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Regolare le terapie digitali è un rompicapo

Oggi sono classificate come dispositivi medici, ma all'atto pratico questo risulta inadeguato, così come lo sarebbe equipararle ai farmaci tradizionali. Ma creare una definizione legale ad hoc non è semplice

Regolare le terapie digitali è un rompicapo

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Fonte: Wired.it

A poche settimane da quando il tema delle terapie digitali ha (finalmente) fatto il suo effettivo ingresso in Parlamento, la discussione collettiva su queste innovative soluzioni di salute continua ad arricchirsi di idee, spunti e proposte. Al di là degli aspetti tecnico-scientifici, una delle sfide più importanti che devono essere affrontate consiste nel trovare una configurazione normativa adatta per terapie in cui – lo ricordiamo – in sostanza il principio attivo è un algoritmo. Con una fondamentale domanda ancora aperta: ha più senso inserire queste terapie (in inglese sono le digital therapeutics, Dtx) all’interno del quadro regolatorio esistente, classificandole nella più adatta tra le categorie già previste, o si tratta di qualcosa di così diverso e disrutpive da rendere necessaria la creazione di una normativa dedicata che ne sappia cogliere le peculiarità?

Le terapie digitali a livello europeo sono classificate come dispositivi medici fin da quando, nel 2017, il Regolamento numero 745 ha rivisto la disciplina, introducendo per la prima volta anche le Dtx. Considerarle dei dispositivi significa – per esempio – che non esiste alcun processo di valutazione sull’efficacia di queste terapie, a differenza d quanto ovviamente avviene per i farmaci che sono sotto il controllo dell’Ema. In Italia per registrare una nuova terapia digitale sarebbe sufficiente notificarla all’Istituto superiore di sanità.

“Assimilare le terapie digitali agli altri dispositivi medici è ritenuto inadeguato ormai da moltissimi addetti ai lavori. E questo anche per una ragione concettuale: mentre i dispositivi, come può essere per esempio una protesi, sono qualcosa di statico, le Dtx sono per propria natura dinamiche. Qui non parliamo di dispositivi indossabili come gli smartwatch, ma di software che consentono di orientare il comportamento dei pazienti per ottenere dei benefici clinici. Quindi credo servirebbe una valutazione quantomeno di efficacia, perché la terapia digitale è indubbiamente più vicina a un farmaco che a un dispositivo medico, dato che contiene un principio attivo che è appunto il software. Oltre all’interazione con il paziente, c’è un tema di aderenza terapeutica, poi spesso la Dtx è associata a una terapia farmacologica o a una psicologica, somministrata con l’ausilio di un operatore sanitario. Considerare una terapia digitale alla stregua di un dispositivo medico è come confondere un televisore con una trasmissione televisiva”.

Ma quali alternative abbiamo per inquadrare le terapie digitali, se non come dispositivo medico?
“Il mio auspicio è che si possa creare un genus terzo rispetto ai dispositivi medici e ai farmaci, un genere giuridico ad hoc per le terapie digitali. Così come la Dtx non è un dispositivo medico, non è nemmeno equiparabile a un farmaco, perché ha un tempo di sviluppo molto più rapido ed è anche soggetta a un’obsolescenza molto più veloce. Se per un farmaco è plausibile l’attendere anche più di due anni affinché vengano svolte valutazioni compiute, per una terapia digitale significherebbe farla arrivare sul mercato già vecchia. Di fatto è proprio per questo motivo, per una questione di rapidità procedurale, che si è scelto di assimilare inizialmente le Dtx ai dispositivi medici anziché ai farmaci. A mio parere ci troviamo invece in una via di mezzo, per la quale si potrebbe individuare una disciplina specifica che velocizzi l’arrivo sul mercato rispetto ai farmaci ma che non abbia le limitazioni proprie dei dispositivi medici.

“In Germania, che è l’unico stato che già si è dotato di una disciplina specifica sulle terapie digitali, l’agenzia che valuta l’immissione sul mercato è quella del farmaco. Oltre alla commercializzazione, poi, c’è il grande tema della rimborsabilità: una possibilità sarebbe di introdurre un modello innovativo basato sui dati dal mondo reale, una sorta di adaptive pricing come lo chiamano negli Stati Uniti, ossia con un prezzo minimo garantito e un valore che sale in base al risultato effettivo ottenuto”.

Dunque a che livello dovremmo affrontare la questione? Italiano o europeo?

“A mio parere serve un approccio organico per tutta l’Unione europea, magari attraverso l’adozione di un nuovo Regolamento o una direttiva che possa essere di riferimento per le terapie digitali, andando l’inquadramento del 2017 già citato. Credo che i tempi siano maturi per adottare una nuova disciplina che tenga conto delle specificità delle terapie digitali, snellendo la burocrazia e creando dei meccanismi di valutazione comparativa delle soluzioni disponibili, sia tra le varie terapie digitali sia tra i diversi approcci possibili per affrontare una condizione clinica, ossia mettendo a confronto farmaciapproccio psicologicoterapie digitali eccetera”.

 

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