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Terremoto più profondo di sempre per gli scienziati era impossibile

Terremoto più profondo di sempre per gli scienziati era impossibile

Gli scienziati hanno individuato il terremoto più profondo di sempre. Si è verificato a 751 chilometri di profondità, sotto la superficie della Terra.

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Gli scienziati hanno individuato il terremoto più profondo di sempre. Si è verificato a 751 chilometri di profondità, sotto la superficie della Terra. Nello specifico, all’interno del mantello inferiore. Il punto è che per i sismologi un terremoto in quel punto appariva e appare ancora come impossibile dal verificarsi. Questo perché sottoposte a un’estrema pressione le rocce hanno maggiori probabilità di piegarsi e deformarsi piuttosto che rompersi con un improvviso rilascio di energia.

In Giappone, a 751 chilometri di profondità. Ma gli esperti non sanno spiegarsi esattamente come sia stato possibile.

Eppure sembra essere andata diversamente. I minerali, spiega Pamela Burnley, esperta di geomateriali all’università del Nevada, non si comportano sempre come ci si aspetterebbe. “Solo perché dovrebbero cambiare non significa che lo faranno” ha detto Burnley a WordsSideKick.com. Ciò che il terremoto potrebbe rivelare, quindi, è che i confini all’interno della Terra sono più sfocati di quanto spesso si creda, spiega ScienceAlert.

Il terremoto è stato registrato a giugno sulla rivista Geophysical Research Letters: si è trattato in realtà di una piccola scossa di assestamento seguente a un terremoto di magnitudo 7.9 che ha scosso le isole Bonin al largo del Giappone continentale nel 2015. I ricercatori guidati dal sismologo dell’università dell’Arizona Eric Kiser hanno rilevato il terremoto utilizzando la serie di stazioni sismiche Hi-net distribuite nel paese. Si tratta della rete più potente in uso al mondo per l’individuazione dei terremoti: il sisma non era minimamente percepibile sulla superficie ed è stato di magnitudo contenuta, per cui sono serviti degli strumenti così raffinati per individuarlo.

In realtà, la stima della profondità attende ulteriori conferme ma la scoperta sembra affidabile. E molto interessante: la stragrande maggioranza dei terremoti è infatti superficiale. Si origina all’interno della crosta terrestre e del mantello superiore entro i primi cento chilometri sotto la superficie. La crosta, in particolare, misura in media 20 chilometri: lì le rocce sono infatti fredde e fragili. Quando vanno sotto stress non riescono a mantenersi integre più di tanto e si rompono rilasciando energia come una molla. Più in profondità, tuttavia, le rocce sono più calde e appunto sottoposte a pressioni superiori, per questo tendono meno a rompersi – semmai a cambiare stato e a deformarsi. Ma a questa profondità i terremoti possono comunque verificarsi quando le alte pressioni spingono sui pori pieni di fluido nelle rocce, costringendo i fluidi contenuti a fuoriuscire. In queste condizioni, le rocce possono anche essere soggette a rotture simili a quelle che avvengono più in superficie.

In effetti, anche prima dell’ultimo fenomeno rilevato, c’erano stati terremoti nel mantello inferiore, fino a 670 chilometri di profondità. Terremoti lungamente ritenuti misteriosi, dagli esperti, perché a quelle profondità tutta l’acqua dovrebbe essere stata eliminata e dunque dovrebbe essere complesso innescare rotture del genere a cui siamo abituati entro i cento chilometri. Una spiegazione potrebbe trovarsi nel gruppo dell’olivina, un insieme di neosilicati di magnesio, manganese e ferro che costituisce la gran parte del mantello del nostro pianeta e di trasformazione in trasformazione assume differenti strutture. Queste strutture, dal mantello superiore a quello inferiore, sembrerebbero sempre meno tendenti a rompersi e dunque a creare faglie che inneschino il rilascio di energia, infine i terremoti.

I geologi sono ancora poco d’accordo sulle ragioni per cui si verifichino terremoti nel mantello superiore, ambito su cui hanno trovato un punto comune di caduta solo nel corso degli anni Ottanta legato ai passaggi e alle trasformazioni dei minerali, proprio dell’olivina che saltando uno stadio e sottoposta a una certa pressione potrebbe rompersi. Dando origine a un terremoto in quelle aree di transizione sotto i 400 chilometri. Ma appunto il nuovo terremoto giapponese individuato dall’ultima indagine si sarebbe verificato ancora più in profondità. Una possibile spiegazione è che il confine tra il mantello superiore e inferiore non si trovi “esattamente dove i sismologi si aspettano che sia nella regione di Bonin”, spiega ScienceAlert riportando le parole di Heidi Houston, geofisica dell’università della California del Sud. Oppure ancora per un comportamento anomalo dei minerali del gruppo dell’olivina, che appunto non concludono o neanche iniziano la transizione di stato a causa di elementi che disturbino quei passaggi, come lastre di croste continentali più fredde che si siano sovrapposte in particolari regioni geologiche terrestri, più in profondità di dove dovrebbero trovarsi. In questo modo quel livello del mantello inferiore non sarebbe così caldo come gli studiosi si aspetterebbero.

Fonte: Esquire

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