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La difficile sfida del Sahel

Il Sahel si trova al centro di complesse dinamiche che non coinvolgono solo gli stati della regione ma anche i principali attori internazionali. Questo articolo intende approfondire la situazione e le prospettive di questo vasto territorio e i motivi di interesse e scontro che coinvolgono le principali potenze con l’obiettivo di comprenderne i potenziali sviluppi.

La difficile sfida del Sahel

Il Sahel ll nome Sahel proviene dall’arabo “Sahil”, letteralmente “bordo del deserto” divide il deserto del Sahara a nord, dalla la savana sudanese

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Il Sahel

ll nome Sahel proviene dall’arabo “Sahil”, letteralmente “bordo del deserto” divide il deserto del Sahara a nord, dalla la savana sudanese, a sud. Dal punto di vista geografico si estende per 8.500 km tra l’oceano Atlantico e il Mar Rosso su una superficie di circa 6 milioni di km² toccando 13 stati. La popolazione è composta da più di 35 gruppi etnici prevalenti stanziati in modo transazionale, eredità del modo in cui furono tracciati i confini nel corso del processo di decolonizzazione. La popolazione complessiva è di 22,4 milioni, ma l’alto tasso di fertilità – in media di 4,9 figli/donna, con punte di 7,1 figli/donna nel Niger – potrebbero portarla a triplicare entro il 2050. La religione mussulmana è praticata dall’80% degli abitanti, seguita da quella cristiana, 13%, e un residuale 7% di altre confessioni. L’età media nella regione del Sahel è molto bassa, il 40% della popolazione ha meno di 15 anni e gli over 60 che costituiscono appena il 5% Il PIL del Sahel è circa 9 miliardi di US$, appena 411 US$ pro capite. Trattandosi di una zona climatica di confine semidesertica la sussistenza dei saheliani dipende, oltre che dall’agricoltura, in gran parte dalla pastorizia, che costituisce un tratto fondamentale del nomadismo di queste popolazioni. Entrambe sono messe a rischio dei cambiamenti climatici che vedono espansione del deserto di quasi 50 km l’anno e un aumento delle temperature, che già si attestano mediamente sui 35 gradi, ad un ritmo una volta e mezzo superiore al resto del mondo. Secondo alcune previsioni la temperatura aumenterà di 3 gradi entro il 2050 e di 6 entro il 2100. Per contrastare questo scenario la FAO ha attivato un programma, la Great Green Wall, con l’obiettivo di costituire una fascia verde lunga 7.600 Km e larga 15 Km con piante autoctone e resistenti come l’Acacia Senegal e la Faidherbia albida. L’altra grande ricchezza del Sahel sono le miniere, in particolare di oro e di uranio, che sono al centro degli interessi di molti attori internazionali e del crimine organizzato.

Dal punto di vista geopolitico il Sahel è composto da Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, paesi oggetto di continui colpi di stato, ben cinque tra il 2020 e il 2023, realizzati in Mali, Ciad, Niger e addirittura due in Burkina Faso. La situazione di forte instabilità, aggravatasi durante la pandemia, è caratterizzata dalla debolezza delle autorità statali, la marginalizzazione socioeconomica di larga parte della popolazione, e la frammentazione tribale. Ciò rende possibile il controllo di larghe porzioni di territorio da parte di organizzazioni terroristiche islamiche e gruppi criminali che si sostituiscono e soppiantano il potere legittimo, analogamente a quanto visto in Siria e Iraq con l’Isis. Queste stesse organizzazioni agiscono in stretta connessione con i criminali dediti al traffico di armi, droga, reperti archeologici, esseri umani con l’obiettivo primario di ottenere profitto. Nel 2014 Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad hanno costituito il G5 Sahel con l’obiettivo di mutualizzare le forze per affrontare insieme delle sfide comuni: la povertà cronica, la crescita demografica, il cambiamento climatico e l’insicurezza legata all’estremismo di natura jihadista.

L’impatto degli attori esterni

Nel complesso e fragile quadro del Sahel si inseriscono numerosi attori esterni che in quest’area si scontrano con obiettivi diversi e confliggenti. In primo luogo la Francia, ex potenza coloniale che qui ha continuato ad avere una forte influenza, anche finanziaria visto l’utilizzo da parte di questi paesi del Franco Centro Africano, ultimamente incalzata da altre potenze, in particolare Cina e Russia. Gli obiettivi francesi sono la lotta al terrorismo islamico e al traffico di essere umani, la stabilizzazione e il rafforzamento dei Paesi di transito e origine dei migranti e il contrasto alla povertà endemica tramite finanziamenti umanitari. Dal 1994 la Francia collabora con ONU e UE con propri contingenti militari; nel 2014 ha attivato la missione anti-jihadista Barkhane con l’intervento di 3.500 uomini. 

Gli Stati Uniti sono impegnati in questo quadrante, oltre che per motivi squisitamente economici, per contrastare la crescente influenza di Russia e Cina, difendere il fianco sud della NATO e assicurare stabilità e sicurezza nell’area. 

La Russia si configura come una delle potenze più presenti in quest’area con iniziative nel campo dell’energia – nucleare, petrolio, gas-, industriale e finanziamenti finalizzati all’acquisto di prodotti russi. Le difficoltà di controllo del territorio da parte dei deboli governi della regione hanno spianato la strada all’intervento delle compagnie militari private (PMC), fino ad ora soprattutto il Gruppo Wagner. In questo modo il Cremlino ha di fatto dispiegato un consistente dispositivo militare che formalmente si presenta come forza di pace, ma è in grado di condizionare la politica della regione.

La Cina ha iniziato la sua espansione in Africa alla fine del ‘900 sostenendo un modello di collaborazione alternativo a quello coloniale occidentale. L’approccio cinese è soprattutto di natura economica, non vincolando la propria collaborazione a pregiudiziali ideologiche o modelli di governo e praticando la “non ingerenza negli affari interni” ma chiedendo l’adesione alla “One China Policy”. La Cina partecipa con un proprio contingente alle missioni ONU e dal 2017 ha aperto una propria base a Gibuti, ma il principale interesse rimane di natura prettamente economica, appoggiato da attività di soft power mirate a favorire il consenso verso la politica di Pechino.

L’UE è presente nel Sahel come attore di rilievo perseguendo quattro obiettivi previsti dal Piano d’Azione Regionale del Sahel (RAP) 2015–2020, rivisto nel 2016: prevenire e contrastare la radicalizzazione, creare un’adeguata condizione di vita sociale per i giovani, controllare la migrazione e la mobilità, gestire le frontiere, lottare contro il traffico illecito e la criminalità organizzata transnazionale. Questi obiettivi sono la vera essenza della politica della UE per contrastare le migrazioni irregolari.

Conclusioni

Il Sahel si configura come un’area di grande fragilità e instabilità, preda delle ataviche lotte tribali e povertà sulle quali poteri terroristici e criminali riescono ad avere una forte presa contrastando anche gli interventi internazionali che mirano a migliorare le condizioni di vita. Per quanto possa avere le potenzialità per ottenere significativi miglioramenti, è purtroppo facile immaginare che quest’area continuerà, per un lungo futuro, a rimanere sottosviluppata e al centro dello scontro tra potenze contrapposte.

Fonte: Geopolitica.info

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