Fa una certa impressione scoprire che nel 2022 il carbone segnerà un doppio massimo storico, in termini di utilizzo (dopo il record già raggiunto lo s
Fa una certa impressione scoprire che nel 2022 il carbone segnerà un doppio massimo storico, in termini di utilizzo (dopo il record già raggiunto lo scorso anno), così come di produzione. E che sarà proprio l’Europa, insieme all’India, a guidare questo nuovo Rinascimento.
Sin da luglio un rapporto Ember ci rassicurava, in merito alla produzione di energia elettrica: “Non sarà un ritorno del carbone e l’impatto in Europa sarà limitato”, senza deragliamenti lungo la strada della decarbonizzazione. Poi a dicembre, peraltro proprio a ridosso delle cruciali decisioni che l’Ue si apprestava a prendere sui temi energetici, anche i diversi rapporti aggiornati dell’autorevole Iea.Nel mondo “c’è una convergenza di fattori che supporta la domanda di carbone” e tuttavia si tratta di “un aumento temporaneo, che durerà qualche anno”, almeno fino al 2025.
È vero, c’è l’emergenza: quella situazione patologica di fronte alla quale arretra anche la Storia, nella quale la dimensione collettiva soccombe rispetto ai bisogni individuali, dove la razionalità fatica a prevalere sulla paura, la progressiva assuefazione apre le porte all’accettazione sempre più incondizionata. Dove anche le leggi della fisica diventano opinabili, ad esempio:
- il carbone è il combustibile più inquinante in assoluto, emette il doppio della CO2 rispetto al gas e un quarto in più rispetto al petrolio, oltre ad altre sostanze dannose per l’ambiente e per la salute umana,
- il rendimento delle centrali a carbone in esercizio, in larga parte a fine vita utile, si avvicina alla metà di quello dei cicli combinati a gas (che ormai è prossimo al 60%), mediamente più recenti,
- le centrali a carbone esistenti sono perlopiù di grande taglia, tipicamente poco flessibili, cioè adatte per marciare a carico costante e continuo (il cosiddetto servizio “di base”.
Eppure la stessa Iea ci mette in guardia: se continueremo ad utilizzare carbone in questo modo per produrre energia elettrica, già al 2040 avremo esaurito metà della quantità totale di CO2 che possiamo permetterci di emettere da qui al 2100, secondo i piani contro i cambiamenti climatici. Infatti, un passo indietro.
“Non c’è altra strada per aggredire concretamente il cambiamento climatico senza una drammatica accelerazione degli investimenti in energia verde e in altre infrastrutture che consentano di ridurre significativamente la generazione da carbone” ancora l’Iea. Quindi?
Quindi sarebbe sicuramente meglio non utilizzarlo, ma la sicurezza energetica ora ce l’impone: appare sconsigliato infatti contare ancora troppo su un processo di passaggio più graduale e più sostenibile verso l’energia verde, durante il quale credevamo di aver trovato un alleato affidabile, una fonte certamente subottimale rispetto alle rinnovabili, ma comunque decisamente migliore rispetto al carbone.
Allora marcia indietro, tirare su il ponte, chiusura in difesa: meno passaggi in avanti (da carbone al gas), anzi passaggi indietro (dal gas al carbone), aumento di carico e prolungamento di vita utile per le centrali esistenti, riattivazione per quelle già dismesse. In attesa che arrivino le rinnovabili a salvarci, non più azione di gioco, ma speranza di contropiede, non più avanzamento progressivo, ma salto da fermi, da carbone direttamente alle fonti rinnovabili, cercando di dribblare il più possibile il gas. Semplice, tutto sommato, perché non averci pensato prima.
Qualcosa non torna però. Intanto l’aria nella stanza comincia a diminuire più velocemente.
Già con la transizione energetica in atto era richiesto che le rinnovabili, per avvicinarsi alla sponda, crescessero a ritmi vertiginosi, che il mondo peraltro (e soprattutto l’Europa) sta dimostrando di fare ancora fatica a raggiungere. Ora all’energia verde si richiede una crescita ancora più fulminea, quasi monstre, se si pensa anche a quella che servirà per far crescere l’economia dell’idrogeno, secondo il principio dell’addizionalità: altrimenti il salto da una sponda all’altra non sarà possibile, prima che l’aria nella stanza si esaurisca.
Entro il 2030 dobbiamo arrivare ad investire 9 dollari in energia pulita ed efficienza energetica, per ogni dollaro investito in fonti fossili, ammonisce l’Iea: oggi ne investiamo solo 1,5. Quel dollaro “grigio” però è una sicurezza e lo sarà per anni: i 9 “verdi” sono per ora un volenteroso auspicio. Ma c’è di più.
L’elettrificazione dei consumi è ormai un processo trasversale, pervasivo, inarrestabile: l’elettricità sarà il “petrolio” del domani e la domanda di energia elettrica continuerà a crescere con vigore, anche nelle economie mature, sia pur mitigata dall’efficienza e dal risparmio energetici. Le rinnovabili dovranno perciò accelerare la corsa anche (e soprattutto) per inseguire questo aumento, oltre che per cercare di spiazzare il prima possibile le fonti fossili. Ma la nuova domanda di elettricità sarà sempre più variabile, così come non programmabile sarà la produzione stessa, dominata da solare ed eolico: quindi ci sarà sempre maggiore bisogno di flessibilità.
“La flessibilità sarà il cardine della sicurezza dei sistemi elettrici, oggi e in futuro, e il suo fabbisogno globale potrebbe raddoppiare da qui al 2030 e poi quadruplicare al 2050”: ecco dunque il nuovo pilastro del paradigma energetico del futuro, di quello che diventerà così un “quadrilemma” (con sicurezza, competitività e sostenibilità). L’Europa stessa, insieme agli Stati Uniti, assisterà ad “un drammatico aumento del fabbisogno di flessibilità da qui al 2030”. Sempre più la sicurezza energetica dei Paesi dipenderà dalla possibilità di avere in ogni momento una sufficiente capacità di compensare lo sbilanciamento tra i nuovi profili di produzione e di consumo, assicurando la stabilità delle reti. E questa capacità, oltre che dalla generazione idroelettrica, dovrà arrivare inevitabilmente da nuove tecnologie pulite (come lo stoccaggio), dalla digitalizzazione, da reti sempre più moderne, da consumi sempre più intelligenti, dall’economia dell’idrogeno. Anche altre fonti rinnovabili di tipo programmabile, quali bionergie, geotermia e solare a concentrazione dovranno fare la loro parte.
Quindi dovranno correre (e tanto) anche queste nuove forme di flessibilità, perché anch’esse possano avvicinarsi alla sponda in tempo, insieme alle rinnovabili e prima che l’aria nella stanza finisca: al 2050 dovrebbero riuscire a coprire almeno un quarto dei fabbisogni di flessibilità.
Non basterà allora un solo salto in avanti, ne servirà uno triplo. E nel frattempo?
Oggi la prima fonte di flessibilità nei sistemi elettrici è la generazione termica, principalmente da gas: il suo contributo dovrebbe scendere entro il 2050 da due terzi ad un terzo o ad un quarto (in funzione di quanto sarà veloce la crescita delle altre fonti di flessibilità). La generazione termoelettrica a gas è attualmente la fonte ottimale di flessibilità, per la sua caratteristica di potersi adattarsi ai regimi variabili, senza decadimenti importanti di efficienza energetica o ambientale: nei prossimi anni essa potrà assorbire maggiori quote di carico, vista la sua attuale capienza, e progressivamente spostarsi sempre più verso un servizio tipicamente “di punta” (cioè poche ore annue di funzionamento, con ampie escursioni di potenza), anche grazie alla possibilità di introdurre gradualmente, ma rapidamente, nuovi impianti via via più reattivi (come i cicli aperti). Poco convincente, per contro, è sostenere che le centrali a carbone possano in futuro, con modalità efficaci, passare anch’esse ad un regime di esercizio non più “di base” o che possano sopravvivere a lungo, in maniera ecocompatibile, attraverso interventi di adeguamento alla co-combustione di ammoniaca.
Allora, a ripensarci, forse non era solo una “narrazione” o una “percezione” quella sul gas quale buon alleato per la transizione energetica, forse era ed è una soluzione sensata: forse abbiamo solo provato ad attraversare troppo presto.
Fonte: Le Formiche.net