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Maldive: è stato scoperto un nuovo ecosistema marino

Maldive: è stato scoperto un nuovo ecosistema marino

Un team di sommozzatori della missione Nekton Maldive ha scoperto un ecosistema completamente nuovo a 500 metri di profondità nell’Oceano Indiano, sit

Produrre idrogeno direttamente dall’ acqua di mare
Il livello del mare si solleverà anche se si riducesse il cambiamento climatico
Il mare è la nuova frontiera economica

Un team di sommozzatori della missione Nekton Maldive ha scoperto un ecosistema completamente nuovo a 500 metri di profondità nell’Oceano Indiano, situato vicino al vulcano di profondità Satho Rahaa delle Maldive. Gli scienziati hanno descritto la regione – chiamata “Trapping Zone”, letteralmente “Zona di intrappolamento”- come una “oasi di vita” in un “grandissimo deserto oceanico”, oasi in cui grossi pesci e squali nuotano e si nutrono di sciami di piccoli organismi noti come micro-nekton. La loro presenza racconta molto dell’ecosistema sottomarino appena scoperto; si tratta infatti di organismi marini in grado di nuotare indipendentemente dalla corrente e che di solito migrano dalle profondità marine alla superficie durante la notte e si tuffano nuovamente nelle profondità all’alba, fenomeno che è stato denominato “migrazione verticale”. Ma in quest’area, i micro-nekton rimangono intrappolati nel paesaggio sottomarino a 500 metri di profondità, bloccati dagli strati vulcanici sottomarini e delle barriere carbonatiche fossili che formano la base degli atolli maldiviani. Gli animali intrappolati vengono quindi presi di mira dai grandi predatori marini tra cui banchi di tonni e squali, oltre a noti pesci di profondità di grandi dimensioni, molti dei quali rarissimi, come lo squalo rovo. “Gli ecosistemi marini sono definiti sia dalla topografia che dalla vita oceanica. Questo ha tutte le caratteristiche di un nuovo ecosistema distinto“, ha dichiarato Alex Rogers, ecologo marino dell’Università di Oxford. “The Trapping Zone sta creando un’oasi di vita alle Maldive ed è molto probabile che esista anche in altre isole oceaniche e sulle pendici dei continenti”.

La missione che ha scoperto questo nuovo ecosistema, salpata il 4 settembre e rimasta in mare per 34 giorni, è coordinata e gestita da Nekton, un istituto di ricerca senza fini di lucro con sede al Begbroke Science Park di Oxford e rappresenta l’unione della partnership tra il governo delle Maldive, Nekton e l’Università di Oxford. L’area è stata individuata grazie all’invio di sottomarini a circa 1.000 metri sotto la superficie dell’oceano, nei pressi dei 20 atolli naturali delle Maldive, per effettuare un’indagine sistematica e documentare le profondità in gran parte inesplorate. Satho Rahaa è infatti una montagna sottomarina di circa 28 chilometri di circonferenza, un antico vulcano spento che durante la sua formazione si è improvvisamente sollevato dal fondo dell’oceano di 1.500 metri. Lo scopo della missione era quello di «condurre la prima indagine sistematica della vita oceanica alle Maldive per aiutare a informare le politiche di conservazione e sviluppo sostenibile». Fino alla recente scoperta, infatti, non si sapeva quasi nulla di quello che si trovava al di sotto dei 30 metri di profondità in questa regione.

L’analisi dei dati video e biologici è in corso alle Maldive, nella sede britannica di Nekton a Oxford e presso i laboratori partner. La scoperta potrebbe avere importanti implicazioni per altre isole oceaniche e per le pendici dei continenti, per la gestione sostenibile della pesca, per il seppellimento e lo stoccaggio del carbonio e, infine, per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Dalla missione si sono già ottenute varie informazioni: il terrazzamento e l’erosione delle onde a grandi profondità hanno rivelato antiche linee di spiaggia dovute all’innalzamento del livello del mare negli ultimi 20.000 anni (dalla fine dell’ultimo massimo glaciale), sono state individuate e mappate barriere coralline in sei punti diversi, formazioni essenziali per la vita alle Maldive e che contribuiscono a ridurre l’impatto dell’innalzamento del livello del mare, ed infine è stato studiato un punto (chiamato “zona rarifotica”), a profondità comprese tra i 120 e i 300 metri, che ospita coralli, barriere coralline e organismi, alcuni dei quali, con ogni probabilità, sono specie nuove per la scienza.

Gli scienziati ritengono che studiando in dettaglio la regione potranno capire come si è sviluppato il suo ecosistema e comprendere come preservare meglio il micro-nekton, la cui fonte di cibo, il plancton, è minacciata dal cambiamento climatico. La sopravvivenza del micro-nekton è cruciale per le Maldive, per le quali la pesca rappresenta la seconda industria oltre al turismo. Se il riscaldamento globale continuerà al ritmo attuale, quasi l’80% delle Maldive diventerà inabitabile entro il 2050, secondo un report del Servizio geologico degli Stati Uniti.

“La storia evolutiva di questo bellissimo atollo corallino è scritta sul fondo, sui depositi e sulla fauna degli abissi”, ha dichiarato Hussain Rasheed Hassan, ministro dell’Ambiente delle Maldive. “Questa missione sta facendo luce su come possiamo usare la scienza per sopravvivere come nazione“. E ulteriori ricerche possono aiutare molti altri Paesi. Studiando – e scoprendo- nuovi ecosistemi, si ha la possibilità di capire il loro funzionamento, l’apporto della biodiversità ai cicli che governano l’andamento del Pianeta, la decomposizione dei materiali di scarto, la purificazione dell’aria e dell’acqua, l’impollinazione, il controllo dei parassiti e dei patogeni, fino alla regolazione del clima e dei cicli delle sostanze naturali. Fenomeni necessari per la sopravvivenza del Pianeta e della nostra specie.

Fonte: Indipendente.online

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