Gli effetti della globalizzazione ci sono franati addosso tutti insieme. Prima con la pandemia, a cui è seguito il rallentamento della logistica che
Il monopolio delle materie prime strategiche
Deng Xiaoping, il padre del capitalismo alla cinese, aveva le idee chiare: «Il Medio Oriente – disse nel 1987 – ha il petrolio, la Cina ha le terre rare». Oggi il 90% delle miniere di questa famiglia di metalli come il cerio, il disprosio e il samario, sono controllate dalla Cina. Metalli fondamentali per la nostra tecnologia, di cui siamo diventati ancora più dipendenti con la pandemia.
Cosa possiede l’Europa
Tungsteno, indio, gallio. Nomi che possono apparire lontani dalla quotidianità. Ma che invece «tocchiamo» tutti i giorni. Prendiamo l’indio. Serve per i display a schermo piatto di tv e smartphone, ma anche per le celle fotovoltaiche e per fare le saldature. Metà delle miniere sono in Cina. Fortunatamente è uno di quei minerali che riusciamo come Europa a soddisfare internamente. Arriva da Francia, Belgio, Regno Unito, Germania e anche Italia ( il 5% della richiesta Ue). Ma è una eccezione. Anche il cobalto, che serve per le batterie, le superleghe, i catalizzatori e i magneti, lo prendiamo per il 14% dalla Finlandia, ma il resto arriva dal maggior produttore mondiale, la Repubblica democratica del Congo. Il tungsteno fa vibrare i telefoni, il gallio è parte integrante della tecnologia a diodi elettroluminescenti (Led) presente nelle lampade, i semiconduttori hanno bisogno di silicio metallico e le celle a idrogeno e le celle elettrolitiche necessitano di metalli del gruppo del platino.
Il grado di dipendenza Ue
È piuttosto forte: l’antimonio lo acquistiamo da Turchia, Bolivia e Guatemala. Il carbone da coke, che è un altro dominio cinese (il 55% dell’offerta mondiale), lo prendiamo da Australia, Polonia e Usa. Non abbiamo nemmeno la gomma naturale, altra materia prima strategica: la produzione mondiale è controllata da Thailandia (33%), Indonesia (24%) e Vietnam (7%). Molte di queste materie prime non sono fondamentali solo per l’industria aerospaziale, automobilistica ed elettronica, ma anche per quella tessile: come l’antimonio, la bauxite, il cobalto, la stessa gomma naturale.
Gli Stati Uniti hanno, tra l’altro, miniere pari al 6% mondiale del tungsteno (leghe per aerei e missili), all’8% del silicio (microprocessori), al 24% del borato (vetro e magneti), all’88% del berillio (apparecchiature elettroniche, industria aerospaziale), al 10% della fosforite (concimi). Hanno anche il 2% della produzione mondiale delle terre rare leggere e pesanti. Non hanno tutto, ma controllando diversi mercati strategici hanno potere contrattuale.
Fonte: Corriere della Sera