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L’inferno di Haiti

L’inferno di Haiti

Tornare ad Haiti è come prendere un ascensore per scendere dritti all’inferno. Il caldo è infernale, l’odore per le strade è infernale, così com

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Tornare ad Haiti è come prendere un ascensore per scendere dritti all’inferno. Il caldo è infernale, l’odore per le strade è infernale, così come l’estrema povertà e la religione woodoo.

1500 persone hanno trovato rifugio presso la chiesa di Saint Ives dopo aver perso le loro case a causa della guerra tra le gang

Per arrivare ad Haiti dalla Repubblica Dominicana ci sono varie frontiere, ma ora quella migliore è da Dajabon, dove il confine viene segnato dal fiume Massacre nel quale moltissimi haitiani hanno perso la vita cercando di passare dalla parte ovest a quella est dell’isola, una volta chiamata Hispaniola.

Fori di arma da fuoco di grosso calibro sono ovunque nelle strade di Citè Soleil

Fori di arma da fuoco di grosso calibro sono ovunque nelle strade di Citè Soleil

Non essendo periodo di cicloni tropicali il fiume è quasi secco, qualcuno lava i panni, altri si lavano, altri fanno semplicemente un bagno rinfrescante.

Bambini giocano a pescare in un fiumiciattolo discarica a Citè Soleil

Da Santo Domingo si va verso Cap Haitien così chiamata perché il 24 dicembre 1492, la nave Santamaria di Cristoforo Colombo si incagliò davanti a La Hispaniola.

Donne haitiane tornano dal fiume dopo aver lavato la biancheria

Con il resto della nave venne costruito il Forte Natale, il primo insediamento spagnolo nelle Americhe. Il nome cambierà prima in Cap-Francois, poi in Cap-Henri fino a Cap Haitien, appunto. Veniva chiamata la “Petit Paris” per la bellezza delle case e il lusso dei suoi abitanti, ma nel 1842 un terremoto e uno tsunami distrussero la città, che ancora oggi come importanza è seconda solo alla capitale Port au Prince.

Qui è nato e cresciuto il presidente Jovinel Moise, assassinato lo scorso 7 luglio nella sua villa sulle colline di Petion Ville a Port au Prince. Ancora ad oggi sono sconosciute le ragioni che hanno portato ad un omicidio tanto cruento.

Celebrazione in memoria del presidente Moise a Port au Prince,prima dei funeral

Quello che è sicuro è che un commando di 26 ex militari colombiani è entrato di notte, con un assalto improvviso, al grido “siamo della Dea”, sapendo benissimo di essere ripresi dalle svariate telecamere di sorveglianza che circondano la residenza presidenziale.

Prima di essere giustiziato, il presidente è stato barbaramente torturato. Le radiografie e il referto del medico legale, infatti, evidenziano multiple fratture alle gambe, al tronco e al bacino, oltre a diversi fori da arma da fuoco in varie parti del corpo. Si vede perfino un proiettile sparato a bruciapelo in un occhio. La moglie è stata ferita gravemente e subito trasferita in un ospedale in Florida a Miami, i figli fortunatamente non erano in casa al momento del massacro.

Le guardie del corpo e gli uomini della sicurezza sono rimasti tutti misteriosamente illesi. Mille ipotesi sono state fatte nei giorni seguenti. Quasi immediatamente, 16 dei 26 colombiani che avevano condotto l’assalto sono stati arrestati dalla polizia nazionale. Due di loro sono americani di origine haitiana. Sono stati incarcerati a Santo Domingo, in quanto il commando, con un volo Avianca dalla Colombia,  era atterrato a La Romana in Repubblica Dominicana il 4 di giugno per poi entrare ad Haiti dalla frontiera meno controllata quella di Elias Pina.

Joseph Lambert designato dal Senato haitiano, presidente provvisorio

La prima notte si passa a Cap Haitien. Bisogna poi prendere un bus che attraversa il Paese per arrivare nella capitale, Port au Prince. Un viaggio di 12 ore su strade distrutte e dissestate, dove sono presenti diversi checkpoint militari, barriere di sassi e filo spinato, copertoni bruciati in mezzo alla strada.

Qui le persone non vivono. Sopravvivono abbondantemente sotto la soglia di povertà. Secondo l’Onu, infatti, il 70% della popolazione ha a disposizione meno di 2 dollari al giorno.

1500 persone hanno trovato rifugio presso la chiesa di Saint Ives dopo aver perso le loro case a causa della guerra tra le gang

La vita ad Haiti è davvero durissima e vale poco o niente, si viene ammazzati anche per pochi gourds (così si chiama il dollaro haitiano).

Oggi più che mai, dopo una storia di schiavitù, guerre e colpi di Stato, il Paese è sul baratro di un precipizio senza fine. A dettare la legge (e a terrorizzare i civili) sono gruppi, armati meglio dell’esercito, e pandillas chiamate G9. Uomini spietati e senza alcun limite.

Questi gruppi sono stati resi potenti dai precedenti governi, che li sovvenzionavano con ingenti somme di denaro e acquistando dagli Stati Uniti armamenti degni dei marines. Il loro leader è un ex poliziotto soprannominato Barbecue perché ama bruciare luoghi e persone.

Scontri a Cap Haitien

Ci sono zone del paese come Martissant-Citè Soleil-Bel-Air e Bas Dalmas dove ogni giorno ci sono scontri a fuoco, rapimenti e decine di morti. Una vera guerra. Il numero delle vittime, però, non fa nemmeno più notizia sui telegiornali.

Uomo di una gang che girava per le strade sparando con una pistola,è stato ucciso dalla polizia Nazionale. Port au Prince

Bastano poche ore a Port au Prince per vedere il primo cadavere. Un membro delle gang, che con una moto girava per le strade sparando come nel Far West con una pistola, è stato ucciso in uno scontro a fuoco dalla polizia nazionale.

Ormai l’intera popolazione vuole scappare da una situazione insostenibile e sempre più critica di ora in ora. Chi vorrebbe arrivare in Repubblica Dominicana, chi negli Stati Uniti, chi in Francia o in qualsiasi posto lontano da qui.

La vedova del presidente Martine Moise, tramite Twitter, lascia un messaggio al mondo e ai suoi compatrioti: “Sto lottando per la mia vita, il mondo presto saprà la verità, ci hanno venduti per pochi centesimi come le bottiglie vuote, la nostra stessa gente, così come hanno venduto il paese. È morta la democrazia”.

Strade di Port au Prince

Dopo soli nove giorni di ricovero a Miami, dove inizialmente era stata data per deceduta, poi in condizioni gravissime ma viva, si presenta con solo un braccio ingessato, indossando un giubbotto anti proiettile a Port au Prince. Ad accoglierla è Joseph Lambert, designato dal Senato haitiano come presidente provvisorio.

Lambert nega ogni autorità al primo ministro Claude Joseph, che era al potere dal giorno successivo all’omicidio del presidente Moise. Scelta appoggiata anche da Onu e Stati Uniti. Il Paese si trova a vivere l’ennesima bufera politica e la first lady rilascia un comunicato stampa dicendo che, anche se i mercenari che hanno compiuto l’omicidio del marito sono in carcere, è preoccupata per la presenza di politici che pronti a spegnere i sogni di Moise per il suo Paese.

Sono giorni difficilissimi e pieni di tensione. Unica nota positiva: il 17 luglio è iniziata la vaccinazione anti Covid. Fino ad oggi infatti Haiti era uno dei pochissimi Paesi al mondo a non aver ancora iniziato la campagna vaccinale. Gli Stati Uniti hanno inviato come donazione attraverso il meccanismo Covax 500mila dosi di Moderna. Nel Paese, però, su 11 milioni di abitanti nemmeno l’1% indossa la mascherina e il potersi disinfettare le mani qui è una utopia irrealizzabile.

Nella chiesa di Saint Yves, dove in un vecchio magazzino crollato dopo il terremoto del 2010 hanno trovato rifugio quasi 1500 persone (di cui 240 sono bambini) è tornata un po’ di speranza. Da pochi giorni, infatti, è nata una bambina.

In stanze di pochi metri quadri vivono in condizioni disumane 21, 23 e anche 24 famiglie. I volontari della Protezione civile haitiana raccontano che tutte quelle persone hanno perso le loro case a causa dei conflitti territoriali e delle violenze che i gruppi del G9 hanno intrapreso da anni. Nelle grandi stanze buie, il caldo e l’odore sono infernali. Ci sono sagome nere che ti scrutano. Si vede solo il bianco dei loro bulbi oculari. Molti, e non solo bambini, girano completamente nudi. Sembra di essere in un girone dantesco.

Alcuni bimbi piccoli ti sorridono in un modo che ti spacca il cuore in un solo colpo. Gli occhi ti si riempiono di lacrime che non riesci a trattenere per quello a cui stai assistendo.

La città è stranamente tranquilla e ci sono poche persone in giro. La tensione è altissima, ci si aspetta da un momento all’altro lo scoppio di rivolte che non tardano ad arrivare. La mattina del 22, infatti, iniziano manifestazioni violentissime per le strade non solo di Cap Haitien ma in tutto il paese. Migliaia di persone mascherate, con armi da fuoco e machete, invadono le piazze scontrandosi tra gang rivali e contro polizia nazionale ed esercito. È un caos terribile e pericolosissimo. L’aria diventa nera per i fumi dei copertoni bruciati.

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