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Bloody Sunday: una maledetta domenica di sangue

Il 30 gennaio 1972 è passato alla Storia come il Bloody Sunday: a Derry, nell'Irlanda del Nord, militari inglesi fermarono una marcia per i diritti civili uccidendo 14 persone.

Bloody Sunday: una maledetta domenica di sangue

Il 30 gennaio 1972, a Derry, Irlanda del Nord, i parà inglesi fecero fuoco su una marcia civile e uccisero 14 persone: quella strage era destinata a

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Il 30 gennaio 1972, a Derry, Irlanda del Nord, i parà inglesi fecero fuoco su una marcia civile e uccisero 14 persone: quella strage era destinata a passare alla storia come Bloody Sunday (domenica di sangue) e ad attirare definitivamente l’attenzione internazionale sulla gravità della situazione irlandese. Prima di allora, neanche in un contesto di guerra come quello dell’Irlanda del Nord si credeva possibile che nell’Europa occidentale un esercito potesse compiere un massacro di civili inermi alla luce del sole.

IN MARCIA PER I DIRITTI CIVILI. C’erano migliaia di persone nella marcia di protesta indetta dal Movimento per i diritti civili dell’Irlanda del Nord. Uomini, donne e bambini manifestano pacificamente per le strade reclamando uguaglianza e pari dignità sul lavoro, il diritto alla casa e la fine del voto per censo, ancora in vigore nella provincia britannica. Quando, intorno alle quattro del pomeriggio, i manifestanti raggiunsero il ghetto cattolico di Bogside, un reggimento speciale di paracadutisti inglesi armato con mitragliatrici pesanti cominciò a sparare senza preavviso sulla folla. Tredici uomini rimasero uccisi sotto un inferno di fuoco che durò circa un quarto d’ora. Otto di loro avevano un’età compresa tra i 17 e i 20 anni. Altre 14 persone rimasero ferite gravemente e una di loro morì alcuni mesi dopo. Cinque erano stati freddati alle spalle, un altro fu ammazzato mentre teneva le braccia sulla testa in segno di resa.

 

Questa è la nostra Sharpeville», affermò il leader del Movimento per i diritti civili Ivan Cooper subito dopo l’eccidio. Cooper intuì subito il tragico parallelismo con quanto era accaduto nel 1960 in Sudafrica. Anche in quel caso i militari avevano aperto il fuoco su una pacifica protesta contro il regime dell’apartheid, uccidendo decine di manifestanti. La dinamica degli eventi di Derry fu chiarita fin da subito da centinaia di prove, perizie balistiche e testimonianze. I soldati inglesi avevano sparato su civili inermi con il chiaro intento di uccidere.

FUOCO! Eppure il governo britannico riuscì lo stesso a far credere che i paracadutisti avessero risposto al fuoco, e che le vittime fossero in qualche modo legate all’IRA, l’esercito indipendentista clandestino irlandese. In tutta fretta fu avviata un’inchiesta che si concluse pochi giorni dopo, scagionando l’operato dei militari e aprendo definitivamente la strada a un conflitto destinato a durare un altro quarto di secolo.

«Quello che accadde quel giorno a Derry cambiò radicalmente il corso degli eventi, trasformando una protesta pacifica in una rivolta armata», spiega lo storico irlandese John Dorney: «fino ad allora, la minoranza cattolica aveva creduto che lo Stato dell’Irlanda del Nord fosse riformabile, e si era impegnata con manifestazioni e proteste pacifiche per far cessare le discriminazioni. Ma nelle settimane successive al massacro centinaia di giovani irlandesi si convinsero che protestare pacificamente non serviva a niente, se non a rischiare di essere ammazzati, e andarono a ingrossare le file dell’IRA

POVERTÀ E DISCRIMINAZIONI. Per comprendere ciò che accadde a Derry mezzo secolo fa, bisogna ripercorrere la tormentata storia nord-irlandese. Fin dalla nascita nel 1921, l’Irlanda del Nord, nazione del Regno Unito, aveva imposto ai cattolici – minoranza culturalmente legata alla neonata Irlanda indipendente – condizioni simili a quelle dei neri degli Stati Uniti. Le loro vite erano state segnate da povertà e discriminazioni e dalla negazione dei più elementari diritti: alla casa, al lavoro, al voto.

Ma nel 1967 una nuova generazione di studenti universitari provenienti dai ghetti cattolici tenne a battesimo, proprio a Derry, un movimento per i diritti civili che adottava lo strumento non violento della disobbedienza civile. Le loro richieste: giustizia e democrazia, diritto di voto, diritto alla casa, abolizione delle discriminazioni sul lavoro e delle leggi repressive. Ispirandosi alle lotte di Martin Luther King negli Stati Uniti, il movimento iniziò a organizzare marce di protesta. Ma la reazione del governo nord-irlandese fu brutale. Gruppi di estremisti protestanti attaccavano le marce a colpi di sassi e a bastonate mentre la polizia interveniva solo per arrestare i manifestanti aggrediti. «L’atteggiamento delle forze dell’ordine dimostrò in modo inequivocabile che il governo del Nord, controllato sempre dai protestanti, non era disposto a trattare la comunità cattolica in modo imparziale e non aveva alcuna intenzione di soddisfare le sue richieste», spiega Dorney.

ESCALATION DI VIOLENZA. Le violenze contro la popolazione si intensificarono nel 1969. A Belfast centinaia di edifici vennero dati alle fiamme e circa 1.500 famiglie cattoliche furono costrette ad abbandonare le loro abitazioni. A Derry sorsero barricate per proteggere il ghetto di Bogside (lo stesso della Bloody Sunday). Sul muro di una casa comparve una scritta destinata a passare alla Storia, You are now entering Free Derry: segnava il punto d’accesso in quella che da quel momento in poi sarebbe diventata “la zona libera”di Derry. Uno slogan di sfida che esprimeva lo spirito di resistenza della popolazione e che ancora oggi campeggia sullo stesso muro. Nell’estate del 1969 la situazione era talmente grave che il 14 agosto il governo di Londra decise l’invio dell’esercito per ristabilire la legge e l’ordine. Seguì una drammatica escalation di violenza che portò alla strage compiuta dai soldati il 30 gennaio 1972.

Dopo l’inchiesta-farsa che scagionava l’esercito, la domenica di sangue di Derry è rimasta per decenni uno degli episodi più controversi di quello che ormai era diventato un conflitto anglo-irlandese. Per arrivare finalmente a una verità giudiziaria fu necessario attendere il lungo processo di pacificazione, negli Anni ’90. In seguito alle campagne dei familiari delle vittime e all’appoggio della comunità internazionale, nel 1998 il governo di Londra avviò una nuova inchiesta, affidata al giudice Mark Saville, che durò quasi 12 anni.

IL MEA CULPA DI CAMERON. Furono raccolte le deposizioni di oltre un migliaio di testimoni e nel 2010 un tribunale britannico riconobbe per la prima volta che i paracadutisti di Sua Maestà avevano causato la morte di 14 civili e il ferimento di altri 16, che non vi fu nessuna battaglia per le strade di Derry, ma soltanto una brutale aggressione a sangue freddo contro cittadini inermi.

Toccò al primo ministro britannico dell’epoca, David Cameron, recitare uno storico mea culpa da parte di Londra. In un discorso alla Camera dei Comuni, il premier definì “ingiustificato, ingiustificabile e sbagliato” ciò che accadde a Derry nel 1972, riconoscendo l’innocenza delle vittime e stigmatizzando l’operato dei soldati. Ma al tempo stesso le sue parole scagionarono i vertici dell’esercito. La verità giudiziaria sulla strage di Derry era arrivata, seppur con 38 anni di ritardo, e aveva premiato gli sforzi dei familiari delle vittime.

Fonte: Focus.it

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