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Entro il 2050 216 milioni di persone dovranno migrare a causa dell’ emergenza climatica

Gli effetti del riscaldamento globale saranno sempre più responsabili delle migrazioni. Esiste uno status di rifugiato climatico ma spesso non viene rispettato

Entro il 2050 216 milioni di persone dovranno migrare a causa dell’ emergenza climatica

Almeno 216 milioni di persone nel mondo saranno costretti a lasciare tutto quello che hanno e migrare a causa del cambiamento climatico entro il 2050.

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Almeno 216 milioni di persone nel mondo saranno costretti a lasciare tutto quello che hanno e migrare a causa del cambiamento climatico entro il 2050. Sono i numeri, drammatici, evidenziati dall’ultimo Rapporto Growndshell della Banca Mondiale, che ricorda come l’impatto sui mezzi di sussistenza delle persone e la perdita di vivibilità di luoghi altamente esposti a eventi climatici estremi spingeranno un numero importante di cittadini, in tutto il mondo, a spostamenti interni o transnazionali. Entro il 2050, si legge, l’Africa subsahariana potrebbe contare fino a 86 milioni di migranti climatici interni 19 milioni il Nord Africa. In Asia orientale e Pacifico si stimano 49 milioni, 40 milioni per le aree asiatiche meridionali. Per l’America Latina si prevedono 17 milioni e tra Europa orientale e Asia centrale 5 milioni.

Pre-Cop26 e migrazione

Numeri dietro i quali si nascondono i volti di chi rischia di perdere la propria abitazione, i propri beni, il lavoro. Ma anche il futuro dei propri figli, una vita dignitosa, i diritti più basilari. Nella disperazione, la spinta alla migrazione climatica, scrive l’International institute for environment and development nel suo ultimo report Anti-Slavery International, rende i migranti climatici particolarmente vulnerabili alla tratta di esseri umani e alla schiavitù moderna, compreso il lavoro forzato. Si tratta di uno dei primi studi a tracciare in modo netto, e critico, un legame tra migrazione indotta dal clima e le moderne forme di schiavitù, proprio in vista dell’imminente vertice delle Nazioni Unite sul clima, Cop26, e l’incontro preparatorio Pre-Cop26.

Bisogna poi ricordare che diversi tipi di cambiamenti ambientali (improvvisi, come un tifone, o graduali, come la desertificazione) producono risposte diverse da parte delle comunità, che vanno da uno spostamento forzato, di sopravvivenza, a una lenta erosione della qualità della vita e a spostamenti graduali, soprattutto dei più giovani. E proprio loro, oltre a essere i primi destinatari delle politiche volte alla protezione, sono oggi considerati attori decisivi per una azione concreta di contrasto.

Neeshad Shafi, ambientalista e co-fondatore Arab Youth Climate Movement

Giovani e clima

A causa delle alte temperature preesistenti, la regione del Medio Oriente arabo è particolarmente sensibile agli esiti dei cambiamenti climatici. Una delle aree chiave dei rischi del cambiamento climatico è l’aumento generale delle temperature, dell’acqua e della migrazione”, spiega Neeshad Shafi, ambientalista e co-fondatore dell’Arab Youth Climate Movement (con sede in Qatar), considerato oggi una delle voci emergenti tra i movimenti giovanili che si battono per il clima.

Lo scorso 22 giugno la città kuwaitiana di Nuwaiseeb ha registrato la temperatura più alta del mondo, quest’anno, ovvero 53,2° C. Bisogna poi considerare che il Medio Oriente è la regione più colpita al mondo in fatto di scarsità d’acqua, il 70% dei Paesi colpiti da stress idrico si trova nella regione Mena (Middle East and North Africa, ndr)”, dice Shafi. Questo quadro comporta notevoli rischi di instabilità politica, economica e sociale in aree spesso già colpite da conflitti. L’attivista ricorda che “nel 2017, i disastri nella regione hanno portato a 11,4 milioni di sfollati interni, principalmente in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Nord Africa. Inoltre, sebbene queste popolazioni siano spesso considerate “rifugiati climatici”, questo termine non è riconosciuto dal diritto internazionale e quindi non ricevono le stesse protezioni dei rifugiati in fuga da conflitti o persecuzioni”.

Il ruolo della Croce rossa

Su questo fronte è attiva anche la Croce rossa italiana. La missione della Croce Rossa è quella di alleviare le sofferenze umane a 360 gradi, ci occupiamo dei bisogni che evolvono e purtroppo oggi bisogna agire non solo su scenari di conflitto, ma anche fare fronte a emergenze come migrazioni e cambiamenti climatici”, spiega il vicepresidente e referente giovani, Matteo Camporeale. Di migrazioni climatiche, sottolinea, non si parla ancora a sufficienza. Tanto che, in vista della Pre-Cop26, ha organizzato nei giorni scorsi un appuntamento sul tema per i ragazzi delle superiori. “Ci rivolgiamo ai giovani perché come associazione crediamo molto nel volontariato e nella cittadinanza attiva. Inoltre questi momenti hanno una valenza educativa e formativa ed è fondamentale sviluppare la comprensione del fenomeno sin da piccoli”, precisa Camporeale.

Tra gli esperti è intervenuta anche Francesca Basile, responsabile dell’Unità operativa migrazioni della Cri, che stima: “Dall’inizio della pandemia, i disastri legati al clima hanno colpito almeno 139 milioni di persone, e tra di loro ci sono anche molti migranti climatici: questo dice uno studio portato avanti dalla Federazione internazionale delle Società di Croce rossa e Mezzaluna rossa”. Tra le emergenze ci sono il Sahel (colpito da inondazione, siccità e invasioni di cavallette) e il Bangladesh, che sorge in un’area fluviale e densamente popolata, storicamente colpita da tempeste tropicali, inondazioni e altri disastri naturali.

Aumentano le crisi, si aggrava lo stato dei migranti climatici. “Nel diritto internazionale questa categoria è risultata a lungo inesistente, ma davanti all’evidenza scientifica è come se stessimo assistendo a un processo di adattamento del diritto, che dovrà condizionare anche l’assistenza da garantire a chi fugge da una vita che non può più garantire la sopravvivenza – spiega Basile -. Anche i decreti sicurezza approvati a dicembre scorso prevedono per questa categoria lo stesso trattamento riservato a chi fugge da guerre o carestie, dando quindi diritto a una protezione umanitaria non solo rispetto al singolo evento, ma anche all’impossibilità tornare nel proprio Paese”.

Oltre che sull’accoglienza, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa lavorano sulla prevenzione, con le comunità in loco. Per esempio, in Bangladesh sono stati creati sistemi di allarme rapido che, attraverso altoparlanti, mettono in guardia sul rischio inondazioni nelle aree a rischio.

Fonte : Wired.it

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