Il testo di Nicola Zamperini mette a nudo la centralità del mondo del lavoro per il mondo della vita inteso come il luogo nel quale prende corpo la pe
Mi spiego, con un duplice riferimento: il primo attuale, il secondo storico.
NULLA TORNERÀ COME PRIMA
Per il primo traggo spunto dalla attuale fase che sta attraversando la società italiana, che i media ormai denominano come “post-pandemica”. Essa consente di mettere a fuoco quali mutamenti stiano avvenendo sia sul piano politico e ordinamentale, sia su quello della sensibilità di gran parte della società, per il Diritto (con la “D” maiuscola!), come principio di controllo politico e istituzionale e fonte di ogni garanzia di libertà e riconoscimento della persona. A questo proposito mi sembra indispensabile riportare una frase che troviamo nel testo di Klaus Schwab (fondatore e presidente del Forum Economico Mondiale) e TherryMalleret (drettore associato di Monthly Barometer), Covid – 19, La grande reinizializzazione, che traduco dalla edizione svizzera (FÉM, Genève 2020): “Molti tra noi si domandano quando le cose torneranno alla normalità. Per dirla in breve, la risposta è: mai (jamais). La normalità pre-crsi è frantumata (brisée)”. (p.12)
Ciò che è definito “brisée” colpisce, infatti, direttamente la relazione stretta tra il mondo del lavoro e il mondo della vita in modo particolarmente incisivo; esso consiste in un aspetto giuridicamente inedito per un ordinamento, come il nostro, che dovrebbe essere la messa in opera dei principi dello Stato di Diritto. Quest’ultimo, infatti, garantisce al cittadino il rispetto delle propria libertà di pensiero e di comportamento e determina l’illiceità dei suoi atti solo quando costituiscono la violazione di un obbligo di legge: nullun crimen sien praevia lege penali è il famoso brocardo.
Mi riferisco al rapporto estremamente critico, e segnato anche dalla violenza, che si è stabilito nel mondo del lavoro, con conseguenze sia sul piano della vita personale che su quello delle relazioni industriali, a causa del possesso o meno del “certificato verde”. Il punto critico può riassumersi in poche battute. La chiave è rappresentata dall’uso improprio della certificazione; improprio per due ragioni giuridicamente e socialmente rilevanti.
La prima. Il mancato possesso del certificato, poiché corrisponde a una non vaccinazione, viene fatto percepire all’ambiente umano, dai media e dalle Istituzioni, come una mancanza di solidarietà interpersonale. Si trasforma così quello che le medesime Istituzioni avevano ribadito essere una libera scelta in un illecito sociale. In ciò viene violato un principio fondamentale della Stato di Diritto, che non a caso si denomina così: “di Diritto” (e non “Stato” e basta), per il quale la determinazione di una fattispecie illecita, come causa di sanzioni, può avere esclusivamente una fonte giuridico-legislativa: il brocardo di cui sopra. Il trasformare in illecito sociale un atto ritenuto libero e quindi giuridicamente lecito, significa innescare una sorta di odio sociale e quindi di diffidenza, sospetto e controllo interpersonali; in una parola, produrre frammentazione sociale. Sono arrivato al punto; il tema della frammentazione sociale, infatti, riconduce alle questioni poste da Zamperini nel suo testo. Come dire, che la gestione socio-politica della pandemia aveva, fin dall’inizio, come obiettivo finale la frammentazione sociale. È la reinizializzazione profetizzata da Schwab?
LAVORO, FRAMMENTAZIONE SOCIALE E PRATICHE DI GOVERNO
Il tema che ho inteso mettere in luce attraverso questo esempio tratto dalla contemporaneità quotidiana è il nesso tra lavoro, frammentazione sociale e legittimazione delle pratiche di governo, che la virtualizzazione e digitalizzazione tecnologiche mettono in stretta relazione tra loro, rinviando inevitabilmente alle figure globali che le progettano. Il punto critico su cui riflettere è il seguente.
Dissolvendo la fisicità dello stare insieme, soprattutto in un luogo fisico di lavoro stabile, si incide sulle abitudini mentali delle persone, il cui cervello si adatta a una sorta di pigrizia individualistica, magari allietata da suggestioni ludiche, che fa evaporare l’attrazione per ogni forma di associazionismo. Conseguenza: viene meno la base per un effettivo interesse del cittadino per le Istituzioni, per la loro configurazione giuridica e legittimità operativa, per una visione socio-politica che comprenda i corpi intermedi, che dovrebbero metterla in forma, come i partiti. Viene meno cioè l’effettività, al di là della retorica mediatica, del controllo giuridico e della critica politica intorno all’operato del governo in carica, secondo i principi di una democrazia rappresentativa e dello Stato di Diritto.
Qui entra in campo il riferimento storico sopra accennato, che ha formato la cultura delle generazioni del ‘900, non ancora digitale né virtuale e non ancora finanziariamente “globale”.
CHE FINNE HANNO FATTO LA «DESTRA» E LA «SINISTRA»?
Il secolo scorso, al quale molti di noi anagraficamente e culturalmente appartengono, aveva come centro una realtà socio-politica strettamente legata al mondo del lavoro (basti pensare alla c.d. “supplenza sindacale” ed allo “Statuto dei lavoratori” degli anni ’70). Realtà dalla quale discendeva l’idea stessa del concetti storici di “sinistra” e di “destra”, insieme a quelli di “proletariato” e “borghesia”.
Tuttavia, usare ancora oggi siffatti termini, nonostante la retorica mediatica, significherebbe muoversi in un formidabile anacronismo. L’idea di “sinistra” è storicamente collegata a due espressioni: “proletariato” e “classe operaia”; così come il termine “destra” ne evoca altre due: “capitalisti” e “borghesia”. Parole, queste quattro, che sono nate e cresciute in un contesto storico-culturale che ha trovato la sua “concretizzazione” nell’idealismo hegeliano e nel conseguente materialismo storico marxiano. Pensiero quest’ultimo, la cui “materialità” prendeva corpo attraverso il lavoro in fabbrica, e il significato stesso della vita per migliaia di uomini, donne e talora anche ragazzi, che vi si svolgeva.
Le quattro figure ora ricordate rappresentano, dunque, l’idea di essere umano in quanto “soggetto” sia individuale che plurale: l’Io, il Tu, il Noi.
È questa dimensione storica che occorre avere a mente per comprendere l’idea di “sinistra”, la sua trasformazione da rivoluzionaria in riformista e la sua affermazione nello Stato sociale di diritto. È’ infatti questa figura istituzionale e costituzionale che ha trasformato lo Stato di diritto liberale, egemonizzato dalla “classe borghese”, nello Stato di diritto democratico-rappresentativo. In esso libertà individuale e giustizia sociale hanno trovato, nella seconda metà del secolo passato, dopo la sconfitta delle dittature, una loro accettabile conciliazione, grazie alla mediazione culturale del pluralismo partitico e sindacale. Una composizione spesso difficile e anche tensiva, ma tutto sommato capace di allestire una certa pace sociale per il mondo occidentale, almeno fino all’ultimo decennio del secolo. Soprattutto ha consentito di alimentare la politica come “pensiero”, “visione del mondo” e “progetto sociale”.
Ho ritenuto di ricordare assai brevemente quale sia stato il mondo culturale che ha preceduto il Millennium, la sua intelligenza di vita e ricchezza di pensiero, la sua capacità di disegnare in concreto una antropologia, nella quale l’Io e il Noi, l’individuale-relazionale e il sociale avevano una identità chiaramente definita. Il “mondo” che ha disegnato così brillantemente Zamperini ha vaporizzato l’intelligenza immaginifica dell’umano per farla emigrare nella abilità computazionale dell’“artificiale”. E aggiungo che quel mondo culturale, erede dei tre secoli della “Ragione Moderna”, aveva un rispetto per il Diritto, come principio di legittimazione della politica e regolatore della economia, che il nostro mondo attuale ha dissolto nelle “intese” e negli “equilibri” confezionati dalle lobbies di potere. Non più Diritto, ma effettività del potere.
Fonte: Money.it