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Il Roe è nudo. E in banca il 30 per cento dei dipendenti è di troppo

Il Roe è nudo. E in banca il 30 per cento dei dipendenti è di troppo

La macchina negli anni è diventata troppo grande e il motore, sempre più piccolo, non solo non ce la fa a raggiungere le velocità di un tempo, ma talv

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La macchina negli anni è diventata troppo grande e il motore, sempre più piccolo, non solo non ce la fa a raggiungere le velocità di un tempo, ma talvolta fatica anche a muovere quell’enorme carrozzone che è diventata l’industria del credito. Corrado Passera lanciando la sua Illimity all’inizio del 2019 sottolineava il fatto che la nuova banca partiva senza legacy dal passato, nessun conto da saldare con gli impegni assunti nei confronti della clientela cinque, dieci, vent’anni fa. Un lusso rispetto a tutti i concorrenti. Illimity è infatti un unicum nel panorama italiano, dove la regola vede la frequente riproposizione del passato. Gli Npl lo confermano. La grande massa di prestiti inesigibili che hanno affollato le cronache bancarie negli ultimi anni sono proprio il portato del passato, scelte sbagliate allora che riverberano i loro effetti sui bilanci di oggi. Appesantendoli, obbligando il management a vendere intere partite di crediti ormai inesigibili, sotto la pressione del regolatore.

Il futuro vicino

Nel futuro prossimo, vedi articolo al piede, il tema del giorno non saranno più gli Npl, bensì gli Utp (unlikely to pay), sigla che nasconde quelle che un tempo si chiamavano inadempienze probabili. Sarà solo un nuovo ostacolo su una strada già molto disastrata, che ha portato recentemente l’amministratore delegato di un primario gruppo operante in Italia a definire le banche come «distruttrici sistematiche di capitale». Anche senza lasciarsi coinvolgere dal pessimismo, è certo che sul settore gravano pesanti incognite in termini di redditività, aggravate dall’eccesso di capitale di cui le banche sono recentemente portatrici.

C’è un evidente tema di profittabilità del business bancario, che si sintetizza nel Roe, un indicatore che fotografa la redditività del capitale proprio, ovvero quanto rende ai soci il capitale conferito in azienda. Nel primo semestre di quest’anno, la media delle banche francesi ha riconosciuto ai propri soci un Roe del 2 per cento, in Germania si sono fermati all’1,5 per cento, in Olanda allo 0,8 per cento. La media europea è sullo 0,75 per cento, con le banche del Belgio a 0,6 per cento e le italiane a 0,3 per cento. Poco, ma sempre meglio delle spagnole, che registrano un Roe negativo per oltre 4 punti percentuali. È chiaro a tutti che, con questi numeri, il sistema non può soddisfare gli investitori.

L’inaridirsi delle fonti di reddito, con il calo delle commissioni e degli interessi, sta giocando pesantemente contro le imprese bancarie, come hanno evidenziato i recenti lavori dell’Osservatorio Banca Impresa 2030 nato in seno alla Liuc. Ma oltre al problema dei ricavi, vi è un altro tema di estrema rilevanza: la base dei costi delle imprese bancarie italiane è oggi mediamente troppo elevata. Per mantenere un equilibrio di lungo periodo i costi medi del sistema dovrebbero scendere del 30-35 per cento nei prossimi 3-5 anni. Meglio tre, si sottolinea da più parti. E questo è un altro grave ostacolo sul cammino futuro delle banche tradizionali, quelle che non sono nate digitali e che, a differenza di Illimity, devono fare i conti con le legacy del passato.

Nella tabella di questa pagina vedete (nella versione web, in apertura dell’articolo), il semplice rapporto costruito sulle entrate e le uscite degli istituti di credito nei primi nove mesi dell’anno. Nel caso di Intesa Sanpaolo, ogni cento euro sostenuti di costi, ne sono entrati in banca 199. Per Unicredit, a livello di gruppo, 175, che diventano 173 se consideriamo il solo territorio italiano, dove la banca guidata da Jean Pierre Mustier registra nel medesimo periodo proventi operativi per 4,812 miliardi a fronte di costi per 2,774 miliardi. Banco Bpm si ferma a 169 e poi a scendere fino ai 134 euro del Monte dei Paschi di Siena, non a caso la banca in maggiori difficoltà oggi, che somma a onerose eredità del passato tutte le incognite che affliggono le altre concorrenti di natura tradizionale in questo momento.

Specializzazioni

Parlare di costi implicitamente significa parlare di posti di lavoro ed il tema è particolarmente scottante in un momento già funestato dalla pandemia. Il confronto tra le parti, l’Abi e i maggiori sindacati del settore, Fabi in testa, è costante sul futuro del settore. E mentre la Banca d’Italia spinge con forza verso la trasformazione digitale delle imprese vigilate, oggi sono le banche light a governare la scena con ottimismo: Finecobank, Banca Mediolanum, Banca Generali, Banca Sella si basano su una struttura di costi che le piattaforme digitali che le sorreggono hanno reso più compatibili con il futuro prossimo, permettendo loro di non incorrere nelle complessità che l’attuale momento di discontinuità impone alle banche di struttura più tradizionale. Certo, in alcuni casi sono banche parziali, che non svolgono tutti i «mestieri» della banca. Ma la specializzazione è una visione che può essere redditizia. Per fare le banche universali, invece, le dimensioni sono un prerequisito essenziale.

Fonte : www.corriere.it

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