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Spazio: la Cina si sta attrezzando per la difesa planetaria

L’agenzia spaziale cinese ha annunciato una missione per testare un sistema di deviazione degli asteroidi potenzialmente pericolosi. In attesa dei loro risultati, cosa potremmo fare in caso di minacce spaziali?

Spazio: la Cina si sta attrezzando per la difesa planetaria

Lo spazio sta tornando ad essere un terreno di scontro tra superpotenze. Lo dimostrano le schermaglie tra Russia e Stati Uniti sul futuro della Stazio

Le possibilità di recuperare gli asteroidi alle proprie funzioni ancestrali e allontanarne i pericoli
The possibilities of restoring the ancestral functions of asteroids and averting their dangers
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Lo spazio sta tornando ad essere un terreno di scontro tra superpotenze. Lo dimostrano le schermaglie tra Russia e Stati Uniti sul futuro della Stazione spaziale internazionale. Così come gli inediti sforzi aerospaziali della Cina, che negli ultimi anni sta cercando di recuperare il suo ritardo decennale sulle agenzie spaziali di America, Europa e Russia, con un fitto calendario di missioni spaziali in cantiere per il futuro prossimo. Tra queste, l’espansione della stazione spaziale Tiangong, che dovrebbe essere completata entro la fine dell’anno. E un nuovissimo programma di difesa planetaria, che nelle intenzioni dell’amministrazione spaziale cinese dovrebbe presto rivaleggiare con quelli di Nasa ed Esa. Una notizia che – al netto delle rivalità, e della situazione non proprio rosea in cui versa lo scacchiere geopolitico mondiale – non può che farci piacere, visto che gli asteroidi sono uno dei pochi pericoli contro cui la specie umana è ancora fondamentalmente impotente. Con l’occasione, vediamo quali sono le capacità di risposta ad un pericolo spaziale attualmente disponibili, e quali quelle in fase di studio per i prossimi anni.

Il programma di difesa cinese

Iniziamo dall’attualità. L’agenzia spaziale cinese ha annunciato il suo programma nelle scorse settimane, con un’intervista rilasciata dal vicedirettore Wu Yanhua alla China Central Television. Il progetto prevederebbe lo sviluppo di due differenti programmi. Il primo è un sistema di monitoraggio e allerta precoce dedicato sia ai detriti spaziali (i residui di satelliti e pezzi di razzo abbandonati in bassa orbita terrestre, che rappresentano un pericolo per i nuovi lanci), che agli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra. Due attività strategiche che oggi sono affidate fondamentalmente alle apparecchiature della Nasa, da cui Pechino evidentemente vuole smettere di dipendere. Il secondo programma prevede invece la realizzazione di una vera e propria missione sul campo, che tenterà di deviare un asteroide potenzialmente pericoloso per il nostro pianeta.

Cosa si intenda per potenzialmente pericoloso non è chiaro, visto che al momento il corpo celeste noto con le maggiori probabilità di colpire il nostro pianeta è l’asteroide 2010 Rf12, che ha appena il 4,8% di probabilità di impatto con la Terra nel 2095, e con i suoi 7 metri di diametro provocherebbe comunque danni estremamente contenuti, paragonabili a quelli della meteora Chelyabinsk del 2013. A prescindere dall’obbiettivo, per ora sconosciuto, i piani dell’agenzia spaziale cinese sarebbero di lanciare la sua missione intorno al 2025/2026, raggiungere l’asteroide, osservarlo da vicino e tentare quindi di deviarne l’orbita con un impattatore cinetico: cioè schiantandoci contro una sonda a massima velocità.

Il monitoraggio dei Neo

In gergo tecnico, gli asteroidi potenzialmente pericolosi vengono definiti Neo, o Near-Earth Object. In caso di pericoli, il primo passo ovviamente è poterli individuare per tempo, quando è ancora pensabile trovare una soluzione, o quanto meno provvedere all’evacuazione delle aree a rischio (nel caso di asteroidi di piccole dimensioni, perché per quelli più grandi non ci sarebbe luogo sicuro dove rifugiarsi). Oggi questo compito è affidato a una rete capillare di osservatori e singoli astronomi, che condividono i dati raccolti nelle loro osservazioni grazie al coordinamento del Minor Planet Center, un organismo internazionale ospitato nel dipartimento di astrofica di Harvard (negli Usa). I fondi per mandarlo avanti arrivano però principalmente dalla Nasa. Con il suo Near-Earth Object Observations Program l’agenzia spaziale americana sta infatti portando avanti un obbiettivo ambizioso: mappare almeno il 90% dei Neo di dimensione superiore ai 140 metri (capaci cioè di devastare il nostro pianeta). E oltre a coordinare gli sforzi degli osservatori internazionali, ha dedicato due osservatori di primo piano alla missione: il Wide-field Infrared Survey Explorer, un telescopio spaziale lanciato nel 2009, che da 2013 si dedica unicamente alla ricerca di Neo e alla valutazione accurata delle loro dimensioni; e la Infrared Telescope Facility, un osservatorio situato sulla cima del vulcano Maunakea (nelle isole Hawaii).

Per quanto riguarda l’Esa, il tracciamento e l’analisi degli asteroidi potenzialmente pericolosi è affidata al NEO Segment del suo Space Situational Awareness Programme. Sul piano delle osservazioni, per ora il vecchio continente è ancora dipendente dalle strumentazioni americane, ma presto la situazione dovrebbe cambiare. È prevista infatti la costruzione di una rete di osservatori automatizzati chiamata Flyeye, che sfruttano un’innovativa tecnica di osservazione che divide l’immagine in 16 porzioni più piccole, come accade nell’occhio di una mosca. Il primo, che dovrebbe vedere la luce a brevissimo, sorgerà in Sicilia, sulla cima del monte Mufara.

Cosa fare in caso di pericolo?

Se le capacità di individuazione dei Neo sono già piuttosto sviluppate, e al momento non esistono pericoli noti all’orizzonte, sul piano delle capacità di intervento siamo ancora agli inizi. Se si scoprisse un asteroide diretto verso la Terra, stile Don’t Look Up diciamo, saremmo quindi costretti a improvvisare. Almeno per ora: Nasa e Esa infatti hanno già lanciato un programma per testare sul campo la possibilità di deviare un corpo celeste diretto verso il nostro pianeta. Si tratta della missione Dart, lanciata lo scorso 24 novembre in direzione di Dimorphos. Il piano è quello di schiantare la sonda Dart contro Dimorphos verso la fine di settembre, con la speranza che questo sia sufficiente per alterare la sua rotta e quella Didymos, l’asteroide di dimensioni maggiori attorno a cui orbita.

Se una situazione simile a quella descritta dal film di Netflix si presentasse davvero, avremmo la tecnologia per salvare il pianeta, secondo uno studio dell’università della California-Santa Barbara.

Se la missione si concluderà con un successo, nel 2027 seguirà la seconda fase del programma: il lancio della sonda Hera realizzata dall’Esa, che tornerà nuovamente su Didymos per studiare da vicino gli effetti della collisione con Dart, e raccogliere dati con cui programmare in futuro simili interventi, nel caso di pericoli reali per il nostro pianeta.

Bombe atomiche e vernice bianca

L’impatto cinetico non è comunque l’unica strategia possibile in caso di pericoli (anche se sicuramente è la più semplice da testare e mettere in campo). E il suo successo dipende da diversi fattori, non ultimo la composizione del corpo celeste di cui si vuole deviare la traiettoria (perché funzioni si deve trattare di un asteroide solido e di dimensioni relativamente piccole). Un’alternativa sempre sul tavolo è quella di ricorrere alle bombe atomiche. Quante, quali, e fatte esplodere dove, sono tutte variabili che andrebbero tarate in base all’obiettivo che ci si trova di fronte. E che ad oggi non sono mai state testate in un autentico esperimento spaziale. Per vari motivi, non ultime le potenziali difficoltà che incontrerebbe la Nasa per convincere le altre superpotenze nucleari che i razzi non siano in realtà diretti sulle loro teste.

Il sito di scavo Tanis in North Dakota potrebbe essere una fotografia del giorno del giudizio dei dinosauri. Alcuni paleoscienziati sostengono di aver trovato fossili compatibili con le dinamiche del disastro e anche frammenti dell’asteroide caduto sulla Terra 66 milioni di anni fa

Ancor più teorica, ma non meno intrigante, è la possibilità di deviare un asteroide pericoloso utilizzando quello che i fisici chiamano effetto Yarkovsky, cioè l’effetto che ha la luce solare sull’orbita degli asteroidi quando irradiano nello spazio il calore assorbito. Un effetto di portata minima, ma sufficiente a deviare la rotta di un corpo celeste pericoloso se si ha a disposizione un quantitativo di tempo sufficiente. Dipingendo di bianco una sezione dell’asteroide (utilizzando polvere colorata elettrostatica o qualche altro metodo che funzioni anche nel vuoto dello spazio) sarebbe quindi possibile deviarne l’orbita quel tanto che basta per non farlo più essere in rotta di collisione con il nostro pianeta. Come riuscirci è tutt’altro discorso. Ma visto che funzionerebbe solamente se ci trovassimo ad avere anni di preavviso sull’arrivo della catastrofe, probabilmente la Nasal’Esa o chi sa, l’agenzia spaziale cinese, avrebbero tutto il tempo per inventarsi qualcosa.

Fonte: Wired.it

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