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LE VERE RAGIONI DI UNA GUERRA

LE VERE RAGIONI DI UNA GUERRA

Per gentile concessione del Nuovo Giornale Nazionale.it Diceva Frédéric Bastiat che “lì dove non arrivano le merci, arriveranno gli eserciti”. E in

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Per gentile concessione del Nuovo Giornale Nazionale.it

Diceva Frédéric Bastiat che “lì dove non arrivano le merci, arriveranno gli eserciti”. E in effetti negli ultimi trent’anni la spinta della globalizzazione finanziaria è stata tale da mettere in secondo piano i teatri di guerra, che tuttavia hanno continuato a contrassegnare i territori dello Scacchiere mondiale.

Nell’Ottocento su una popolazione mondiale complessiva media di un miliardo e mezzo di persone viventi, i morti in combattimento sono stati l’1%. Cioè 15 milioni di persone. Nel Novecento sul dato corrispondente di tre miliardi e mezzo di persone, i morti in combattimento sono il 2%. Ovvero: 70 milioni. “Dopo il 1945 hanno insanguinato il pianeta altri 265 conflitti interni o internazionali, con una percentuale di vittime civili che ha continuato a salire”. (G. Strada, Una persona alla volta, libro postumo 2022). “Nel 21° secolo su 9 miliardi (nel 2050) di abitanti viventi in media nel secolo, si può prevedere che i morti in combattimento saranno 270 milioni. Il 3% della popolazione, quindi. E come si può vedere (XIX, XX, XXI secolo) si tratta di una salita di tipo quasi esponenziale. Ciò a causa dell’aumento della popolazione e della disponibilità armi sempre più micidiali, incluse quelle atomiche” (N. Piepoli). Questa è una delle tante previsioni diciamo pure credibili che sono stimate oggi.

Dal 1990 a oggi, le guerre che si sono succedute e che sono ancora in corso, come quella in Ucraina in corso dal 2014, sono tante. Nel 2014, esse venivano classificate innanzitutto come “guerre per l’energia”, derivante da petrolio e gas naturale; guerre che allora, come adesso, hanno investito e investono vecchi e nuovi territori, e in particolare l’Iraq, la Siria, la Nigeria, il Sud del Sudan, l’Ucraina, l’Est e il Sud del Mar della Cina, la Libia, e altri.

Ora, ciò che a noi italiani dovrebbe più interessare è la situazione che, anche a seguito della guerra in Ucraina e delle nuove rotte di commercio possibili, rischia di prodursi nel Mediterraneo, quello che nel Trattato del Quirinale non abbiamo più definito “mare nostrum” ma “mare comune” italo-francese. Il Trattato è innanzitutto un accordo di cooperazione tra due “Nazioni sorelle” (M. Bergamo) che, in ragione del comune confine territoriale, dovremmo definire piuttosto “alpine”. E invece nel Trattato il solo aggettivo alpino e transalpino ricorre, in entrambi i casi, una volta soltanto. A differenza del sostantivo “Mediterraneo”, che ricorre per ben sei volte, in ordine a un profilo d’interesse geopolitico che nell’intero testo appare assai rilevante.

Per completezza, occorre anche dire che questa analisi geopolitica del testo vede il sostantivo “Europa” usato 13 volte e l’aggettivo “europeo/a” usato addirittura 99 volte; a differenza dell’espressione “Alleanza Atlantica” che compare nel testo una volta soltanto.

Il Trattato rappresenta quindi senz’altro una forma di accordo di cooperazione tra le due nazioni sorelle nell’ambito di una più generale visione e interesse politico legati, imprescindibilmente, ai nuovi e futuri assetti dell’Unione Europea. Ma, ciò detto, a noi sembra quindi che focus principale del Trattato sia piuttosto l’area geopolitica del Mediterraneo, che non molto tempo fa definivamo “Mare nostrum” e che nel Trattato è invece oggi indicato come “ambiente comune” (art. 1, comma 3). In proposito, noi sappiamo che in Libia il controllo del territorio è attualmente diviso tra le due potenze internazionali della Russia e della Turchia, ricordando anche che la Turchia è il secondo esercito numericamente più rappresentativo tra gli eserciti degli stati che fanno attualmente parte della NATO.

E allora, ecco il quadro della situazione per quanto concerne gli scambi di gas e energia tra Turchia e Russia, con particolare riguardo al teatro di scena del Mediterraneo.

 

Fonte: https://www.civica.one/turchia-e-mediterraneo-nella-guerra-del-gas/ Tra il 2000 e il 2015, la Turchia ha aumentato i consumi da 15 miliardi a 47.5 miliardi di metri cubi, il secondo maggiore aumento della domanda di gas in tutto il mondo, dopo la Cina (Frank Umbach. Il dilemma energetico della Turchia: Bruxelles o Mosca? 14 dicembre 2017, GISreportsonline.com). “La Turchia sta diventando partner privilegiato con la costruzione di Blue Stream e Turk Stream che la collegheranno alla Russia per il gas. In cambio la Turchia si presta per aggirare l’Ucraina, idonea a sostituire il South Stream con il TANAP che drena gas dal giacimento di Shah-Deniz II. Tuttavia a Erdogan appare chiaro quanto possa essere micidiale la dipendenza dalla sola Russia e quindi ha messo in atto politiche di diversificazione energetica” (Civica, ibidem), che introducono nello scacchiere i paesi del Golfo Persico, così come riportato nel quadro seguente.

“La Turchia dunque politicamente costituisce un pilastro solido putiniano nella demarcazione e controllo dello scacchiere Mediterraneo e la sua incoming influence in Libia lascia presumere che i rapporti tra Italia (ENI) e Francia (ELF) siano in fase di pronunciato avvicinamento, come dimostra il recente Trattato Bilaterale di cooperazione del novembre 2021. Tale situazione ha favorito il riavvicinamento tra i due Paesi Cugini e una sorta di solidarizzazione ‘petrolifera’ per arginare l’influenza Turca in Libia. Resta ancora da chiarire quale sarà il ruolo della Lukoil (ndr: la più grande compagnia petrolifera russa, presente in Italia grandi raffinerie e con 43 distributori) nella striscia mediterranea e del sud della Sicilia dove sono presenti 26 stazioni di servizio collocate tra Pozzallo e Mazara del Vallo. L’area è sensibile non solo per l’arrivo dei migranti ma anche perché è presente, secondo la Guardia di Finanza di Catania traffico clandestino tra la raffineria di Zawyja in Libia e la Sicilia” (Aldo Ferrara, Professore f.r. Università Milano e Siena, Chief European Res. Group on Automotive Medicine (ERGAM)) La questione internazionale dell’energia e quindi del gas, letta in quest’ottica di guerra commerciale (e, per così dire, non direttamente o essenzialmente militare in ordine a supposti principi o valori etici da tutelare e garantire), rende per Noi esplicito l’interesse della Russia di evitare l’esercizio del controllo o il blocco delle vie di fornitura da parte di Autorità e Paesi stranieri, così come sta già accadendo in Europa mediante la guerra in Ucraina.

(Fonte: Sky tg24) E così che, in definitiva, sia altrettanto chiara la ragione principale dello scontro prodottosi in Ucraina, dopo anni e anni di scambio e di rapporti commerciali tra la Russia e gli altri Paesi dell’intero scacchiere internazionale. A eccezione degli Stati Uniti, che hanno acquisito non solo una loro autonomia ma anche indipendenza energetica, dato che “nel 2019 hanno prodotto più energia primaria di quanta ne hanno consumata: non succedeva dal 1957. E nel 2020, per la prima volta dal 1952, hanno anche esportato più petrolio di quanto ne abbiano importato” (https://www.startmag.it/energia/stati-uniti-indipendenza-energetica/). In fine, ecco allora come appare anche oggi la situazione per ciò che a noi italiani – soprattutto nel futuro (!) – dovrebbe maggiormente interessare. Non tralasciando affatto le questioni che riguardano le guerre locali, l’approvvigionamento alimentare e l’aumento delle temperature in Africa, tutte situazioni che complessivamente determineranno un forte aumento del tasso d’immigrazione delle popolazioni dall’Africa attraverso la rotta principale del Mediterraneo.

A cura di Paola Bergamo e Angelo Giubileo

Fonte: Nuovo Giornale Nazionale – LE VERE RAGIONI DI UNA GUERRA

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