HomePolitica Italiana

L’ Italia nel 2040: tra difesa cumune, patto sociale e intelligenza artificiale

Uno scenario economico e sociale nuovo e complesso, che vede il tramontare di un modello centralizzato, con le imprese che ormai trattano con il sindacato a livello locale. Un sistema dove acquisiscono sempre maggiore peso le autonomie locali, le regioni, i comuni

L’ Italia nel 2040: tra difesa cumune, patto sociale e intelligenza artificiale

La situazione politica internazionale è caratterizzata da un bipolarismo emergente, che si è manifestato ben prima dello scoppio del conflitto tra Rus

Coppa Davis Tennis L’Italia ha vinto dopo 47 anni
IL RUGGITO DEL LEONE
RESISTENZA E LIBERAZIONE – LA STORIA DELLA CAMPAGNA MILITARE ITALIANA TRA VERITÀ E RACCONTO

La situazione politica internazionale è caratterizzata da un bipolarismo emergente, che si è manifestato ben prima dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina. Da anni gli Stati Uniti sono impegnati nella ricerca di un consenso interno e nella difesa di un primato esterno: per questa ragione, già da tempo, hanno chiesto all’Europa di “schierarsi” nel confronto con una Cina sempre più attiva militarmente nel suo estero vicino (Taiwan e Mar cinese meridionale) ed economicamente nella spinta ai consumi interni. Per l’Europa, tradizionalmente più interessata al sistema di regole e diritti, il sostegno attivo all’Ucraina ha rappresentato un cambio di paradigma. In uno scenario determinato dal confronto tra gli Stati Uniti ed una Cina pronta ad accogliere nella sua orbita una Russia ormai in rotta di collisione con tutto l’Occidente, se l’Europa non vuol essere condannata all’irrilevanza l’elaborazione di una politica estera e di una difesa comune non è più rinviabile.

Una situazione di instabilità, in costante evoluzione, che può portare rischi economici e rabbia sociale. Con la globalizzazione si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza, con quest’ultima ormai libera da vincoli territoriali entrata ormai a far parte di una “repubblica internazionale del denaro”. In Italia, oltre alla necessità di una riforma fiscale, è emersa la necessità di una redistribuzione che “tenga le persone a bordo”, altrimenti il sistema rischia di non reggere più. Dal punto di vista politico e sociale, ma anche culturale. Soprattutto nei giovani la “cultura dell’io”, amplificata dalle restrizioni del periodo pandemico, rischia di minare ulteriormente la coesione sociale. Dal 2011 sono andati persi quasi 2 milioni di occupati under 40, mentre negli Stati Uniti è sempre più forte il fenomeno delle “grandi dimissioni”, con i dipendenti che si dimettono volontariamente in massa dai loro posti di lavoro. In Italia il reddito di cittadinanza sta allontanando le persone dal lavoro invece di avvicinarle.

Uno scenario economico e sociale nuovo e complesso, che vede il tramontare di un modello centralizzato, con le imprese che ormai trattano con il sindacato a livello locale. Un sistema dove acquisiscono sempre maggiore peso le autonomie locali, le regioni, i comuni. Attraverso un lavoro coordinato è possibile riuscire ad attrarre investimenti e a utilizzare al meglio la grande opportunità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che non deve rimanere un’operazione tecnocratica ma che deve essere articolato sui territori. Il conto della pandemia finora è stato molto pesante: sono state pagate 6 miliardi di ore di cassa integrazione emergenziale, il che significa 6 miliardi di ore di lavoro in meno. Aumentano i divari interni tra chi ha dei bassi profili professionali e i lavoratori altamente specializzati, crescono i fenomeni di marginalità economica e sociale e il lavoro povero, con la tendenza ad abbattere il costo del lavoro con l’utilizzo di manodopera a basso costo e senza tutele.

La sfida – oltre a quella del sostegno all’occupazione – è quella della sostenibilità. Gli standard sono alti e non sempre compatibili: gli anziani vogliono pensioni alte, i giovani lavori di loro gradimento, preferendo nell’attesa il reddito di cittadinanza. Ma il sistema, soprattutto nel nuovo scenario post-pandemico attraversato da gravi tensioni internazionali, non sarà in grado di sostenere standard di questo tipo. C’è poi la questione demografica: il saldo naturale prima della pandemia era di 214 mila morti in più delle nascite, con la pandemia il saldo è negativo per oltre 300 mila unità.

È molto probabile che nel 2021 il dato delle nascite complessive sia sotto la soglia delle 400 mila. Lo smart working in prospettiva potrebbe essere un modo per conciliare la maternità con il lavoro, riuscendo ad accrescere la partecipazione lavorativa delle donne favorendo contestualmente maggiori nascite.

Analizzando le dinamiche in atto e i cambiamenti, volendo mantenere una visione di lungo periodo, la domanda è: quale sarà il profilo dell’Italia nel 2040? Potrebbe essere quello di un Paese dove vivono 58 milioni e mezzo di persone, dove si lavorerà di meno, passando dalle attuali 70 mila ore l’anno a 50 mila. Un 2040 dove un quinto della forza lavoro sarà composta da operai e contadini, un altro quinto da impiegati esecutivi coadiuvati da computer. Il restante 60% sarà composto da creativi, manager, imprenditori, professionisti, artigiani, scienziati e artisti coadiuvati dall’intelligenza artificiale. In prospettiva sono due i problemi fondamentali da risolvere: come distribuire il lavoro che diminuisce e come distribuire la ricchezza che cresce prescindendo dal lavoro umano necessario per produrla.

Ognuno diventerà imprenditore di se stesso, il lavoro si atomizzerà, ogni individuo eserciterà una pluralità di attività, imparando a lavorare sempre e dovunque? Oppure ci sarà una “redistribuzione della disoccupazione”, con una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro parallelamente all’adozione di nuove tecnologie? Se quest’ultima possibilità dovesse concretizzarsi, ci potrebbe creare una sorta di “immenso apartheid” globale della massa disoccupata, dove i robot sostituiranno spesso gli esseri umani. A lavorare saranno soprattutto i creativi: resta il fatto però che la popolazione sarà sempre formata anche da anziani soli e da famiglie con bambini da accudire. Questo potrebbe dimostrare ancora una volta la necessità del volontariato, con la possibilità di una valorizzazione del terzo settore e delle attività al servizio degli altri.

Al di là di quale sarà lo scenario quel che è certo è che l’Italia necessita di un nuovo patto sociale, molto diverso rispetto a quello del passato. Non più, quindi, uno strumento per la redistribuzione del reddito e per tamponare i difetti della crescita, bensì un contratto sociale che serva a ricostruire una nuova struttura economica. Un nuovo patto in grado di ripristinare la fiducia, di ricostruire reti e relazioni che servano a una gestione più efficace del momento storico attuale.

Quelli che ieri erano i protagonisti del contratto sociale in futuro probabilmente avranno un ruolo più marginale. Basti pensare che i partiti hanno un ottavo degli iscritti che avevano nell’immediato dopoguerra, i sindacati ormai sono composti per la maggior parte da pensionati, l’affluenza elettorale nelle elezioni amministrative è ai minimi storici. Dunque i contraenti di ieri probabilmente saranno “ex protagonisti”, ma non è facile capire quali potranno essere i nuovi contraenti del nuovo contratto sociale. Quello che è certo è che un Patto per l’Italia potrebbe prendere forma in un momento straordinario, ricco di energie positive, con grande voglia di ripartenza: il dialogo fra le parti sociali rappresenterebbe un segnale per una definitiva uscita collettiva dalle difficoltà della pandemia.

Fonte: Huffpost.it

Commenti