglio, l’analisi evidenzia due diversi trend in base alla data di nascita delle banche digitali (e alle diverse tipologie). «I ricavi delle traditional, ovvero le challenger banks costituite prima del 2010, sono risultati in contrazione del 7,1% risentendo degli effetti delle misure di contenimento sanitario. Inclusi in questo cluster vi sono infatti alcuni player che affiancano all’operatività online anche una snella presenza fisica». Al contrario, sempre secondo il rapporto di Mediobanca, «la diffusione della pandemia ha giovato alle challenger banks prettamente digitali, ovvero le subsidiaries (enti giuridici che gestiscono le iniziative online di grandi Gruppi) e le neobanks (costituite dopo il 2010), con crescite dei ricavi nell’ordine del +19,9% per le prime e del +24,8% per le seconde». Ma anche in questo caso la profittabilita’ e’ di la’ da venire: le neobanks hanno una redditività ancora negativa, (ROE al -13,9%, +0,1 p.p. sul 2019).
Le challenger banks e il fundraising
Se il rapporto con i mercati borsistici appare ancora modesto, le challenger banks fanno invece ampio ricorso al venture capital. Dal 2016 a oggi ammontano a 11,6 miliardi di euro le risorse raccolte tramite questa forma di finanziamento. Solo nel 2021 sono stati complessivamente raccolti 3,5 miliardi di euro (+129,5% sul 2020). I conteggi per i primi sei mesi del 2022 risultano in rialzo dell’82,3% sullo stesso periodo del 2021 attestandosi a 1,8 miliardi, ma in parziale raffreddamento.
Fonte: Il Sole 24 Ore