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Draghi: il suo primo anno in politica estera

Draghi: il suo primo anno in politica estera

Il 13 febbraio 2021 Mario Draghi si insediava come presidente del Consiglio a capo del governo di larga coalizione nato dopo il collasso del governo C

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Il 13 febbraio 2021 Mario Draghi si insediava come presidente del Consiglio a capo del governo di larga coalizione nato dopo il collasso del governo Conte II e ha avviato un’agenda politica sistemica che ha coinvolto anche gli affari esteri.

Draghi, un premier “euroatlantico”

Europeismo e atlantismo sono state le stelle polari di una visione prospettica con cui l’ex governatore della Banca centrale europea ha, fin dalle prime settimane, agito. Come testimoniato dall’avvertimento del caso dell’arresto dell’ufficiale Walter Biot, dallo stop della vendita di Iveco in mani cinesi tramite golden power e dalla nomina di diversi convinti atlantisti in ministeri-chiave (Luigi Di Maio agli Esteri, Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo Economico, Lorenzo Guerini alla Difesa) Draghi ha fin dall’inizio mirato a costruire una relazione speciale con Joe Biden e gli Stati Uniti. Inoltre, in Europa Draghi ha gettato il peso del suo standing personale nei dibattiti sul superamento del Patto di Stabilità e sulla costruzione di un’Unione Europea più adatta all’era post-pandemica.

Il G20 di Roma, la partecipazione di Draghi al bideniano Forum delle Democrazie, la sinergia con il presidente Sergio Mattarella e il dialogo costante con uno Stato profondo di apparati e burocrazie molto attento al dialogo con Francia, Germania, Stati Uniti hanno segnato, in tal senso, dei passaggi importanti.

In tale ottica, possiamo vedere che nel caso-Draghi c’è per l’Italia uno scollamento palese tra le accreditate relazioni internazionali di cui Draghi è forte e le prospettive della politica estera di Roma. Le prime esistono, sono concrete, afferiscono alla human diplomacy e al mutato contesto sistemico globale, che ha di fatto tolto il terreno sotto i piedi a un Conte ritenuto troppo “trumpiano”, e hanno giocato un ruolo chiave nel favore dato da Ue, Usa e Vaticano all’ascesa a Palazzo Chigi dell’allievo dei Gesuiti divenuto banchiere. La seconda, invece, per Roma continua a latitare.

Per il politologo e docente alla Luiss Lorenzo Castellani proprio l’influenza di Draghi tra i grandi della Terra ne renderebbe valorizzata la posizione agli occhi dei partiti di governo: “Draghi può garantire, negoziare, indirizzare i rapporti tra Italia, Stati Uniti e resto d’Europa”, ha scritto Castellani su Panorama. “La sua missione non può fermarsi allo stare col fiato sul collo a ministri e dirigenti pubblici come alcuni si ostinano a credere. Da Draghi passa la gestione del vincolo esterno, l’influenza (sempre limitata) dell’Italia sulla politica economica europea e sulle scelte strategiche di questa, il rapporto con gli Stati Uniti nella nuova ottica bipolare di contenimento della Cina”.

In quest’ottica, per le grandi potenze europee e gli Usa Draghi ha raddoppiato, fondendosi ad esse, le garanzie di dialogo diretto fornite dal Quirinale, vero cuore dello Stato profondo e centrale strategica italiana.

Il Trattato del Quirinale, la volontà di Draghi di gestire la “sfida francese” e di consolidare il rapporto con la Germania dopo l’addio al potere di Angela Merkel da un lato e la lealtà atlantica che ricambia il sostegno dei democratici Usa alla scalata di Draghi alla Bce sono due esempi che tratteggiano, nel draghismo, il prevalere delle relazioni internazionali sulla strategia di politica estera. Ma i leader, per quanto sistemici, non sono risolutivi sul lungo periodo. Non se si riducono ad essere capi senza Stato. E l’agenda continua a essere pressante per un’Italia che sperimenta i problemi di sempre.

L’estero vicino nel caos

Libia, Balcani, Mediterraneo erano nella tempesta e lo sono tuttora. Draghi ha promosso una visione politica più atlantica che europea e più europea che mediterranea, fattispecie non imprevedibile visto la vocazione continentale di un uomo cresciuto nei salotti della finanza istituzionale e la natura decisiva della direttrice che punta verso il cuore dell’Europa in tempi di Covid e Pnrr. Sul fronte mediterraneo, archiviati gli screzi con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan dei primi mesi di mandato, restano sul tavolo le tensioni a Est, le incertezze nell’agenda energetica, l’assertività di Ankara; Libia e Sahel rimangono buchi neri geopolitici, mentre nei Balcani la necessità di fare sistema come Paese e di conquistarsi uno spazio d’influenza, dalla Croazia all’Albania, non prende piede.

Durissima invece anche per l’Italia la batosta della ritirata afghana, cui però ha fatto seguito l’acquisizione del comando della missione Nato in Iraq. Per l’Italia arriverà il momento di dover trarre dividendi sistemici da queste politiche assertive.  Accorciando e razionalizzando le linee, con più Iraq e meno Afghanistan nella sua missione di politica estera, l’Italia aumenta la sua profondità strategica avvicinandosi ai teatri principali di riferimento. In primo luogo, si viene così a creare un crescente controbilanciamento alla presenza della Turchiapartner e rivale strategico al tempo stesso, nel nostro estero vicino portando una crescente forza militare in un Paese che Ankara ritiene importante e con cui confina; in secondo luogo, si crea un collegamento con la missione Unfil in Libano, rimarcando l’importanza del Medio Oriente per l’Italia in un contesto storico assai delicato; terzo punto è, senz’altro, la possibilità di mettere puntelli al retroterra del Mediterraneo allargato, creando assieme alla base militare di Gibuti un arco che ha il suo corrispettivo nella presenza militare in Mali. Un impegno in profondità che segnala la volontà italiana di presidiare le regioni che insistono sulle aree più strategiche per la connettività commerciale e la sicurezza dell’Occidente e che Draghi ha voluto approfondire assieme, soprattutto, a Guerini.

Russia, Cina, India: cosa pensa Draghi

Più cordiali invece le relazioni con l’India. Arrivando a Roma per il G20, a ottobre il primo ministro indiano Narendra Modi ha compiuto la prima visita di un leader di Nuova Delhi in Italia da dodici anni in poi. La partnership Modi-Draghi è fiorita silenziosamente da quando Draghi ha preso le redini in Italia. Modi è stato uno dei quattro leader con cui Draghi ha avuto incontri bilaterali durante la riunione dei capi di stato del G20 a Roma in ottobre, e ha sostenuto pienamente la riunione del G20 italiana sull’Afghanistan, boicottata invece da Vladimir Putin e Xi Jinping.

La sfida sarà, per i prossimi mesi, consolidare al contempo relazioni internazionali del leader e politica estera del Paese. Sarà Draghi col suo governo a negoziare in prima persona, ma le sfide riguarderanno partite calde e concrete: che fare per l’energia nel Mediterraneo? Che assetto dare alla nuova Ue? Come regolare nel quadro dei rapporti con gli Usa i programmi di autonomia strategica europea? Come confrontarsi con la Turchia? Come gestire in Africa i rapporti con Egitto, Libia, Algeria? A queste e altre domande non basteranno summit e strette di mano per dare risposta.  Parliamo delle sfide decisive per il sistema-Paese. Quelle su cui Draghi dovrà lavorare assieme alla sua squadra concretamente per essere incisivo.

Fonte: Insiderover.it

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