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CSTO: la Nato russa?

CSTO: la Nato russa?

Nel corso degli eventi che hanno recentemente interessato il Kazakistan, molto si è parlato dell'intervento, questa volta nel corso di una grande cris

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Nel corso degli eventi che hanno recentemente interessato il Kazakistan, molto si è parlato dell’intervento, questa volta nel corso di una grande crisi in piena regola, delle truppe appartenenti all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (anche nota con la sua abbreviazione in lingua inglese “CSTO” oppure in lingua russa “ODKB”). Sebbene la CSTO venga spesso definita la “NATO russa”, questa definizione è errata e fallisce completamente di rappresentare le peculiari caratteristiche di tale organizzazione.

Il paragone tra NATO e CSTO è improponibile se pensiamo innanzi tutto alla diversa origine di tali organizzazioni.

Dato che la “carta d’identità” ed il “DNA” della NATO sono ben noti, mi concentrerò esplicitamente a parlare della CSTO al fine di descriverne sia la ragione d’esistenza che il modus operandi.

L’origine della CSTO risale al disfacimento dell’Unione Sovietica, sul finire del 1991. Dopo una prima, immediata, “ubriacatura”, dovuta alla proclamazione dell’indipendenza dei vari paesi una volta costituenti “l’Impero Comunista”, i leader degli “stati successori” iniziarono frenetiche negoziazioni al fine di forgiare nuove partnership e collaborazioni incrociate. Inutile a dirlo, la Russia fu da subito coinvolta in pressoché tutti i tavoli negoziali al fine di poter mantenere una forma di controllo indiretto sugli altri stati post-sovietici, collettivamente noti come “Estero Vicino” (Ближнее Зарубежье) secondo una formula lessicale coniata dall’allora Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, Andrey Vladimirovich Kozyrev.

Ovviamente, una delle problematiche più pressanti che si doveva risolvere era quella di garantire la sicurezza militare complessiva.

All’inizio gli stati post-sovietici optarono per il momentaneo mantenimento delle Forze Armate Sovietiche le quali nel 1992 divennero note come Forze Armate Unite della Comunità degli Stati Indipendenti in attesa che l’eredità militare dello “stato comune” venisse divisa tra le 15 nuove repubbliche. Successivamente, il 15 di marzo dello stesso anno, 6 delle 15 repubbliche (Russia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan) decisero di dare vita ad una nuova alleanza militare dai contorni ancora piuttosto “sfuocati” che prese il nome di “Patto di Tashkent”, dal nome della capitale dell’Uzbekistan scelta per ospitare il vertice che si concluse con la firma degli accordi preliminari.

Nel corso del 1993 anche la Bielorussia, l’Azerbaigian e la Georgia decisero di aderirvi portando il totale dei paesi membri al suo picco storico di 9.

Nel 1994, finalmente, dopo due anni di trattative, l’alleanza entrò ufficialmente in funzione per un periodo di 5 anni e la prospettiva di venire rinnovata.

Nel 1999, la Georgia, l’Azerbaigian e l’Uzbekistan optarono per non rinnovare il patto mentre tutti gli altri contraenti lo fecero introducendo inoltre una serie di modifiche allo statuto che finirono per istituire un’alleanza militare vera e propria; la CSTO era ora veramente nata.

Come da statuto dell’organizzazione, la CSTO ha come scopo quello di garantire la mutua difesa dei contraenti da limitate minacce militari esterne, combattere il terrorismo ed il commercio illegale di stupefacenti, garantire la stabilità interna dei paesi contraenti mettendoli al riparo da qualsiasi iniziativa di destabilizzazione che possa partire dall’interno o dall’esterno.

Per evitare possibili scivolamenti verso influenze diverse da quella russa, i paesi contraenti non possono aderire allo stesso tempo ad altre alleanze militari. Inoltre, per poter aprire sul proprio territorio una base di un paese terzo, il paese aderente alla CSTO che sia oggetto di una tale iniziativa diplomatico-militare deve prima ricevere il previo consenso da parte degli altri paesi dell’alleanza. Fu così per il Kirghizistan quando gli Stati Uniti d’America intavolarono trattative per l’apertura di una base aerea (oggi chiusa) a Manas, nel periodo a seguire gli eventi dell’11 settembre 2001. Oppure per il Tagikistan quando entrò in trattative con l’India per l’apertura di due basi per l’Aeronautica Indiana rispettivamente a Farkhor e ad Ayni (queste invece tutt’ora in utilizzo).

Nel corso degli anni il percorso di vita della CSTO è stato decisamente accidentato e non privo di critiche.

L’alleanza non è mai riuscita a liberarsi della nomea di essere niente altro che uno strumento della Russia per mantenere il controllo sui suoi ex territori “imperiali”. Inoltre, essendo essenzialmente un accordo che riunisce governi di natura autoritaria, la CSTO non gode al suo interno della stessa “compattezza ideologica” che ha la NATO, non essendoci una vera e propria comunanza di valori.

Essendo quindi un’alleanza militare di comodo nella quale la Russia riveste un ruolo preminente, la CSTO tende ad essere soggetta alle pressioni così come alle priorità strategiche di Mosca.

Questo è un punto molto importante perché quando i cosiddetti “alleati” della Russia si sono trovati letteralmente “impelagati” in contese, anche drammaticamente violente, con altri stati non facenti parte dell’alleanza o, addirittura, con gli altri paesi della CSTO stessa, Mosca ha spesse volte miseramente fallito nel tentativo sia di fare da paciere e mediatore sia nel difendere gli alleati vittima di aggressione. Come esempi si possono citare i frequenti scontri di frontiera tra Kirghizistan e Tagikistan dove la Russia ha avuto difficoltà a svolgere un ruolo da mediatore. Oppure le minacce di guerra che a più riprese l’Uzbekistan ha indirizzato sia contro il Tagikistan che contro il Kirghizistan.

Un esempio estremo poi è costituito dal conflitto in atto tra Armenia ed Azerbaigian. Infatti sia nel corso degli scontri di frontiera nella provincia di Tavush nel luglio 2020, sia durante la Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh tra il 27 settembre ed il 10 di ottobre 2020 ed infine durante gli scontri di frontiera protrattisi nel corso dell’anno 2021, la CSTO ha fallito nel compito di supportare uno dei suoi stati membri impegnato in una guerra convenzionale contro un paese non facente più parte dell’alleanza.

La ratio di tutti questi tentennamenti da parte della CSTO (o per meglio dire, da parte della Russia) si spiega con il fatto che Mosca non ha mai abbandonato l’obiettivo di reintegrare in un unica sfera d’influenza (quando non nello stato stesso!) tutti i territori una volta facenti parti dell‘URSS. Ecco perché la leadership del Cremlino è sempre stata molto riluttante ad usare le armi per sottomettere al suo volere gli altri paesi post-sovietici come insegnano gli esempi di Moldavia, Georgia ed Ucraina.

Una conseguenza di questo agire è che la CSTO si è trovata sottoposta ad uno “sbarramento di fuoco”, a volte anche decisamente sostenuto, da parte della stampa e delle opinioni pubbliche o dei regimi di diversi stati membri. È il caso dell’Armenia, dove la CSTO gode di una popolarità ormai ridotta al lumicino proprio per non essere riuscita a supportare la piccola repubblica caucasica nel corso degli ultimissimi accadimenti che l’hanno opposta al vicino Azerbaigian, ed è anche il caso dell’Uzbekistan, che nel periodo tra il 2006 ed il 2012, si era nuovamente unito all’alleanza, ma ne era poi uscito ancora una volta in polemica con gli atteggiamenti troppo “paternalistici” della Russia.

Ecco perché in più di un’occasione, la stampa mondiale, in particolare quella anglosassone, aveva dileggiato la CSTO accusandola di essere sostanzialmente una “tigre di carta”, buona solamente per organizzare manovre militari ma sostanzialmente inefficace e assolutamente non in grado di trasformarsi in un vero “moltiplicatore di potenza” della Russia nello scacchiere internazionale al contrario di quello che è la NATO per gli Stati Uniti d’America.

Oggi, a quanto pare, e seppur con ampio ritardo, sembra che i russi si siano finalmente resi conto dell’importanza che le alleanze militari rivestono sia come moltiplicatori di potenza sia per fungere da utili “scudi legali” da utilizzare per mascherare le operazioni all’estero.

Ecco perché quando il governo del presidente kazako Kassym-Jomart Kemelevich Tokayev è stato scosso agli inizi del 2022 dalle più violente e pericolose proteste nella Storia del Kazakistan indipendente, anziché commettere gli stessi errori avvenuti in Ucraina nel 2014, Putin ha questa volta agito in maniera intelligente e ha mascherato l’intervento a sostegno del regime kazako de facto come un’operazione di “peacekeeping” sotto la bandiera della CSTO che in poco tempo ha schierato in loco la sua “Forza di Reazione Rapida Collettiva” alla cui formazione tutti gli stati hanno partecipato.

Se si eccettua il Kazakistan, che per ovvie ragioni ha dovuto schierare massicciamente le sue Forze Armate, Guardia Nazionale, Polizia Militare e Polizia per stroncare l’insorgenza, le unità schierate dagli altri paesi sono state le seguenti:

  • Russia: 98a divisione aviotrasportata delle Guardie31a brigata da assalto aereo delle Guardie e 45a brigata spetsnaz delle Guardie;
  • Bielorussia: 103a brigata aviotrasportata delle Guardie;
  • Tagikistan: uno dei tre battaglioni di fanteria facenti parte delle Forze Mobili Tagike;
  • Kirghizistan: un battaglione di fanteria delle forze di terra del Kirghizistan;
  • Armenia12a brigata di Peacekeeping.

Appare quindi evidente anche ai non addetti ai lavori che il totale ufficiale di 3800 “peacekeepers” ufficialmente schierati in loco sia una ridicola sottostima e che il numero reale di uomini inviati in Kazakistan dagli altri 5 paesi della CSTO si aggiri attorno alle 20-30.000 unità.

Lo scopo dell’invio di un così alto numero di uomini in realtà è semplice, perché i contingenti dei paesi CSTO sono andati a presidiare tutta una serie di obiettivi e siti strategici in varie parti del Kazakistan in modo da poter così liberare il maggior numero possibile di uomini delle Forze Armate e di Sicurezza della Repubblica del Kazakistan che sono poi stati convogliati verso le città dove le proteste erano uscite completamente fuori controllo (come ad Almaty) al fine di attuare una veloce e brutale repressione.

L’esito di tale “missione” è stato talmente efficace che, già il 13 di gennaio, il presidente Tokayev ha potuto dichiararla un successo, annunciando poi il ritiro dei contingenti dei paesi alleati che si è puntualmente concluso 10 giorni dopo.

Il successo dell’Operazione Kazakistan è stato pieno e, non è detto che essa non possa rappresentare il “prototipo” per altre missioni di “peacekeeping” e “peace-enforcing” che quasi certamente si renderanno necessarie nei prossimi anni e decenni in tutti i territori dello spazio ex-sovietico, essendo tali paesi strutturalmente deboli e ancora afflitti dagli stessi mali economici e sociali accumulatosi nei 30 anni trascorsi dalla caduta dell’URSS.

Fonte: Analisidifesa.it

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