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L’ultimo rapporto sul clima delle Nazioni Unite mette a fuoco i rischi per le città

Secondo gli scienziati, due miliardi e mezzo di persone si sposteranno nei centri urbani entro il 2050 ma l'ambiente è sempre più fragile e gli eventi estremi più frequenti

L’ultimo rapporto sul clima delle Nazioni Unite mette a fuoco i rischi per le città

È stata pubblicata nella mattinata di lunedì 28 febbraio la seconda parte del sesto rapporto sul cambiamento climatico a firma dell’Intergov

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È stata pubblicata nella mattinata di lunedì 28 febbraio la seconda parte del sesto rapporto sul cambiamento climatico a firma dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il documento più accreditato per comprendere gli effetti della crisi del clima firmato dagli esperti dell’ente intergovernativo delle Nazioni Unite. Attesissimo, arriva a pochi mesi di distanza dalla prima parte, pubblicata ad agosto 2021 e dedicata alle conclusioni degli studiosi di scienze della Terra.

Questa volta si privilegiano gli aspetti socioeconomici, con particolare attenzione alle città. Mettere ordine nella complessità dei numeri, fornire una chiave di lettura per la mole di dati raccolti grazie alle sofisticate strumentazioni disponibili, creare un corpus di conoscenze organico e credibile sul riscaldamento globale, che serva da base per orientare le decisioni della politica. Questi gli obiettivi del rapporto, che negli anni ha saputo costruirsi una solida reputazione di imparzialità.

Perché conta ciò che dice l’Ipcc

L’Ipcc è stato creato nel 1988 in seno alle Nazioni Unite per fornire ai decisori dati e informazioni affidabili sulla base dei quali orientare le scelte politiche. La credibilità del panel si deve al processo di peer review rigoroso cui i documenti prodotti sono sottoposti.

Le edizioni precedenti datano 1990, 1995, 2001, 2007 (anno in cui l’Ipcc vinse il Nobel per la Pace) e 2014.  Da molti anni, e sin da tempi non sospetti, gli autori del rapporto sono nominati dai governi in maniera da fornire il massimo della rappresentatività: tenendo, cioè, in considerazione, oltre al curriculum, anche il bilanciamento di parametri come età, genere e provenienza geografica.

Che cosa dice l’ultimo rapporto

Ma cosa dice il report?  Essenzialmente, che l’impatto e i rischi della crisi del clima sull’ecosistema e la società stanno diventando sempre più complessi e difficili da gestire anche sotto il punto di vista socioeconomico. Non solo, quindi, perdita di biodiversità: ma anche conseguenze di lungo periodo sulla salute e il benessere degli individui.

La popolazione globale è aumentata di 397 milioni di persone tra il 2015 e il 2020, il 90% nelle regioni meno sviluppate del mondo. Sono proprio i paesi più poveri a essere maggiormente colpiti, secondo gli scienziati, nonostante siano quelli che hanno minori responsabilità nelle emissioni. Quasi tre miliardi e mezzo di persone vivono in contesti ad alto rischio: tra le zone più pericolose ci sono gli insediamenti ai margini delle grandi città.

Tempeste, inondazioni, siccità diventano sempre più frequenti e lasciano uno strascico non solo nei danni alle infrastrutture: dai dati analizzati emerge che gli eventi estremi hanno ripercussioni significative anche sulla salute mentale delle persone coinvolte, un aspetto, questo, finora rimasto fuori dai radar, perlomeno a questi livelli.

L’analisi si concentra, inoltre, sulle disuguaglianze che riguardano la finanza climatica, cioè l’insieme degli aiuti stanziati per le misure di adattamento: solo il 15%, si stima, finisce ai più vulnerabili, e la maggior parte si dirige verso mega-progetti, mentre quelli più piccoli (ma fondamentali per le comunità locali) sono spesso trascurati. Tutti temi al centro dell’ultima conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop26 che si è tenuta a Glasgow nel 2021.

Falsi miti

Sfogliando le pagine del resoconto, si sgombra il campo anche da qualche falso mito: come, per esempio, quello che gli alberi rappresentino sempre la soluzione. Tuttt’altro. Inserirli su vasta scala in contesti dove non sono presenti, come le savane, avverte l’Ipcc, può anzi rivelarsi controproducente. Senza contare il fatto che la compensazione non può diventare la scusa per non ridurre i gas serra. Piantare foreste senza criterio e senza corredarle di politiche di gestione attiva rasenta il greenwashing.

Le misure da intraprendere

Le misure di adattamento da intraprendere suggerite dagli scienziati partono da sistemi di rilevazione tecnologici in grado di allertare per tempo le autorità. Come, per esempio, quello messo a punto dal centro meteo del Cineca di Bologna, che grazie ai supercomputer riesce a fornire previsioni meteo a tre ore alla Protezione Civile, e con un’approssimazione che rasenta i due chilometri. L’obiettivo è arrivare a uno: perché i fenomeni estremi sono spesso molto localizzati e possono riguardare singoli quartieri.

Non solo. Precauzioni apparentemente basilari come i piani di valutazione dei rischi non sono la norma, come sarebbe lecito aspettarsi: così come è imprescindibile scoraggiare, sin da ora,  gli insediamenti nelle zone pericolose. Altri 2,5 miliardi di persone andranno a vivere nelle città entro il 2050:  l’unico modo per evitare di assistere a stragi devastanti e sempre più frequenti è agire per tempo.

Fonte: Wired.it

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