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Il Congo (RDC) ad un passo dalla guerra con il Ruanda

Il Congo (RDC) ad un passo dalla guerra con il Ruanda

Nella quasi totale indifferenza dei media e dell’interesse internazionale, si è drammaticamente riacceso un conflitto dimenticato che continua a miete

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Nella quasi totale indifferenza dei media e dell’interesse internazionale, si è drammaticamente riacceso un conflitto dimenticato che continua a mietere vittime.

La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è da decenni teatro di un lungo e sanguinoso conflitto ravvivatosi a maggio. Il suo esercito ha ricominciato a combattere il gruppo ribelle M23 che sta conducendo la sua offensiva più incisiva dall’insurrezione del 2012-2013, quando conquistò vaste aree di territorio.

Più di cento gruppi armati si combattono nella regione orientale del paese ricca di minerali portando alla morte e allo sfollamento di decine di migliaia di congolesi.

Le Forze Democratiche Alleate (ADF), la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), l’M23 e il Mai-Mai sono tra i gruppi più letali nel Nord Kivu e nell’Ituri. Il 6 maggio 2021, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha dichiarato lo stato d’assedio e nominato dei governatori militari a seguito della crescente insicurezza nell’est del paese.

Quali e quante sono le parti in conflitto? Troppe per elencarle e descriverle in questa sede. Riassumendo possiamo dire che CODECO è uno dei gruppi armati in Ituri. È una milizia c.d. di “autodifesa” composta essenzialmente da persone dei etnia Lendu. Il gruppo ADF (Forze Democratiche Alleate) fu fondato in Uganda nel 1995 e si è poi trasferito nella RDC. Ha iniziato ad allargare dal 2020, in modo più organizzato, la sua area di interesse nel sud dell’Ituri a seguito dello spostamento delle proprie basi operative causato da operazioni dell’esercito congolese e da interventi dell’operazione “Shuja”1.

Pare che le ADF abbiano instaurato i primi rapporti con il Daesh nel 2017 e nel marzo di quest’anno, in seguito alla morte di Abu Ibrahim Al-Qurashi, gli accordi tra le due parti si sono rinnovati e diventati sempre più stretti tanto che in diversi video in cui vengono riprese delle decapitazioni, vengono pronunciati, da membri delle ADF, slogan dell’integralismo islamico. Lo scorso 16 agosto il gruppo è stato sospettato di aver ucciso otto persone nel villaggio di Lolwa, nella provincia di Ituri.

Mai-Mai sono combattenti che affermano di essere protetti dalle proprietà magiche dell’acqua, organizzatosi in gruppo armato nella ribellione del 1964.

L’M23 è l’erede diretto del cosiddetto “Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo” (CNDP), una formazione paramilitare di etnia Tutsi di base nelle province orientali del Congo dal 2006. Il gruppo viene fondato il 4 aprile 2012 prendono il nome da un accordo di pace (per loro fallimentare) che hanno firmato con il governo congolese il 23 marzo 2009, quando stavano combattendo come parte del CNDP. Molti combattenti del CNDP sono stati integrati nell’esercito congolese, ufficialmente conosciuto come FARDC (Forces démocratiques de libération du Rwanda).

Dopo la sua sconfitta nel 2013 da parte dalle Forze armate della RDC con l’appoggio delle truppe della MONUSCO, il gruppo M23 si era diviso in due fazioni: l’Esercito Rivoluzionario del Congo (ARC), guidato da Bertrand Bisimwa, e l’Alleanza per la Salvezza del Popolo (ASP), capeggiata da Jean-Maria Runiga. In dicembre 2013, l’M23 aveva firmato un accordo con le autorità congolesi che avrebbe portato al suo scioglimento come gruppo armato. Nel 2017, però, l’M23 si è riorganizzato stanziandosi sul monte Sabinyo nell’est del Congo. Tuttavia, è rimasto inattivo fino al novembre del 2021 quando ha attaccato le FARDC e membri dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura (ICCN) rubando loro armi ed uniformi. L’M23 ha ripreso le ostilità, sotto il comando di Makenga e di Yusuf Mboneza, per chiedere, secondo le sue dichiarazioni, l’applicazione di un accordo firmato nel 2013 con Kinshasa.

I gruppi internazionali per i diritti umani affermano che i combattenti dell’M23 sono stati responsabili di crimini di guerra diffusi, tra cui esecuzioni sommarie, stupri e reclutamento forzato di bambini. Nel marzo 2013, a seguito di lotte intestine tra due fazioni dell’M23, Bosco Ntaganda, uno dei leader accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, si è consegnato all’ambasciata degli Stati Uniti in Ruanda ed è stato estradato all’Aia.

La situazione attuale

La scorsa settimana sono ripresi i combattimenti tra le forze armate della Repubblica democratica del Congo e i ribelli dell’M23 nella provincia orientale del Nord Kivu. Il gruppo ribelle è accusato di essere prezzolato dal Ruanda che si è visto espellere il suo ambasciatore Vincent Karenga da Kinshasa. Non sono tardate le manifestazioni di protesta, in particolar modo a Goma, contro l’escalation di insicurezza che sta imperversando nel Paese accompagnata da una possibile ingerenza del Ruanda sulla politica interna congolese.

Il 20 ottobre scorso, il Movimento 23 marzo ha lanciato una nuova, ennesima, offensiva contro l’esercito congolese conquistando un’importante porzione del territorio di Rutshuru causando lo sfollamento di migliaia di persone (quasi duecentomila dall’inizio dell’anno). Tra il 20 ottobre ed il 1 novembre circa cinquantamila persone hanno abbandonato le proprie abitazioni per raggiungere la periferia di Goma.

Il gruppo M23 che dichiara di voler proteggere i Tutsi dagli attacchi dei gruppi armati hutu, tra cui soprattutto le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), che comprendono anche dei membri accusati di partecipazione al genocidio perpetrato nel 1994 in Ruanda, era rimasto dormiente per diversi anni fino alla fine dello scorso anno. L’M23 ha accusato il governo congolese di non aver rispettato un accordo per integrare i suoi combattenti nell’esercito. Ciò ha condotto ad una loro rimobilitazione che ha esacerbato le relazioni tra gli stati dell’area centro-africana e la RDC, per voce del suo presidente, Felix Tshisekedi, accusa nuovamente il Ruanda di sostenere i ribelli dell’M23 per appropriarsi delle ricchezze minerarie del suo paese. Anche l’ONU ha asserito che da novembre 2021 a giungo 2022 l’esercito ruandese è intervenuto nell’est della RDC, direttamente e in appoggio al gruppo M23 effettuando degli interventi militari contro le forze armate del Congo e fornendogli armi, munizioni, uniformi ed uomini.

Nel novembre 2021 l’M23 ha attaccato alcune postazioni militari delle FARDC nei villaggi di Chanzu e Runyonyi (Nord Kivu). Nel marzo di quest’anno è riuscito ad occupare alcune zone del territorio di Rutshuru e poi la base militare di Rumangabo.

Sempre il presidente Tshisekedi, giovedì 10 novembre, ha chiesto ai giovani di formare “gruppi di vigilanza al fine di sostenere le forze armate” per far fronte all’attività dei ribelli nell’est del paese aggiungendo che il conflitto richiede “il sacrificio e l’impegno di tutte le figlie ed i figli della nazione”.

I ribelli dell’M23 hanno recentemente attraversato la provincia del Nord Kivu della RDC, ottenendo una serie di vittorie contro l’esercito e conquistando aree di territorio. Infatti, l’8 novembre scorso l’esercito della Repubblica Democratica del Congo ha bombardato, con jet Sukhoi-25, le postazioni dell’M23 nel nell’area di Tchanzu per cercare di recuperare alcune posizioni dal controllo del gruppo ribelle. L’azione, a detta dei miliziani, avrebbe ucciso 15 civili tra cui due bambini.

Lawrence Kanyuka, portavoce dell’M23, ha accusato l’esercito di attaccare aree densamente popolate e di calpestare la richiesta di dialogo aggiungendo che “questa opzione guerrafondaia è controproducente e mette in estremo pericolo la vita di molti cittadini nelle aree sotto il nostro controllo e aggrava la situazione umanitaria nella regione”.

Nel frattempo i leader della Comunità dell’Africa orientale (Eac) si sono riuniti in via informale a margine della Cop27 in Egitto per discutere della crescente insicurezza nella RDC orientale.

Il 10 novembre almeno quattro persone, si sospetta membri dell’ADF, sono state uccise e altre 10 rapite vicino alla città di Beni, nell’est del paese. A Kabasha (Nord Kivu) è stato attaccato un centro commerciale ed incendiato l’unico centro sanitario di quella zona. I combattimenti si concentrano in questa fase nel settore di Kibumba, dove i militari congolesi sono riusciti a fermare l’avanzata dei ribelli dell’M23 dopo essersi ritirati di dieci chilometri. Resta, invece, più calmo il fronte situato nei pressi di Mabega mentre le città di Rutshuru e Kiwanja restano sotto il controllo dei ribelli dell’M23.

Sabato 12 novembre, sono arrivati a Goma soldati kenioti per prendere parte ad un’operazione militare della Comunità dell’Africa orientale (EAC) approvata lo scorso giugno, per stabilizzare la regione orientale del Congo ricca di minerali. Le truppe stazioneranno a circa 10 chilometri dalla città di Goma, dove condurranno operazioni nel tentativo di riportare la normalità. Il tenente colonnello keniota Dennis Obiero ha riferito che la loro missione è “condurre operazioni offensive” a fianco delle forze congolesi e assisterle nel disarmo delle milizie ribelli. “L’insicurezza è qualcosa che rompe il tessuto sociale”, ha aggiunto, spiegando che il contingente keniota lavorerà anche a fianco delle agenzie umanitarie nel tentativo di portare stabilità nella RDC orientale.

Anche i contingenti di Uganda e Burundi sono presenti nel Nord Kivu, dove dal maggio 2021 vige lo stato d’assedio. Le tensioni nell’est della RDC sono riesplose di recente dopo la conquista da parte dell’M23 delle città di Kiwandja e Rutshuru e la decisa avanzata dei ribelli verso Goma, capoluogo del Nord Kivu e centro del potere provinciale.

Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato di avere prove che le truppe ruandesi hanno combattuto a fianco del gruppo ribelle M23 nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e gli hanno fornito armi e supporto.

Il Ruanda ha negato le accuse del governo della RDC di sostenere l’M23 e di aver inviato truppe nel paese e l’M23 ha negato di ricevere sostegno ruandese. Il rapporto dell’ONU sostiene, invece, che “ha ottenuto prove concrete della presenza e delle operazioni militari condotte da membri dell’RDF (Rwandan Defence Force) nel territorio di Rutshuru tra novembre 2021 e luglio 2022” e che membri dell’RDF hanno condotto attacchi congiunti con combattenti dell’M23 contro l’esercito del Congo fornendo ai ribelli anche armi, munizioni e uniformi.

Da maggio, l’M23 ha intrapreso la sua offensiva più sostenuta degli ultimi anni, uccidendo decine di persone e sfollando decine di migliaia di persone. Le truppe ruandesi e l’M23 hanno attaccato congiuntamente il campo dell’esercito congolese a Rumangabo. A giugno, invece, l’M23 ha conquistato la località di Bunagana, strategica nel commercio transfrontaliero tra Congo e Uganda ed altre località quali Chengerero, Ruvumu, Buharo e Rutokara. Il 21 giugno 2022 negli scontri a Bukenge e a Ruvumu l’M23 ha ucciso almeno 17 civili. Le autorità del Nord Kivu hanno parlato di violazione dell’integrità territoriale da parte del Ruanda, che a sua volta accusa Kinshasa di sostenere le milizie FDLR. Il Ruanda e l’Uganda diverse volte sono intervenuto entro i confini del Congo; ricordiamo gli episodi del 1996 e 1998 che vennero giustificati come una difesa da gruppi di milizie locali.

Il rinfiammarsi delle tensioni nella regione ha portato la popolazione ad accusare di inefficienza la missione MONUSCO delle Nazioni Unite che all’inizio di questo mese ha ritirato le truppe dalla base militare orientale di Rumangabo, cedendo terreno nella battaglia contro l’M23. Il 1 novembre nei pressi di Kanyaruchinya, poco distante da Goma, un camion dell’UN è stato dato alle fiamme mentre si stava ritirando da una zona conquistata dall’M23. Durante le operazioni di abbandono del posto due ingegneri delle Nazioni Unite del Bangladesh sono rimasti feriti.

Sono in corso sforzi regionali per raffreddare le tensioni tra Ruanda e CDR e porre fine al conflitto che si svolge lungo il loro confine condiviso.

L’ex presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, mediatore designato della Comunità dell’Africa orientale (Eac), è giunto a Kinshasa dove ha avuto un lungo colloquio con il presidente Felix Tshiseke. Kenyatta ha avuto altri incontri con gli attori nazionali coinvolti in questo processo, compresi i rappresentanti delle comunità locali, i leader di confessioni religiose e le autorità tradizionali ed ha detto che i colloqui con i gruppi armati per i negoziati di pace si terranno a Nairobi entro la fine del mese. I colloqui di pace fra il governo della RDC ed i gruppi armati attivi nell’est del Paese è stata ulteriormente rimandata, presumibilmente al fine settimana. Erano inizialmente previsti per il 16 novembre e successivamente posticipati ad ieri 21 novembre ma sono stati ulteriormente differiti. “Non sono venuto qui [Congo] con una prescrizione, ma piuttosto con l’idea di ascoltare i nostri fratelli e sorelle e speriamo di poter dare un contributo per portare una pace duratura”, ha detto dopo aver incontrato le parti interessate.

Domenica è arrivato a Kinshasa il presidente del Kenya, William Ruto, che dovrebbe parlare con il suo omologo congolese di investimenti, integrazione regionale e della situazione della sicurezza nell’est della RDC.

Anche il presidente angolano Joao Lourenco ha visitato il Ruanda venerdì e sabato ha incontrato il presidente congolese Felix Tshisekedi nella RDC.

La Repubblica Democratica del Congo è un paese molto ricco di materie prime e terre rare indispensabili per le nuove tecnologie tra cui quelle alla base della transizione ecologica. L’area compresa tra Bunagana, Goma e Kanyabayonga è sede di importanti giacimenti di coltan (utilizzato nei dispositivi elettronici) ed la RDC è il primo produttore mondiale di cobalto, elemento indispensabile per la produzione di accumulatori per auto elettriche.

Pare abbastanza evidente che gli scontri tra le comunità ed i gruppi armati sono alimentati dallo sfruttamento e dal commercio illeciti di queste risorse naturali che fanno gola non soltanto agli stati limitrofi ma anche agli altri attori internazionali. I miliziani utilizzano i proventi del traffico di questi minerali per acquistare armi e per corrompere autorità civili e militari. La comunità internazionale resta a guardare.

Fonte: Difesaonline.it

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