Fonte: Formiche.net
La classica zappa sui piedi. Succede anche nella Cina che sì, sarà anche la seconda economia globale, ma di guai ne ha tanti, a cominciare dalle banche. I vertici del partito comunista non devono essere per nulla contenti dell’andamento dei principali istituti del Dragone. I margini, complice il congelamento dei tassi da parte della Pboc, latitano. E gli alert sulla ripresa del settore creditizio cominciano a essere un po’ troppi.
Forse anche così si spiega il nuovo affondo di Pechino sulla finanza. In questi giorni le autorità cinesi stanno mandando un avviso ai dirigenti bancari: giro di vite sui 60 mila miliardi di dollari del settore finanziario, intrapreso mesi fa, è tutt’altro che finito. La comunicazione è avvenuta in un incontro privato tre giorni fa, ha scritto Bloomberg, ma la notizia è trapelata solo nelle ultime ore.
I funzionari della China Banking and Insurance Regulatory Commission e della Central Commission for Discipline Inspection hanno convocato i massimi dirigenti di almeno sei grandi banche statali per affrontare l’indagine sull’ex presidente della Bank of China, Liu Liange. L’ex banchiere è sospettato di “gravi violazioni della disciplina e della legge”. Per questo le due commissioni hanno annunciato che intendono reprimere la corruzione nel settore finanziario e che i banchieri dovrebbero trarre lezioni dal caso Liu. In altre parole, è andato in scena una specie di ammonimento generale che ha il retrogusto dell’epurazione.
Ora, tutto questo, come ha sottolineato il Financial Times, gli echi di epurazione dovrebbero far innervosire gli investitori, che potrebbero decidere di abbandonare le grandi banche, provocando crolli in Borsa. Per il governo del Dragone la corruzione può essere un pretesto per estromettere i manager più sgraditi al partito. Ma tutto questo allontanerebbe gli investitori, che mal digeriscono da sempre le ingerenze politiche.