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Geopolitica dell’ Artico: scenari e dispute

Il cambiamento climatico sta ridisegnando gli scenari geografici e geopolitici globali e questo fenomeno, sia presente che di lungo periodo, è ancor più evidente se si analizza il caso artico, una regione in cui i ghiacciai si stanno sciogliendo modificandone l’accesso, in concomitanza con la scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas naturale che stanno ingolosendo gli stati che si affacciano a questo spazio geografico.

Geopolitica dell’ Artico: scenari e dispute

La regione artica include territori che fanno parte del Canada, della Finlandia, della Groenlandia, dell’Islanda, della Norvegia, della Russia, della

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La regione artica include territori che fanno parte del Canada, della Finlandia, della Groenlandia, dell’Islanda, della Norvegia, della Russia, della Svezia, e degli Stati Uniti. È una terra decisamente estrema: in estate la temperatura può arrivare anche a 26 gradi, ma di inverno, per lunghi periodi, scende fino a -45. Vi sono presenti distese di rocce scavate dai venti gelidi, deserti polari, e fiumi.

I ghiacci della regione si stanno ritirando, e ciò ormai non è più una notizia, considerato che le foto satellitari raccontano questo fenomeno già da una decina di anni. Per la maggior parte degli scienziati non ci sono dubbi: la causa di questa metamorfosi è l’uomo, e le recenti scoperte di risorse finiranno per accelerare questo inesorabile processo. Diversi villaggi lungo le coste del Mare di Bering sono già stati trasferiti, ed altri sono in procinto di esserlo, poiché le coste vengono erose e i territori di caccia scompaiono. Nell’Artico è in corso un vero e proprio riposizionamento biologico che interessa anche la fauna della regione.

Lo scioglimento dei ghiacci non produrrà effetti soltanto dove avverrà, il problema riguarda anche paesi come le Maldive, il Bangladesh e i Paesi Bassi, che rischiano gravissimi allagamenti provocati dall’innalzamento dei mari e questo minimo esempio aiuta a comprendere perché l’Artico non è solo una questione dei paesi artici, ma va affrontata globalmente.

Uno degli aspetti più importanti e che impatteranno di più sulle contese future è, come anticipato, la scoperta di risorse come gas naturali e petrolio in grandi quantità in zone dell’Artico sempre più accessibili.

Nel 2008 la United States Geological Survey stimava a largo delle coste 47000 miliardi di metri cubi di gas naturale, 44 miliardi di barili di gas allo stato liquido, e 90 miliardi di barili di petrolio, ma le nuove rotte aperte dallo scioglimento dei ghiacci potrebbe rivelare altre sorprese, con la possibile scoperta di numerose riserve di oro, zinco, nichel e ferro, risorse già scovate, in minor parte, in alcuni tratti della regione.

Exxon Mobil, Shell e Rosnef sono solo alcuni dei giganti dell’energia che stanno iniziando a chiedere permessi per trivellazioni ed operazioni, e va tenuto a mente che dietro queste aziende ci sono gli interessi dei paesi di provenienza che, insieme ad altri, giocheranno da protagonisti la partita artica.

Tale scenario porta ad esibizioni muscolari gli otto paesi membri dell’Arctic Council, il forum regionale a cui sono ammessi gli “Arctic Five”: Canada, Russia, Stati Uniti, Norvegia e Danimarca (che fa le veci della Groenlandia), cinque paesi che si affacciano sul Mar Glaciale Artico a cui si aggiungono Islanda, Finlandia e Svezia. Dodici paesi che fanno da osservatori chiudono il cerchio del forum.

È interessante, tra tutti questi attori, analizzare soprattutto gli approcci di Norvegia, Russia e Stati Uniti, che paiono avere costruito una vera comprensione strategica del tema e che li avvantaggia rispetto ai vicini.

La Norvegia reclama con forza per sé la dorsale di Gakkel, che ritiene far parte della sua Zona Economica Esclusiva (ZEE), ma la Russia contesta questa posizione e avanza una pretesa importante sulle isole Svalbard, area più abitata della regione. Per quasi tutti i paesi e per le organizzazioni internazionali, queste isole si trovano sotto sovranità limitata norvegese ma presso l’isola più grande, Spitzbergen, sempre più numerosi sono gli immigrati russi che vanno a mescolarsi con la popolazione locale per lavorare nelle miniere di carbone. Queste miniere non sono estremamente redditizie, quindi i lavoratori russi servono a Mosca prima di ogni cosa come strumento demografico per poter avanzare pretese sulle Svalbard.

La Norvegia, stato membro della Nato, conosce bene il dossier artico e ne sta facendo la direttrice principale della sua politica estera. Il paese riesce a individuare con sempre maggiore efficienza, attraverso la sua aviazione, caccia russi in avvicinamento ai propri confini. Questo stato delle cose ha portato Oslo a spostare la propria il proprio dispositivo militare dal sud al nord del paese e da questo punto di vista anche il Canada e la Danimarca stanno rafforzando le loro capacità di combattimento in condizioni climatiche estreme, soprattutto in contrapposizione di quello che sembra essere il nemico numero uno: la Russia.

Anche la Russia sta costruendo il suo esercito artico, e oltre questo sono in costruzione sei nuove basi militari e sono in fase avanzata i lavori per la riapertura di diverse installazioni semi abbandonate dal periodo della guerra fredda (come quelle di Novosibirsk) e, per finire, Mosca sta ristrutturando varie piste di atterraggio. Indiscrezioni parlano della mobilitazione di una forza di almeno 6000 uomini presso la regione di Murmansk di qui ai prossimi anni che includerà due brigate di fanteria meccanizzata dotate di motoslitte e hovercraft.

La regione di Murmansk viene considerata “l’ingresso nord della Russia alle risorse energetiche” e recentemente il presidente russo Vladimir Putin ha sentenziato che “i giacimenti offshore, specialmente nell’Artico, sono senza alcuna esagerazione la nostra riserva strategica per il XXI secolo”.

Parole dal peso specifico importante, accompagnate da esercitazioni di combattimento in condizioni climatiche estreme altrettanto rilevanti e specializzate, che sottolineano con forza il ruolo che la Russia vuole assumere nella regione, intesa come un vero e proprio spazio vitale.

Nonostante il declino economico che ha causato tagli al budget alle più disparate agenzie governative, la spesa in difesa russa aumenta e di qui ai prossimi anni è lecito aspettarsi che la maggior parte delle nuove risorse possano esser investite nell’Artico.

La grande incognita artica sembrano essere gli Stati Uniti. Washington è data da molti analisti in ritardo, con solo due rompighiaccio da poter utilizzare per le proprie operazioni nella regione (ne avevano otto fino agli anni sessanta).

Addirittura anche la Cina appare più attiva degli americani nell’area, senza neppure essere uno stato artico ma che, da grande potenza, studia la partita e gioca comunque le sue carte nell’ambito di un grande progetto di “Via della Seta Polare”. Pechino ha già ottenuto la concessione di alcune miniere cruciali in Groenlandia, tra queste quella di Kvanefjeld, vicino a Narsaq (la più grande miniera di uranio a cielo aperto al mondo) e la miniera di zinco di Citronefjord, nell’estremo nord dell’isola.

Nel 2015 Barack Obama è stato il primo presidente in carica a recarsi in visita ufficiale in Alaska e, a margine di un evento sul cambiamento climatico, ha auspicato un’accelerazione degli Usa nella costruzione di nuove rompighiaccio. La dichiarazione è restata solo un auspicio, e anche con l’amministrazione Trump non si è segnalata una tattica ben strutturata sulla questione.

Sicuramente di impatto fu la suggestione del 45esimo presidente statunitense di comprare la Groenlandia dalla Danimarca nel 2019, ma più che una vera iniziativa, seppur avendo un significato tutt’altro che da “boutade” come fu raccontata dalla cronaca, la sortita di Trump pare esser stata più una offensiva narrativa nei confronti dei due rivali più importanti: Russia in primis, e Cina.

È in corso, intanto, anche una disputa con i canadesi sui diritti di sfruttamento di alcuni giacimenti petroliferi offshore e sull’accesso alle acque dell’arcipelago canadese.

Ottawa le considera una via d’acqua interna, mentre gli Usa lo reputano uno stretto per la navigazione internazionale, e quindi non soggetto al diritto canadese.

Il confronto con la Russia, che abbiamo visto essere un attore pronto anche allo scenario più negativo, è acceso soprattutto per lo stretto di Bering, il Mar Glaciale Artico e il Pacifico settentrionale. Nel 1990 fu sottoscritto un accordo di confine marittimo tra Usa e l’allora Unione Sovietica, che dopo il suo crollo il parlamento russo non vuole più ratificare. La zona viene consensualmente ritenuta sotto l’egida americana, ma i russi vogliono tenere aperta la partita.

La strategia americana sembra perciò di lungo periodo. Gli americani prendono tempo, considerando la questione artica un tema regionale e non globale e mostrandosi blandi, salvo piccole fughe in avanti, nei confronti dell’impegno di Mosca nell’area. In ogni caso i rivali geopolitici Usa si stanno adoperando, come visto, incrementando i propri budget per la ricerca, la costruzione di nuove infrastrutture, l’ammodernamento delle flotte militari e commerciali, il rafforzamento delle basi e degli aeroporti regionali.

Tra le altre dispute vi è quella tra Canada e Danimarca per l’isola di Hans, che separa la Groenlandia dall’isola di Ellesmere. La Groenlandia si autogoverna, ma resta sotto sovranità danese. Nel 1953 danesi e canadesi firmarono un accordo che lasciava l’isola in bilico e per questo, da allora, entrambi i paesi inviano frequentemente spedizioni e fanno ricerche. La sfida groenlandese è un pezzo fondamentale del puzzle artico, e nei prossimi anni potrà rivelarsi un’area decisiva per tutta la regione. La Danimarca ha infatti previsto un potenziamento del monitoraggio sia aereo che marittimo dell’area interessata, come descritto dal nuovo piano della Difesa nel quinquennio 2018-2023, che conferma l’importanza groenlandese per tutto lo scenario.

La Cina ha già un rapporto privilegiato con gli Inuit, la popolazione locale (56 mila anime in tutto), che da anni è in contrasto con il regno della Danimarca. Pechino era riuscita a ottenere dal governo locale anche l’approvazione per la costruzione di tre aeroporti, ma il progetto è stato bloccato poi dalla Danimarca sotto pressione degli Usa.

Tutte le contese territoriali nascono dalle stesse volontà e dagli stessi timori. La volontà di proteggere le rotte militari e commerciali e di   prendere possesso delle risorse della regione.

I timori, invece, che i propri nemici possano mettere le mani su queste ricchezze.

Più che il diritto internazionale, in ogni disputa osservata, sarà decisivo l’interesse strategico dei paesi e chi saprà perseguirlo meglio.

In questi casi il diritto può sicuramente aiutare ad orientarsi, ma va tenuto ben presente che le leggi sono dei surrogati della realtà geopolitica, che è più complessa e che certamente è difficile risolvere o soltanto comprendere attraverso le nobili armi del diritto.

Invero, allo stesso tempo, l’Arctic Council potrà essere il forum istituzionale in cui i paesi artici possono mettersi d’accordo e giungere a compromessi, e il fatto che ci sia un forum dove discutere potrebbe fungere da deterrente contro azioni più dure di qualche paese, come invece avvenuto in un’altra corsa alle risorse, quelle africane nell’800 e durante il “grande gioco” in Medio Oriente e in Asia Centrale.

La geografia dell’area sarà totalmente ridisegnata dallo scioglimento dei ghiacci e resta la preoccupazione di molti che gli appetiti delle potenze geopolitiche e dei loro colossi industriali possa portare ad una gestione della questione artica a tutto discapito delle popolazioni locali e dell’ecosistema. Due elementi che, verosimilmente, verranno messi da parte nelle strategie artiche o, al massimo, strumentalizzati per fini tattici e strategici, come visto coi russi nelle Svalbard e il buon rapporto tra Pechino e gli Inuit groenlandesi.

La turbolenza nella regione artica sottintende, però, anche la necessità dei paesi che vi si affacciano di riuscire a farsi qualche amico.

I paesi più capaci sanno che per avere successo in Artico su questioni complesse come la ricerca, la gestione delle crisi climatiche e il contrabbando devono cooperare con qualcuno.

Proprio l’ultimo argomento citato, il contrabbando, è un aspetto nuovissimo per la regione, ma che sarà quasi certamente realtà considerate le rotte commerciali che si apriranno. Su tutto ciò gli stati saranno costretti a parlarsi, e questo sarà un bene per tutti perché il dialogo contribuirà ad attutire le diversità strategiche e geografiche.

Ciò non deve farci credere che la bontà degli stati prevarrà sui loro interessi, ma che fin quando gli interessi saranno più tutelati dal compromesso e dalla concertazione gli attori in gioco proveranno a non collidere, anche se l’equilibrio è instabile.

Fonte: Geopolitica.info

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