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Witold Pileki: l’ uomo che volle entrare ad Auschwitz

L'ufficiale polacco denunciò al mondo gli orrori del campo di concentramento di Auschwitz, ma non venne creduto. Oggi è un eroe nazionale.

Witold Pileki: l’ uomo che volle entrare ad Auschwitz

In occasione del Giorno della Memoria - il 27 gennaio 1945 le truppe dell'Armata Rossa entrarono ad Auschwitz - commemoriamo le vittime dell'Oloca

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In occasione del Giorno della Memoria – il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz – commemoriamo le vittime dell’Olocausto con una storia poco conosciuta, quella dell’ufficiale polacco Witold Pilecki, che si fece arrestare e mandare volontariamente ad Auschwitz per denunciare al mondo gli orrori del campo. Ma non fu creduto.

TOP SECRET. Un rapporto di cento pagine, fittamente dattiloscritte a interlinea singola. A redigerlo, in una Roma liberata solo da un anno dall’incubo del nazifascismo, l’ufficiale polacco Witold Pilecki (1901-1948). Cento pagine che svelavano in ogni dettaglio gli orrori del campo di sterminio di Auschwitz. In quel lager Pilecki aveva trascorso oltre due anni e ogni dettaglio era un bruciante ricordo in prima persona da lasciare ai posteri. Dagli Stati Uniti gli avevano chiesto di pubblicarlo, ma lui si era rifiutato. Non se la sentiva di lucrare sulla morte di oltre un milione e mezzo di persone. Tutti dovevano sapere, ma il rapporto era diretto ai suoi superiori. Quello che Witold non sapeva, è che sarebbe rimasto secretato per decenni.

Consegnato il rapporto, Witold tornò in patria. Durante la guerra aveva combattuto i tedeschi. Adesso era pronto a combattere i sovietici. Il suo comandante, il generale Władisław Anders, punto di riferimento dei polacchi che volevano una Polonia filo-occidentale e che per questo avevano combattuto in Italia sotto le insegne britanniche, lo aveva sconsigliato. Il Paese stava diventando un satellite dell’Urss, la polizia politica filosovietica era sulle sue tracce. Nel mirino c’erano Witold e gli altri patrioti come lui, che avevano combattuto contro l’occupazione nazista.

SOTTO TORTURA. Eroico ulano della cavalleria polacca, cattolico fervente, aveva come motto personale Bóg, Honor, Ojczyzna: Dio, onore e patria. Non si sarebbe mai piegato al nuovo regime comunista che guardava a Mosca. A Varsavia, Witold fingeva di gestire un negozio di profumi, la stessa copertura adottata nel 1940, durante l’occupazione nazista. Dipingere le etichette dei flaconi lo faceva tornare alla giovinezza, quando sognava di diventare un insegnante d’arte. Intanto, aveva ripreso la sua attività sotterranea. Durò poco: l’8 maggio del 1947 venne individuato dagli scagnozzi del regime filo-sovietico. Fu arrestato e sottoposto a tortura. Quello che pativa, raccontò a un famigliare che era riuscito a fargli visita, gli faceva sembrare l’esperienza di Auschwitz un gioco da ragazzi. Perché gli aguzzini adesso erano i suoi compatrioti.

Smistamento dei prigionieri nella stazione ferroviaria di Auschwitz-Birkenau in Polonia

POLONIA CONTESA. Ma facciamo un salto indietro, al 1939, quando l’attacco alla Polonia fece entrare il mondo in guerra. Hitler l’aveva invasa da ovest, Stalin da est. Si erano accordati facilmente su come spartirsela, collaborando per annientare ogni dissenso. La Polonia come Stato non esisteva più, e il suo governo legittimo era in esilio a Londra. Dal XVIII secolo il Paese era ostaggio dei suoi potenti vicini e Witold Pilecki conosceva bene questa storia.

Era nato nel 1901 in Carelia, che a quei tempi faceva parte dell’Impero zarista, aveva combattuto contro i bolscevichi nel 1919 e contro i tedeschi nel vano tentativo di frenare la loro invasione. Adesso era uno dei più importanti animatori della Resistenza, l’Esercito Segreto Polacco (Tajna Armia Polska), che al suo culmine avrebbe contato tra 8 e 12 mila membri sparsi in tutta la Polonia occupata. Alla Resistenza era giunta voce che i nazisti stavano allestendo un campo a Oswiecim, una oscura cittadina della Polonia Meridionale, destinato a ospitare principalmente prigionieri di guerra polacchi. Era necessario saperne di più, e nel caso, organizzare al suo interno una rete di mutuo soccorso e di resistenza.

NEL LAGER. Nessuno era al corrente che i nazisti progettavano un immane genocidio, e che quel luogo era destinato a diventarne la centrale operativa, con il nome tedesco di Auschwitz. Bisognava mandare un uomo all’interno di quel campo, e Witold si offrì volontario. Il 19 settembre del 1940 finì per scelta in una retata della Gestapo a Varsavia. Venne immediatamente internato sotto il falso nome di Tomasz Serafinski, detenuto numero 4.859.

Da quel momento Witold divenne testimone della quotidianità di Auschwitz: masse di uomini, donne e bambini avviati a fine immediata, o a morire in seguito a denutrizione, malattie e privazioni dopo essere stati trasformati in schiavi. I loro beni razziati. La costruzione di camere a gas, destinate a risolvere il problema di quelle Ss che non ce la facevano più a finire i prigionieri con un colpo di mitra alla nuca, e dei forni crematori per far sparire i cadaveri.

ORGANIZZAZIONE CLANDESTINA. La “soluzione finale”, lo sterminio dell’intera popolazione ebraica d’Europa, era uno dei segreti meglio conservati del Reich. Ma Witold ebbe modo di osservare in tempo reale l’inizio del genocidio, e fu il primo, grazie al canale con l’esterno che aveva creato, a metterne a conoscenza gli Alleati. Nonostante lo choc, le privazioni e le percosse quando non era veloce nel duro lavoro assegnato, Witold si era dato subito da fare e aveva reclutato i primi membri della sua organizzazione clandestina. Una rete rigidamente compartimentata che in breve aveva sostituito con suoi membri fidati i crudeli kapò scelti dai nazisti.

Grazie alla rete, per quanto possibile le condizioni del campo erano migliorate. I prigionieri erano anche in grado di infliggere qualche danno ai loro carnefici, eliminando kapò sadici e delatori o allevando pidocchi per trasmettere il tifo alle Ss, senza che nessuno riuscisse a scoprirli. Nel tempo, Witold maturò un obiettivo ancora più ambizioso: prendere possesso del campo. Pensava che una rivolta avrebbe avuto ottime chance di successo, con un po’ di aiuto dall’esterno. Da fuori, però, non venne mai alcun incoraggiamento.

Le recinzioni intorno al campo di concentramento di Auschwitz.

A quel punto Witold capì che sarebbe stato più utile fuori da Auschwitz piuttosto che al suo interno: “Sono qui da due anni e sette mesi”, confidò a un membro della rete: “è ora che me ne vada”. Di lì a qualche giorno evase dal lager, nottetempo, con la stessa facilità con cui vi era entrato. Non gli servì molto, a parte una mistura a base di tabacco per distrarre i cani da segugio e una fiala di cianuro in caso di fallimento. Passò dalla panetteria del lager, un edificio esterno alla cinta sorvegliata.

L’EVASIONE. Al quartier generale della Resistenza, però, lo attendeva una amara delusione. I suoi primi rapporti dall’inferno erano finiti in uno schedario a prendere polvere. Non era previsto alcun piano per fermare l’orrore di Auschwitz. I polacchi non avevano forze sufficienti, mentre per gli Alleati, increduli degli orrori documentati da Witold, non era una priorità liberare uno dei tanti campi di prigionia da cui l’Europa era punteggiata. Per lui, però, era pronta una decorazione al valore militare. Witold riprese le armi, partecipò persino all’epopea della rivolta di Varsavia, quando l’intera città tenne testa ai nazisti, prima di essere sopraffatta e trasformata in un deserto di rovine. Venne fatto nuovamente prigioniero dai tedeschi, questa volta in Baviera, anche se nessuno si accorse che “Roman” era la stessa persona che era stata ad Auschwitz come “Tomasz”.

Busto di Witold Pilecki (1901-1948

LE ULTIME ORE. Nella Polonia comunista del 1947 questi straordinari meriti non valevano nulla se, come Pilecki, eri anticomunista. I suoi accusatori volevano che fosse lui stesso, sotto tortura, a scrivere il suo atto d’accusa. Che confessasse di aver commesso attentati e omicidi, di aver tradito la madrepatria in combutta con i Paesi occidentali. Witold negò tutto, ma il suo destino era segnato. Un tribunale militare lo condannò a morte non una, ma tre volte, dopo aver fatto del processo una vetrina per instillare nell’opinione pubblica la paura che forze straniere fossero pronte a rovesciare la giovane repubblica popolare.

La sera del 25 maggio 1947 il chiavistello della cella di Witold si aprì. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo portarono fuori. Non servì tenerlo fermo, stava dritto sulle sue gambe, fino a quando il boia gli sparò un unico colpo nella nuca. Era il metodo di eliminazione preferito dai sovietici. Il regime filo-sovietico volle che sull’uomo e le sue gesta cadesse il totale oblio, al punto da nascondere il luogo di sepoltura. Anche il suo prezioso rapporto su Auschwitz venne sepolto in un archivio. Dovranno passare quasi 50 anni, e la caduta del Muro di Berlino, perché la figura di Witold Pilecki riemerga dall’oblio.

EROE NAZIONALE. Oggi in Polonia è un celebrato eroe nazionale, a cui si intitolano strade e scuole. Ma Witold non è stato soltanto un eroe polacco. Rimarrà per tutti l’unico uomo entrato volontariamente ad Auschwitz, per portare un seme di speranza e perché nulla di quello che accadeva al suo interno potesse mai essere dimenticato.

Fonte: Focus.it

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