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Il colosso dell’ecommerce cinese fa shopping in Italia

Il colosso dell’ecommerce cinese fa shopping in Italia

La piattaforma Jd.com è a caccia di moda, alimentari, cosmetici e prodotti per bambini made in Italy per i suoi 169 milioni di iscritti Il colosso

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La piattaforma Jd.com è a caccia di moda, alimentari, cosmetici e prodotti per bambini made in Italy per i suoi 169 milioni di iscritti

Il colosso dell’ecommerce cinese Jingdong Mall, alias Jd.com, fascounting di imprese italiane da lanciare sulla propria piattaforma. Vino, moda, ma non solo: il sito, 169 milioni di iscritti, 3,8 milioni di ordini ogni giorno, è a caccia anche di cosmetici, alimentari, arredo e prodotti per bambini. “Cerchiamo aziende di alto livello, da inserire nelle categorie top – spiega Louis Li, vicedirettore generale di  Jd Worldwide -. I cinesi sono molto attenti alla sicurezza alimentare e a quelli dei prodotti per l’infanzia“. Per questo a Milano la piattaforma orientale, ma quotata al Nasdaq americano, ha incontrato oggi 140 aziende del made in Italy per selezionare le migliori da imbarcare su Jd.

Dal 2013 la Cina è il primo mercato mondiale dell’ecommerce e le previsioni al 2020, secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Italia-Cina sul Paese di Mezzo, stimano incrementi annui del 20%. “Oggi ci sono oltre 700 milioni di internauti in Cina, più della popolazione“, ricorda il segretario della Camera di commercio italo-cinese, Marco Bettin, e di questi circa 400 milioni comprano in rete, per “un fatturato complessivo intorno ai 600 miliardi di euro“, si legge nel rapporto.

Gli acquisti in Cina sono quattro volte quelli dell’Europa – osserva il presidente dell’ente camerale, Pier Luigi Streparava -. Ci vuole però una pianificazione attenta delle imprese, che devono chiedersi se la Cina fa parte del proprio orizzonte“. E se la risposta fosse sì “bisogna attrezzarsi – prosegue Streparava – registrando il marchio, verificando le certificazioni per l’export e trovando un partner per la distribuzione e la promozione“.

A fine del 2015 le vendite retail rappresentano circa il 15% del totale retail” in Cina, ricorda il rapporto della Fondazione, ma “le previsioni al 2020 ipotizzano che la quota di vendite online sul totale delle vendite retail salirà al 24%, con punte come il 55% nell’elettronica, il 50% nella cosmetica e il 35% nell’abbigliamento“. E qui entrano in gioco Jd.com e concorrenti, come Alibaba,Vip.com, Suning (la società che ha comprato l’Inter), Dangdang,Amazon China.

Jd, nato nel 1998 come 360buy per iniziativa di Liu Qiangdong, è il primo canale per vendite mediate (ossia dove il marchio noleggia uno spazio promozionale sul sito) e secondo per quelle dirette, con il 23% di quota di mercato (primo è Tmall di Alibaba con il 57%). “I nostri acquirenti spengono in media 350 renminbi (circa 47 euro, ndr) per ogni transazione, contro una media di 150 renminbi (20,5 euro, ndr) dei concorrenti“, precisa Li.

Jd punta sulla propria rete di 209 magazzini in 50 città della Cina, da Xi’an a Chengdu, da Wuhan a Guangzhou, che distribuiscono gli ordini in 5.987 centri di consegna. “In questo modo – aggiunge Li –l’85% dei prodotti acquistati arriva entro il giorno stesso dell’ordine o nel successivo“. A sostegno dell’ecommerce si è mosso anche il governo di Pechino, che ha varato una legge che abbassa la tassazione delle merci esportate verso la Cina e destinate agli acquisti via internet all’11,9%. E contro il rischio della contraffazione, che ha dissuaso molti imprenditori italiani dal vendere i propri prodotti in rete, Jd.com ha presentato una politica rigida, che prevede la multa o la chiusura immediata del negozio online che vende falsi. “Mi sembra la cosa più importante – osserva Mario Boselli, presidente onorario di European design center -. Sono attenti a distinguere il buono dal cattivo“.

Molti imprenditori italiani pensando che andando online possano essere copiati – si legge nel rapporto della Fondazione Italia-Cina – ma è vero esattamente il contrario. Se una marca non è disponibile sul web, al suo posto verranno offerti dei falsi, perciò il consiglio è che i brand italiani siano presenti direttamente sul mercato digitale cinese.

fonte wired

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