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Australia: ferma il carbone per proteggere la barriera corallina

Australia: ferma il carbone per proteggere la barriera corallina

L’Australia ha rifiutato di concedere l’autorizzazione alla costruzione, per conto del ricchissimo magnate minerario Clive Palmer, di una nuova minier

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L’Australia ha rifiutato di concedere l’autorizzazione alla costruzione, per conto del ricchissimo magnate minerario Clive Palmer, di una nuova miniera di carbone a cielo aperto, che si sarebbe trovata a meno di 10 km dalla Grande Barriera Corallina, sulla costa del Queensland e a circa 700 chilometri a nord-ovest di Brisbane. «Ho deciso che gli impatti ambientali negativi sarebbero stati troppo grandi, con rischio di inquinamento elevatissimo e danni irreversibili alla Barriera Corallina», ha detto in un video postato sui suoi social network Tanya Plibersek, Ministra dell’ambiente e dell’acqua, che già l’anno scorso aveva espresso la volontà di opporsi al progetto. «Per la prima volta un membro del Governo ha usato i propri poteri ai sensi delle leggi ambientali, per impedire la nascita di una miniera» che avrebbe distrutto un ecosistema già fortemente minacciato dai cambiamenti climatici.

E che, secondo l’UNESCO, va messo al sicuro il prima possibile. L’agenzia delle Nazioni Unite, infatti, sostiene da anni l’importanza di procedere con una certa urgenza, mettendo sotto pressione il Governo australiano. Tant’è che l’anno scorso il Paese ha promesso di destinare quasi un miliardo di dollari alla protezione della Barriera Corallina, e in generale dell’intero ambiente marino.

Nel 2022, la Grande Barriera Corallina, che si estende per più di 2mila chilometri, ha vissuto il suo sesto evento di sbiancamento di massa, il quarto in appena sei anni. L’evento, riscontrato in seguito a indagini aeree e causato dalle elevate temperature della superficie del mare, ha colpito tutte le parti della Barriera.

In generale, in Australia, la popolazione di piccoli, medi e grandi coralli, che abitano la Grande Barriera Corallina, è drasticamente diminuita negli ultimi trent’anni. Secondo uno studio condotto dagli esperti dell’Arc Centre of Excellence for Coral Reef Studies (CoralCoE), la causa è da ricercare nell’aumento della temperatura delle acque, che ha provocato la morte delle alghe, le quali vivono in simbiosi con la barriera e la nutrono. In particolare, gli esperti hanno studiato le variazioni nella dimensione e nella distribuzione delle colonie su tutta la lunghezza della Grande Barriera Corallina tra il 1995 e il 2017, osservando che il numero di coralli di piccole, medie e grandi dimensioni è diminuito oltre il 50%; soprattutto nella specie Acropora florida, la più colpita dal riscaldamento. Il calo demografico dei coralli ha conseguenze anche per altri abitanti del mare: le strutture che creano sono fondamentali anche per la sopravvivenza di pesci e crostacei.

Il governo, eletto nel 2022, è salito al potere promettendo un’azione più forte sul clima, in un Paese ancora fortemente legato ai combustibili fossili. Ma, ad oggi, le sue politiche climatiche sono state classificate dal Climate Action Tracker come ancora “insufficienti”, visto che: le emissioni australiane rappresentano l’1,5% di quelle globali e se si aggiungono quelle indotte dall’export di carbone (2,9%), di cui il Paese è il maggior esportatore e LNG (0,6%), di cui detiene il 20% delle quote mondiali, l’Australia sarebbe responsabile del 5% della CO2 immessa nell’atmosfera.

Fonte: Indipendente.online

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