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Snap Inc. e i rischi bolla alimentati dalla caccia all’unicorno: opportunità di vendita tra le compagnie tech statunitensi

Snap Inc. e i rischi bolla alimentati dalla caccia all’unicorno: opportunità di vendita tra le compagnie tech statunitensi

Viviamo in uno strano momento per quanto riguarda il settore tecnologico. La galassia di idee partorite dalla Silicon Valley fatica a raggiungere

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Viviamo in uno strano momento per quanto riguarda il settore tecnologico. La galassia di idee partorite dalla Silicon Valley fatica a raggiungere il pubblico mainstream e chi sopravvive rimane in incubratice nell’attesa, e nella speranza, che il mercato possa in futuro accogliere positivamente l’innovazione. Nel frattempo si continua a spillare liquidità dalle tasche di quegli investitori che ben volentieri cedono parte del loro capitale nella speranza di trovare l’ennesimo unicorno e sbancare il jackpot.

Negli ultimi anni la caccia all’unicorno è aumentata tra gli investitori non istituzionali che gravitano intorno al campo delle startup e questo in qualche modo sta condizionando gli schemi di valutazione con il quale si giudica una compagnia, modificando la stessa percezione che di questa ha il mercato e di conseguenza la qualità e la tipologia di prodotti che si vorrebbe offrire all’utente. Ed è proprio questa sfrenata corsa all’unicorno che sta finendo per gonfiare delle bolle destinate con molta probabilità a dissolversi nel tempo (l’ultima arrivata in ordine cronologico è Snap Inc.).

Per comprendere quindi cosa sta accadendo al mondo delle startup tecnologiche forgiate negli Stati Uniti e perché si arrivano a lanciare IPO miliardarie per prodotti come Snapchat bisognerebbe addentrarsi più a fondo nel campo del seed financing e startup financing, termini anglofoni con cui si identificano gli investimenti per supportare rispettivamente un’idea, un progetto, e una compagnia che ha da poco messo insieme i pezzi necessari per poter iniziare a muovere i primi passi ma a cui manca ancora il combustibile (ovvero il capitale).

Nella mia – finora – breve esperienza in questo intricato e affascinante ramo degli investimenti alle nuove e piccole imprese tech ho compreso che spesso chi opera in questo campo non sempre possiede gli strumenti per poter valutare la solidità di business di una compagnia, finendo per concentrarsi sull’idea e poco più. Questo non è necessariamente un male ma neanche si può dire che sia un bene: si finisce per trascurare chi si ha di fronte (il background culturale, le capacità tecniche e manageriali) e la capacità del modello di business di stare in piedi e generare soldi in modo stabile nel tempo (l’idea è facilmente copiabile? da dove vengono i soldi? quali sono i competitor? etc.).

Intorno all’idea si costruiscono aspettative evolutive che possono essere più o meno positive, a volte (ma capita sempre più spesso) fantasiose e spettacolari, e che hanno l’obiettivo di spostare in avanti i giudizi sulla profittabilità della compagnia. Il caso della realtà virtuale, ad esempio, è abbastanza emblematico: intorno alla VR sono nate molteplici startup e si è finito per investire un fiume immenso di denaro che al momento non trova ritorno. È da almeno tre anni a questa parte che la VR viene annunciata come l’innovazione del momento pronta a invadere le nostre case, ma i numeri rimangono molto bassi e aziende come Sony si ritrovano costrette a festeggiare un misero milione di unità vendute per il proprio dispositivo VR. Discorsi simili si potrebbero fare per gli indossabili e alcuni social media. Ad ogni modo, per chi opera nel campo del seed e startup financing queste rimangono opportunità di investimento veramente ghiotte, in quanto si ha la possibilità di lanciare una compagnia che ha un valore prossimo allo zero e maturare dei profitti veramente ragguardevoli. Ovviamente i fallimenti sono molti ed è per questo che gli investimenti vengono condivisi con un portafoglio di imprese abbastanza ampio, e solitamente quelle due-tre imprese che riescono a superare di slancio la fase di startup possono compensare più che adeguatamente le perdite di quelle morti aziendali. Fin qui nulla di strano, il problema però è che appunto sempre più sovente il valore di una compagnia sale senza dover dare conto alla profittabilità dell’impresa. Si scommette sul futuro e nulla più, specie quando il prodotto è supportato da una comunità di utenti molto ampia. Ci troviamo così ipo come quelle di Twitter e Snap Inc. solo perché dietro ci sono milioni di persone, quasi a dire l’importante è avere gli utenti poi si vedrà. Ed è un messaggio praticamente del tutto nuovo che arriva nel mondo degli investimenti (e anche molto pericoloso).

Di conseguenza ci troviamo con un ventaglio di prodotti che fatica a raggiungere il mercato di massa, rivoluzioni annunciate ma che non sono mai riuscite a confermarsi come tali. Quando gli smartphone sono stati lanciati per la prima volta sul mercato l’accoglienza del pubblico è stata immediatamente positiva, e non si è faticato molto a comprendere che ci trovavamo di fronte a un’innovazione radicale che avrebbe cambiato per sempre il mondo della telefonia mobile.

La caccia all’unicorno si sta invece rivelando molto tossica per il settore tecnologico e la prova più tangibile di questo è che il comparto sembra essersi preso una battuta di arresto: le idee continuano ad arrivare e questo per ora sembra bastare per poter premiare queste compagnie, come scrivevamo nella precedente analisi, ma al momento nessuna delle innovazioni proposte sembra essere tanto rivoluzionaria come è stata quella degli smartphone all’epoca e proprio il mercato degli smartphone sembra ormai essersi saturato del tutto, con una crescita negli Stati Uniti prossima allo zero mentre in altre parti è già negativa.

Di Snap Inc. si è scritto in abbondanza nei giorni successivi all’IPO storica del primo marzo e noi qui ribadiamo quanto già fatto notare da qualcuno: si tratta di una bolla destinata se non a scoppiare quanto meno a sgonfiarsi nel giro dei prossimi mesi. Le ragioni sono state già messe a fuoco: le azioni che si possono acquistare sono senza diritto di voto, quindi non si potrà intervenire in alcun modo nelle decisioni dell’azienda se qualcosa dovesse andare male; la compagnia non ha uno straccio di piano che dimostra come poter fare soldi, anzi, nel suo prospetto informativo afferma che Snap potrebbe non raggiungere mai la profittabilità. Però ha gli utenti, tanti: parliamo di circa 161 milioni di utenti attivi ogni giorno e con prospettive di crescita interessanti.

Questo sembra bastare per non far dormire troppo tranquillo il CEO di Facebook Mark Zuckerberg, che in passato ha offerto ai fondatori di Snap Inc. circa 3 miliardi di dollari solo per distruggere il servizio. Snapchat dopo tutto opera nella fascia demografica dei millennials, che rimane quella maggiormente attiva anche su Facebook e un eventuale esodo di utenti verso il nuovo arrivato potrebbe creare non pochi problemi all’impero di Zuckerberg.

Rimanendo su Snap Inc. ribadiamo che al momento rimane una compagnia che non fa soldi e su cui non ha alcun senso per ora investire anche un solo centesimo. Se diamo uno sguardo al grafico di questi primi giorni di vita del titolo notiamo che l’euforia è durata veramente poco, lasciando spazio alle vendite. Dal punto di vista tecnico abbiamo ancora pochi elementi per poter dare un giudizio ampio ma il breakaway gap aperto al ribasso non ci dà un segnale incoraggiante per i rialzisti: gap di questo tipo vengono accompagnati da movimenti abbastanza netti e prolungati (in questo caso al ribasso), Snap Inc. quindi rimane una ghiotta occasione, a patto che decidiate di operare short sul titolo, che potrebbe scendere anche sui 10 dollari per azione (e forse anche più in basso).

 

 

it.ibtimes.com

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