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Sono state trovate microplastiche nel sangue umano

È quanto emerge da uno studio dell'Università di Vrije, nei Paesi Bassi: analizzando 22 campioni di sangue, sono state trovate minuscole particelle di plastica nell'80% di essi. Gli effetti sulla salute umana sono ancora sconosciuti

Sono state trovate microplastiche nel sangue umano

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Le microplastiche sono ovunque, dalle vette dell’Everest alle coste di remote isole nell’oceano Indiano. Sappiamo che gli esseri umani le ingeriscono e le inalano e adesso, per la prima volta, un gruppo di ricercatori le ha trovate nel nostro sangue. È quanto riporta uno studio condotto dall’Università di Vrije, ad Amsterdam, nei Paesi Bassi e pubblicato sulla rivista Environment International.

Secondo lo studio, che ha analizzato campioni di sangue di 22 donatori anonimi, l’80% di essi presentava al suo interno minuscole particelle di plastica. Gli effetti sulla salute degli esseri umani sono ancora sconosciuti.

Presenza costante ma effetti sconosciuti

Le microplastiche, ovvero le particelle di plastica più piccole di cinque millimetri di diametro, rappresentano un agente inquinante emergente, ma decisamente pervasivo sul nostro pianeta: inizialmente trovate – circa venti anni fa – sulle spiagge del Regno Unito, ben presto sono state individuate ovunque, dai luoghi più remoti della Terra fino agli alimenti di cui ci cibiamo e, di conseguenza, anche nel nostro organismo, in particolare nell’intestino di adulti e bambini e nella placenta di donne incinte.

Proprio perché la loro scoperta è relativamente recente, gli effetti delle microplastiche sulla salute umana sono ancora sconosciuti: alcune evidenze scientifiche hanno dimostrato che le microplastiche ingerite che passano attraverso l’apparato gastrointestinale possono avere ripercussioni sul benessere del microbiota (ovvero i microrganismi che normalmente si trovano nel nostro intestino che assicurano il corretto funzionamento di tutto l’organismo).

Un risultato rivoluzionario

Data l’onnipresenza di questo agente inquinante, che le microplastiche venissero individuate anche in altri distretti corporei sembrava solo una questione di tempo. E in effetti così è stato: gli autori dello studio hanno analizzato campioni di sangue prelevati da 22 donatori sani e anonimi alla ricerca di particelle di polimeri sintetici superiori a 700 nanometri di diametro, dimensione ritenuta idonea per individuare quelle che possono essere assorbite dalle cellule del corpo umano. Tra tutti i campioni, 17 (circa l’80% del totale) presentavano microplastiche.

Il team di ricerca ha utilizzato due diversi metodi chimici per quantificare la massa di plastica presente nei campioni di sangue e per identificarne la composizione chimica. Le microplastiche erano costituite soprattutto di polietilene tereftalato (il Pet, utilizzato comunemente per le bottiglie in plastica e nell’abbigliamento) e di polimeri di stirene, spesso usati in parti di veicoli, tappeti e contenitori per alimenti. In media, sono stati misurati 1,6 microgrammi di plastica per ogni millilitro di sangue, con la concentrazione più alta di poco superiore a 7 microgrammi.

Un problema crescente

Ulteriori ricerche saranno necessarie anche per capire in che modo le microplastiche si accumulino nei tessuti degli esseri umani e soprattutto se la loro presenza possa avere effetti deleteri sull’organismo. In sostanza, se l’esposizione costante del nostro corpo alle microplastiche può essere considerata un rischio per la salute pubblica. Alcuni studi poco rassicuranti sugli animali da laboratorio suggeriscono effetti preoccupanti sulla salute (specie se a lungo termine e a dosi elevate), ma traslare questi risultati sulla salute degli esseri umani è tutt’altro che immediato.

Si tratta comunque di un problema crescente da indagare in dettaglio, dal momento che è previsto che i rifiuti in plastica presenti negli oceani raddoppieranno di quantità entro il 2040. Un altro recente studio a firma di Vethaak, infatti, che voleva indagare il rapporto tra l’esposizione alle microplastiche e il rischio di insorgenza di cancro, ha sottolineato l’urgenza di proseguire queste ricerche.

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