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Metaverso di Hilbert

Metaverso di Hilbert

Il Novecento è senz’altro marchiato da un conflitto mondiale che esplica tutta la sua potenza in due fasi appartenenti entrambe alla prima metà del se

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Il Novecento è senz’altro marchiato da un conflitto mondiale che esplica tutta la sua potenza in due fasi appartenenti entrambe alla prima metà del secolo. E tuttavia, direi che la prima metà del secolo potrebbe anche essere vista, in continuità con il secolo attuale, attraverso una lente diversa; e conseguentemente caratterizzata da una fondamentale ascesa dei processi matematici, che altro non sono che processi logici, della logica. La logica razionalistica, e in particolare quella aristotelica, nasce come disciplina della matematica fondata su assiomi e postulati (cfr. G. Lolli, Da Euclide a Godel; S. Dalley, Il retaggio della Mesopotamia).

Il “programma di Hilbert” – costituente, come presupponiamo, una forma di Metaverso sia antelitteram che postlitteram -, contrariamente alla teoria di Peano Frege e Russell, era ed è fondato sull’assunto che la scienza matematica possa prescindere dall’oggettività o concretezza degli enti, e cioè che sia possibile costruire un sistema matematico, completo, prescindendo dalla realtà materiale degli oggetti. I sacerdoti e i filosofi nel corso dei millenni trascorsi non hanno fatto altro, tra metafisica e fisica.

Quanto alla fisica, una prima crepa nel ragionamento – prodotto e sviluppato almeno a partire dal 500 e.a. (G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico) – fu introdotta da Newton, con l’adozione del principio gravitazionale, che egli stesso aveva accettato ma senza cercarne una spiegazione, ritenendo che nessuna persona dotata di capacità di comprensione razionale possa accettare che una cosa agisca là dove non è (G. de Santillana, Il mulino di Amleto). Newton si sbagliava.

Ma, sulla scia della teoria di Hilbert, nel 1931, il matematico austriaco Kurt Godel smentisce in qualche modo il programma di Hilbert, dimostrando l’incompletezza di un sistema quale quello matematico; e tuttavia non precludendo la possibilità che un sistema matematico come quello hilbertiano funzioni e cioè serva a costruire un sistema di relazioni tra enti, diciamo pure non oggettivi o non materiali, che tuttavia funziona. Non importa affatto che il sistema possa dirsi o sia per se stesso “completo”. Non serve capirne il perché, ma il come funzioni, così che è necessario e sufficiente che funzioni. Ciò che accade anche nello spazio della fisica quantistica, ma che, a pensare correttamente, accade anche nello spazio della fisica classica e cioè lo stesso spazio che, con stupida ostinazione, definiamo lo spazio “reale” dell’essere che: è.

Nel corso del Novecento, la fisica di Einstein e la fisica di Heisenberg hanno dato in qualche modo concretezza a questa diversa teoria. Sulla base di semplici costruzioni matematiche, è stato possibile cambiare la realtà concreta della nostra vita quotidiana: l’elettricità e le telecomunicazioni sono senz’altro due esempi lampanti e visibili agli occhi di tutti. E tuttavia, verso fine secolo la scienza dell’informazione ha iniziato a proiettarci verso un nuovo altro mondo possibile, quello dell’intelligenza artificiale (i cui prodromi si fanno risalire comunemente a Turing e alle sue macchine).

Quando Aristotele fornì alla logica lo strumento del sillogismo non pensò affatto di sovvertire l’ordine, la chiave del discorso, né del tempo di Anassimandro né dello spaziotempo di Parmenide (cfr. G. de Santillana, Fato antico e fato moderno). Aristotele pensò soltanto all’introduzione di uno strumento che consentisse l’ottenimento di un risultato, nel qual caso non voleva significare il modo di stabilire se una proposizione potesse dirsi realmente (?) vera o falsa, bensì condividere un assioma o postulato e così porre un primo mattone, e poi, allo stesso modo, tutti gli altri, per la costruzione di una nuova fisicità, un nuovo spazio fisico, in pratica la vita di ogni individuo all’interno della polis (nell’attualità, all’interno delle nostre città, la logica sembra tante volte venir meno, ma non c’è dubbio che lo strumento delle leggi svolga ancora una funzione necessaria e ottimale).

Nel suo Vita activa, Hannah Arendt conclude affermando chela capacità di agire, almeno nel senso della liberazione di processi, è ancora con noi, sebbene sia diventata la prerogativa esclusiva degli scienziati, che hanno allargato il dominio della presenza umana al punto di estinguere l’antica barriera protettiva tra la natura e il mondo umano”. Era il 1958.

Possiamo ancora dire che la capacità di agire, almeno nel senso della liberazione di processi, sia ancora con noi e che non sia diventata la prerogativa esclusiva degli scienziati?

Ancora, nel 1961, appena tre anni dopo, lo storico della scienza Giorgio de Santillana conclude il suo monumentale e celeberrimo saggio, Il mulino di Amleto, scritto insieme a Hertha von Dechend, con parole di commento che appaiono quasi un commiato. E comunque parole che oggi definiremmo profetiche, ma in realtà appartengono a tutti coloro che hanno una visione oracolare e il cui tempo non è mai tramontato. Almeno finora. Parlando di dinosauri elettronici, de Santillana conclude dicendo: Le nuove sintesi, se ancora ve ne sono di possibili, si trovano oltre l’orizzonte.

Ne siamo proprio sicuri?

Credo che neanche de Santillana lo fosse. L’orizzonte è semplicemente ciò che orienta il cammino del viandante, la via che tutti, in qualche modo, dobbiamo necessariamente compiere; e cioè la fine o il fine (r) che corona l’inizio (a). Nella più antica lingua indoeuropea, il sanscrito, la consonante r corrispondeva alla vocale ṛ nella sua forma verbale e significava “muovere verso”, “andare, venire incontro, “giungere”, “raggiungere” (…) Nelle forme ar, ār, ra, rā, il senso di “raggiungere” riguardava anche oggetti concreti e indicava l’acquisizione del possesso dei beni che erano stati “raggiunti” in quanto meritevoli di essere presi o di essere dati (F. Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee). Per i latini, fiat coronat opus. Frase con cui Silvio Ceccato (1914-1997) caratterizza, al tramonto, il suo intero percorso di vita e di studio nel campo dell’allora sedicente cibernetica.

E dunque, in ogni caso, una via. Nel corso della quale il bene e il male si confondono reciprocamente: Ra’ è simbolo di luce e prosperità in Egitto ma nella storia di Israele, anche se attestato raramente, significa “cattivo” (cfr. Moshe Idel, Il male primordiale nella Qabbalah). L’albero della vita è infatti un albero che dispensa frutti sia di vita che di morte, lungo anche il sentiero – che diciamo heideggeriano – che conduce alla meta finale. Nient’altro che un orizzonte di senso (verso) e quindi significato, che è posto aldilà, oltre (meta) l’inizio fissato o piuttosto conosciuto. Un nuovo metaverso, che presuppone un’antichissima scrittura (littera), che de Santillana dice “finora sconosciuta (ndr: forse ai Moderni, ma non agli Antichi), che è metamatematica” (cfr. G. de Santillana, Fato antico e fato moderno).

Lungo l’iter tracciato da Parmenide, è possibile individuare questa struttura e cercare di comprenderla meglio anche soprattutto quello che è forse il più noto paradosso della filosofia: il paradosso di Achille e la tartaruga.

Nello spazio fisico, che abitualmente ancora frequentiamo, siamo certi, ma solo in base alle leggi della fisica classica, che Achille raggiunga prima o poi la tartaruga. Ma, mediante le leggi dello spazio matematico, che tende all’infinito, questo risultato non è affatto garantito. Anzi, il contrario, e quindi Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Va detto che lo stesso Russell, Bertrand Russell, non riuscì a risolvere questo paradosso. A differenza dei matematici che, dopo di lui, hanno scoperto i numeri immaginari, di cui la scienza applicativa si serve oggi nell’ambito della definizione e regolazione dello spazio della fisica quantistica.

Nel presente, questo spazio classico e quantistico che sia, include una variante “virtuale”, un nuovo orizzonte di senso, un nuovo metaverso, in ordine al quale ritorna ancora preponderante un interrogativo: possiamo ancora dire che la capacità di agire, almeno nel senso della liberazione di processi, sia ancora con noi e che non sia diventata la prerogativa esclusiva degli scienziati?

Fonte: Nuovogiornalenazionale.it

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