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Msc: ha costruito la sua società di autotrasporto italiana

Prosegue l’integrazione verticale del grupo di Aponte con Medtruck, joint venture controllata per l’80% da Medlog e per il 20% da Vincenzo Miele Trasporti

Msc: ha costruito la sua società di autotrasporto italiana

Prosegue a ritmo spedito il piano di progressiva integrazione verticale della logistica da parte della società armatoriale Mediterranean Shipping Comp

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Prosegue a ritmo spedito il piano di progressiva integrazione verticale della logistica da parte della società armatoriale Mediterranean Shipping Company anche in Italia.

Secondo quanto rivelato da TrasportoEuropa e da ciò che effettivamente risulta consultando lo sportello telematico delle Camere di Commercio Italiane il 20 gennaio scorso è stata costituita, con sede a Rozzano, in provincia di Milano, la società Medtruck Srl controllata all’80% da Medlog, azienda del gruppo Msc attiva nelle spedizioni terrestri, e al 20% da Vincenzo Miele Trasporti Sas di Salvatore Miele, società di autotrasporto con cui il global carrier elvetico negli ultimi anni aveva già avviato una partnership operativa. Presidente di questa nuova azienda che al momento risulta ancora inattiva è Federico Pittaluga, l’uoomo della logistica di Msc in Italia.

In Italia, dunque, il gruppo armatoriale fondato da Gianluigi Aponte aggiunge l’anello del trasporto su strada di container alle altre attività che già controlla direttamente fra cui il trasporto marittimo, il terminalismo portuale (il gruppo è presente nel 40% dei terminal container in Italia), il rimorchio portuale (a Gioia Tauro), le spedizioni intermodali (con Medlog appunto e con partecipazioni in spcietà di spedizione fra cui Savino Del Bene) e il trasporto ferroviario con l’impresa ferroviaria Medway Italia. Nel prossimo futuro potrebbe allargare ulterioremnete la sua sfera d’influenza aggiungendo anche il trasporto aereo sia di passeggeri che di merci acquisendo Ita Airways.

Proprio il rapido processo d’integrazione verticale nella logistica anche terrestre da parte del global carier elvetico (così come di altre compagnie di navigazione) nelle ultime settimane aveva fatto suonare un nuovo campanello d’allarme nell’ambito del percorso di riforma del Registro Italiano Internazionale delle navi e la prevista estensione dei benefici fiscali e contributivi previsti per le attività di trasporto marittimo anche alle attività ancillari fra cui appunto il trasporto terrestre. Fino ad oggi (dai primi anni Duemila) una società armatoriale con stabile organizzazione in Italia e con navi battenti bandiera italiana poteva estendere ai servizi di spedizione door to door, quindi anche alla fase di trasporto a terra, i benefici fiscali garantiti dal Registro Internazionale (Grandi Navi Veloci e Ignazio Messina, due aziende rispettivamente controllate e partecipate da Msc sono state finora le maggiori beneficiarie di questa previsione normativa).

A giugno del 2020 la Commissione Europea ha imposto all’Italia di estendere l’applicazione dei benefici previsti dal Registro Internazionale anche alle navi battenti bandiera di Paesi dello Spazio economico europeo (dunque non solo italiana) e proprio da qui nasce la preoccupazione, in primis dei terminal portuali (rappresentati da Assiterminal) ma anche degli spedizionieri (Fedespedi) che gli armatori attivi nel trasporto di container possano beneficiare di vantaggi competitivi nei trasporti e nelle spedizioni a terra grazie all’estensione degli sgravi fiscali anche ai cosiddetti servizi ancillari al trasporto marittimo. Il tutto con conseguente disparità di condizioni competitive sul mercato della logistica terrestre.

In realtà, guardando al caso specifico di Msc, fino ad oggi le navi cargo risultano battere bandiera panamense per cui la norma oggetto di riforma con apposito decreto non sarebbe applicabile ma al gruppo ginevrino basterebbe registrare o conferire almeno una parte della flotta battente bandiera europea a una società armatoriale italiana (qualcosa di simile a quanto oggi avviene per il gruppo armatoriale taiwanese Evergreen che controlla la triestina Italia Marittima) per avere accesso ai benefici previsti dal Registro Internazionale. Da qui si spiega la ferma opposizione del mondo della logistica terrestre (in primis di terminalisti e spedizionieri come detto) a un’estensione degli sgravi fiscali alle navi battenti bandiera europea con il limite che i ricavi derivanti dal trasporto via terra non superino il 50% dei ricavi totali ammissibili derivanti dalla utilizzazione della nave. Con gli attuali noli marittimi alle stelle quel 50% di ricavi onshore è una soglia che consentirebbe a qualsiasi armatore di navi portacontainer di beneficiare di sgravi fiscali praticamente su  qualsiasi spedizione door to door.

Fonte: Shipmag.it

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