Mentre i paesi di tutto il mondo si impegnano a raggiugere gli obiettivi net zero, l’idrogeno ha il potenziale di rivoluzionare l’industria energetica
Si stima che entro il 2050 l’idrogeno coprirà fino al 12% del consumo globale di energia, con una quota largamente prevalente di idrogeno verde (ottenuto impiegando fonti rinnovabili) e una minoritaria di idrogeno blu (gas reforming unito alla cattura e stoccaggio della CO2).
“L’idrogeno potrebbe rivelarsi l’anello mancante per un futuro energetico a prova di clima – commenta Francesco La Camera, direttore generale Irena –. Ma l’idrogeno non è un nuovo petrolio. E la transizione non consiste nella sostituzione di un carburante, bensì nel passaggio a un sistema nuovo con sconvolgimenti politici, tecnici, ambientali ed economici”.
Dal report emerge in primo luogo che l’idrogeno è parte di un quadro di transizione energetica molto più grande, e il suo sviluppo e le strategie di diffusione non dovrebbero essere considerati in modo isolato. Stabilire le giuste priorità per il suo utilizzo sarà essenziale per una sua rapida diffusione e per un contributo a lungo termine agli sforzi di decarbonizzazione. Irena stima che entro il 2050 oltre il 30% dell’idrogeno potrebbe essere oggetto di scambio internazionale, ovvero una quota maggiore a quella del gas naturale oggi.
“Con l’emergere di più attori e nuove classi di importatori ed esportatori netti sulla scena mondiale, è improbabile che il commercio dell’idrogeno diventi militarizzato e cartellizzato, contrariamente all’influenza geopolitica del petrolio e del gas”, dichiara l’Irena.
Il suo commercio internazionale è destinato a crescere considerevolmente, con oltre 30 Paesi e regioni che pianificano già oggi un commercio attivo. Alcuni Paesi che prevedono di diventare importatori stanno già mettendo in atto una diplomazia dedicata, come il Giappone e la Germania; al contempo gli esportatori di combustibili fossili considerano sempre più l’idrogeno pulito un modo attraente per diversificare le loro economie, per esempio l’Australia, l’Oman, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Tuttavia, l’Irena sottolinea che sono necessarie strategie di transizione economica più ampie, poiché l’idrogeno non compenserà le perdite delle entrate da petrolio e gas.
L’idrogeno verde porterà sul mercato partecipanti nuovi e diversi, diversificherà i percorsi e le forniture e sposterà il potere da pochi a molti. Con la cooperazione internazionale, il suo mercato potrebbe dimostrarsi più democratico e inclusivo, offrendo opportunità sia ai Paesi sviluppati sia a quelli in via di sviluppo”, continua La Camera.
Gli anni 2020 potrebbero diventare l’era di una grande corsa per la leadership tecnologica, dato che i costi probabilmente scenderanno bruscamente. Inoltre il suo commercio e i flussi di investimento, si legge nel report, genereranno nuovi modelli di interdipendenza e porteranno cambiamenti nelle relazioni bilaterali. I paesi con un’abbondanza di energia rinnovabile a basso costo potrebbero diventare produttori di idrogeno verde, con conseguenze geoeconomiche e geopolitiche commensurate.
La cooperazione internazionale sarà necessaria per creare un mercato trasparente con standard e norme coerenti che contribuiscano agli sforzi per il cambiamento climatico in modo significativo.
Fonte: Wall Street Italia