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Quanto vale l’intelligenza artificiale generativa? Impatto potenziale da 4,4 migliaia di miliardi di dollari

Un recente studio di McKinsey (“The economic potential of generative AI”) ha provato a fare luce sulle conseguenze a lungo termine che avranno sull'economia globale questi strumenti di nuova generazione

Quanto vale l’intelligenza artificiale generativa? Impatto potenziale da 4,4 migliaia di miliardi di dollari

Fonte: Il Sole 24 Ore I potenziali effetti sull'economia, gli impatti sul mondo del lavoro, i cambiamenti che indurrà nella società:

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Fonte: Il Sole 24 Ore

I potenziali effetti sull’economia, gli impatti sul mondo del lavoro, i cambiamenti che indurrà nella società: la discussione intorno ai chatbot alimentati dall’intelligenza artificiale generativa e dai modelli di linguaggio di grande formato è quotidiana e tutto lascia presupporre che si intensificherà ulteriormente nel corso dei prossimi mesi e anni. Le questioni sul tavolo le conosciamo e alimentano due partiti contrapposti, quelli che vedono nella tecnologia un alleato e quelli che invece ne temono la pervasiva diffusione.
Le aziende e i manager che le guidano sono prossimi a un bivio che impone una decisione decisa su come cavalcare e fare propria questa ennesima rivoluzione e la recentissima approvazione dell’AI Act da parte del Parlamento europeo (la cui entrata in vigore è prevista per il 2024) è di fatto una conferma che il tempo a disposizione delle imprese per ripensare processi, organizzazioni e competenze non è molto. Anzi. Un recente studio di McKinsey (“The economic potential of generative AI”) ha provato a fare luce sulle conseguenze a lungo termine che avranno sull’economia globale questi strumenti di nuova generazione, prendendo in esame circa 2.100 specifiche attività professionali in circa 50 Paesi che rappresentano oltre l’80% della forza lavoro globale.

La Gen AI come il PIL del Regno Unito

Il dato che emerge dal rapporto stilato dalla società di consulenza americana è di quelli da cerchiare in rosso: il contributo che la GenAI potrebbe infatti apportare all’economia globale è stimabile in una forbice compresa fra 2,6 a 4,4 migliaia di miliardi di dollari all’anno, cifra che rappresenta il prodotto interno lordo di una paese come il Regno Unito (il cui valore della produzione nel 2021 si è attestato a 3,1 migliaia di miliardi di dollari). Rispetto alle precedenti stime della stessa McKinsey, si legge in un articolo di commento allo studio apparso sul New York Times, l’impatto dell’economia degli algoritmi è drasticamente superiore salendo dal 15% preventivato nel 2017 al 40% della più recente valutazione.

Il motivo della fortissima accelerata, come spiegano gli analisti, è facilmente intuibile e riflette la velocità di adozione (“incredibilmente rapida”) di ChatGpt e simili (il motore di ricerca Bing di Microsoft, Bard di Google oppure Ernie del gigante di Internet cinese Baidu) da parte del grande pubblico e l’ampio paniere di potenziali applicazioni per quanto riguarda il mondo aziendale, piccole imprese incluse. Secondo gli esperti, la maggior parte del valore economico indotto dalla GenAI deriverà probabilmente dalla possibilità di automatizzare le attività di gestione dei clienti (circa la metà dei contatti con i clienti di società bancarie e telecomunicazioni in Nord America sono già gestiti da bot e sistemi automatizzati), i processi di marketing e vendita e dalla maggiore produttività nel campo del software engineering (per la generazione delle bozze iniziali di codice, la correzione e il cosiddetto “refactoring” del codice stesso) e della ricerca e sviluppo, ambito nel quale l’AI generativa aiuterà progettisti e designer a ridurre i costi selezionando e utilizzando i materiali in modo più efficiente. In linea generale, McKinsey considera la nuova frontiera degli algoritmi come un “catalizzatore tecnologico”, in grado di spingere le industrie verso l’automazione e di liberare il potenziale creativo dei lavoratori, e come tale richiederà molta più leadership della tecnologia, anche a livello di autorità di regolamentazione.

L’impatto sul lavoro e la differenza con la “vecchia” AI

L’altro fronte di indagine di McKinsey, la cui metà della forza lavoro complessiva utilizza in modo continuativo queste tecnologie, è dedicato all’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sulle professioni. Ebbene, l’insieme di questi strumenti hanno secondo gli esperti il potenziale per automatizzare le attività lavorative che oggi assorbono il 60-70% del tempo dei dipendenti su base globale.

Il rischio che tale incidenza possa però significare una perdita massiccia di posti di lavoro è però ridimensionato (almeno in parte) da Alex Sukharevsky, senior partner di QuantumBlack (la divisione AI interna a McKinsey) e co-autore del rapporto. Il punto chiave, ha sottolineato il manager in una dichiarazione ripresa dal portale online VentureBeat, è quello di rendere significativamente più veloce e molto più precisa l’esecuzione di determinate funzioni, aggiungendo fino a tre punti percentuali di crescita aggiuntiva alla produttività dell’intera economia globale. In altre parole, come si legge ancora nel rapporto, l’AI generativa ha il potenziale per cambiare l’anatomia del lavoro e creare nel contempo i presupposti per un mondo più sostenibile e inclusivo, ma sarà fondamentale apprendere nuove competenze e prendere consapevolezza del fatto che molte persone cambieranno occupazione. E va fatta inoltre, secondo il manager, una doverosa distinzione fra l’AI generativa e i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) e le tecnologie di intelligenza artificiale e robotica convenzionali: i primi costituiranno il punto di rottura per i cosiddetti “lavoratori della conoscenza” mentre le seconde rimarranno focalizzate su compiti più fisici come la produzione industriale, l’edilizia, l’impiantisca e i trasporti, con tempistiche di impatto anche sostanzialmente differenti.

Lo scenario previsto nei prossimi decenni, in ogni caso, è sintomatico del fortissimo cambiamento che avverrà negli ambienti di lavoro: metà delle attività odierne è destinato ad essere completamente automatizzato o quasi tra il 2030 e il 2060, con un punto intermedio fissato nel 2045, ovvero circa un decennio prima rispetto a quanto McKinsey prevedeva solo qualche anno fa. Qualsiasi conclusione sugli effetti della tecnologia, come ha ammonito di recente. David Autor, professore di economia al Mit di Boston, potrebbe però essere prematura: l’intelligenza artificiale generativa, questo il suo appunto, “non sarà probabilmente così miracolosa come si dice, e oggi siamo davvero nella fase iniziale del suo sviluppo”.

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