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Uno spazio che migliora il rapporto uomo-computer: benvenuti nel Web 5.0

Una tecnologia ancora agli albori: non è un futuro distopico, è un futuro e basta

Uno spazio che migliora il rapporto uomo-computer: benvenuti nel Web 5.0

Definita anche “Web simbiotico”, la versione 5.0 della Rete è aperta, connessa e intelligente. Il Web a venire sarà uno spazio che metterà l’accento s

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Definita anche “Web simbiotico”, la versione 5.0 della Rete è aperta, connessa e intelligente. Il Web a venire sarà uno spazio che metterà l’accento sulle interazioni tra uomini e macchine, includendo emozioni e sensorialità. Un’immagine ancora sfocata che merita di essere esaminata in profondità.

I dispositivi intelligenti, cui si può essere indotti a pensare quando si parla di migliori interazioni tra uomini e macchine, sono preambolo allo spirito del Web 5.0. È vero che parte dei dispositivi di cui siamo dotati o di cui abbiamo dotato le nostre abitazioni o i luoghi in cui lavoriamo, sono in grado di comprendere le nostre abitudini e (in alcuni casi) addirittura predirle. Basti pensare ai termostati intelligenti che, basandosi sullo storico di dati raccolti, sono in grado (seppure con qualche limite) di adeguare i livelli di calore a noi graditi a seconda della stagione o delle condizioni meteorologiche. Si tratta, di fatto, di una predizione basata sul passato.

Che cos’è il Web 5.0

Il Web 5.0 si spinge oltre, arrivando a esaminare i dati a un livello più complesso, un insieme di strati di informazioni che comprendono anche le caratteristiche emotive e di percezione sensoriale dell’uomo. Le interfacce hardware che consentono questa interazione tra uomo e macchina sono diverse. Su tutte spiccano le tecnologie a risposta galvanica della pelle (in sigla, GSR), che fanno leva su sensori biometrici per misurare i nostri livelli di stress e da qui le nostre emozioni, basandosi sulla nostra respirazione, la frequenza cardiaca, il sudore e la risposta cutanea (odori della pelle inclusi). A questi parametri si aggiungono le nostre espressioni facciali, anche quelle piccole, che coincidono con gli stati d’animo che attraversiamo.

Può sembrare fantascienza, ma parte di tutto questo è già disponibile e ne facciamo uso mediante i dispositivi indossabili. Siamo però davanti a una situazione di grande significato cui sfuggono, in parte almeno, le significanti: serve che la società (a partire dalla famiglia e dalla scuola) promuova l’educazione e le competenze emotive intrapersonali e interpersonali.

Inoltre, non va sottovalutata l’immancabile portata etica di questa svolta: i sensori possono essere invasivi e la loro sovrabbondanza può alterare e manipolare la naturalezza dell’ambiente in cui ci troviamo, e ciò potrebbe avvenire anche senza il nostro consenso.

 

 

Non è metaverso né realtà virtuale

Il Web 5.0 non punta, al contrario dei metaversi, su un’esperienza utente totalmente immersiva. Per definizione, non è neanche il Web 3.0, costituito tra le altre cose da visori e sensori che permettono a una interfaccia mediata (virtuale) di sovrapporsi alla realtà. Eppure, è costituito da sensori che indosseremo e che ci permetteranno di interagire con servizi (per il momento) inimmaginabili. Il nostro stato d’animo potrà, se lo desidereremo, metterci in contatto con uno psicologo (reale o virtuale che sia), mentre una particolare condizione della nostra cute potrà indirizzarci verso un medico specializzato.

Emotiv, che ha sede a San Francisco, è impegnata nel percepire le attività neurologiche mediante tecniche di elettroencefalogramma non invasive che leggono gli stati fisiologici e neurologici di chi vi si sottopone. Uno degli scopi delle ricerche effettuate rispecchia le anticipazioni del Web 5.0, ossia creare un’esperienza utente ricca, affidabile, tagliata su misura ed emotivamente significativa.

Questo imporrà una completa revisione del Web: i merchant online dovranno sviluppare nuovi metodi di interazione con i clienti, sempre più in tempo reale e mediante diversi mezzi di comunicazione, il gaming andrà reingegnerizzato (così come sta accadendo per i giochi in realtà aumentata) e persino (o soprattutto) la pubblicità conoscerà una nuova era, sia per la capacità di raggiungere un pubblico sempre più mirato sia per la capacità di muovere le giuste corde emotive di ogni possibile cliente.

Gli studi e le aspettative

Si possono davvero tracciare correlazioni scientifiche (quindi riproducibili e verificabili) tra emozioni e gli strumenti per rilevarle? La scienza non è concorde: a fronte di diversi studi possibilisti, ce ne sono molti altri densi di scetticismo. In uno studio condotto all’Università Claude Bernard Lyon 1 (in Francia), incentrato sugli odori della pelle legati alle emozioni ed eseguito esclusivamente tra esseri umani, il disgusto è stato confuso con la rabbia. Le emozioni negative sono state associate con maggiore precisione agli odori sottoposti al naso dei volontari. Se l’uomo fa fatica a interpretare i messaggi non verbali, il percorso di addestramento delle macchine diventa più tortuoso.

Per i test vengono usate le 6 emozioni descritte dallo psicologo statunitense Paul Ekman, che però ha svolto i suoi studi sul rapporto tra queste e le espressioni facciali cercando di individuare paura, rabbia, disgusto, felicità, sorpresa e tristezza. Emozioni che oggi sono uno standard per la ricerca delle correlazioni tra ciò che viso e pelle possono rivelare di noi.

Insorge un altro problema, almeno secondo una ricerca del dipartimento di Psicologia dell’Università della California, secondo cui le espressioni facciali associate alle 6 emozioni possono trarre in inganno (oltre ad avere un impatto sulle emozioni stesse, ma questo è un capitolo a parte). Pare quindi che le espressioni facciali che rispecchiano le emozioni possano essere simulate, mentre le microespressioni, quelle quasi impercettibili all’occhio umano perché repentine e brevi, sarebbero garanzia di autenticità. Istruire le IA a coglierle non è semplice, perché studi scientifici non hanno individuato con certezza che vengano lette nello stesso modo in ogni cultura. Non si è in grado di dire con sicurezza, per esempio, se la stessa espressione mostrata da individui di diversi gruppi sociali viene codificata dalle medesime attività neurali. Un problema che necessita di una soluzione tanto complessa quanto importante.

Prima di vedere tentativi attendibili di Web 5.0, questi e altri problemi andranno risolti in modo affidabile.

Le conclusioni

Il Web 2.0, quello delle interazioni sociali e dei video in streaming, è un’evoluzione del predecessore basato sull’esperienza testuale. Il Web 3.0, noto anche con il nome di “Web semantico”, è quello della decentralizzazione e della combinazione tra intelligenza umana e artificiale per facilitare l’accesso alle informazioni, peraltro sempre più approfondite e mirate. Sulle definizioni del Web 3.0 c’è ancora parziale disaccordo, ciò che unisce le opinioni è che tende a trasformare il Web in un database che sia accessibile da applicazioni eseguibili al di fuori di un browser, come per esempio i visori per la realtà aumentata.

Poi c’è (meglio: ci sarà) il Web 4.0, evoluzione basata sulla comunicazione wireless, quindi dispositivi mobili e fissi che permettono connettività mobile. I passaggi da una versione del Web a un’altra non hanno richiesto aggiornamenti delle specifiche tecniche e dei protocolli della Rete, hanno necessitato dello sviluppo di software appannaggio degli utenti finali.

Del Web 5.0, in definitiva, si parla poco perché si sa poco. Come dimostra il fatto che, almeno per il momento, è difficile trovare un esperto con cui approfondire l’argomento.

Fonte: Repubblica.it

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