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Via all’era dell’idrogeno con i tre miliardi del Pnrr per spingere lo sviluppo

Oltre 3.200 iscritti al Forum organizzato dal Sole 24 Ore: istituzioni, aziende ed enti di ricerca a confronto sulla riconversione energetica. Servono regole chiare

Via all’era dell’idrogeno con i tre miliardi del Pnrr per spingere lo sviluppo

E ora l’idrogeno. Ossia, Una grande opportunità che apre porte a nuovi modelli di business ma che deve essere accompagnata da un sistema

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E ora l’idrogeno. Ossia, Una grande opportunità che apre porte a nuovi modelli di business ma che deve essere accompagnata da un sistema regolatorio rapido e da una ricerca scientifica costante. È la scommessa che accompagnerà l’Italia per i prossimi quindici anni. Non a caso anche il gruppo 24 Ore, come sottolineato dal direttore Fabio Tamburini in apertura dell’Hydrogen Forum del Sole 24 Ore «è stato il primo a puntare sull’idrogeno e aprire un dibattito su questo modo di produrre energia. All’inizio ci credevano in pochi, dopodiché passo dopo passo la consapevolezza che l’idrogeno sarebbe stato una colonna dell’economia e della crescita». Al forum hanno partecipato 3.200 iscritti.

Limitare la dipendenza dal gas russo

Che l’idrogeno possa essere un elemento da inserire in uno scenario in cui si cerca di limitare la dipendenza energetica dal gas russo ne è convinta Laura Cozzi, Chief Energy Modeller IEA – International Energy Agency, che rimarca un fatto: «Le nostre analisi mostrano che la sua crescita può aiutare da un lato a ridurre le dipendenze russe di importazione di gas dall’altro diminuire le emissioni e nel lungo periodo anche aiutare i cittadini a spendere meno».

La sfida del futuro

Guarda al futuro e parla di sfida Ugo Salerno, Chairman & Ceo Rina. Per il manager «L’idrogeno sarà tra i protagonisti della transizione energetica, dal momento che può essere utilizzato in applicazioni che sono responsabili di gran parte delle emissioni di CO2». Non solo: «Le tecnologie per applicare l’idrogeno ai settori difficili da abbattere ci sono, ma per il momento sono poco efficienti, anche perché la loro applicazione finora non è stata ampia e per migliorarle è necessaria una richiesta importante da parte dell’industria». A condividere la cosiddetta sfida del futuro anche Giorgio Graditi, direttore del dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili Enea secondo il quale la «leva di sviluppo economico può contribuire alla realizzazione di mobilità a zero emissioni, sicurezza e flessibilità al sistema».

Progetti concreti e fattivi

In questo scenario in cui si guarda a fonti alternative al gas importato e alla necessità di trovare nuove soluzioni, si inseriscono anche le strategie dell’idrogeno. Non a caso, Laura Villani, Managing Director & Partner Boston Consulting Group, sottolinea che in questo anno «Il nuovo contesto geopolitico presuppone di accelerare sulla transizione energetica e le nuove indicazioni dell’Eu confermano il ruolo dell’idrogeno in questo percorso.
Inoltre nel corso dell’ultimo anno si è costruita in Italia una pipeline interessante di progetti che rende la scommessa sull’idrogeno più concreta e fattiva; rimane una scommessa fatta su singoli progetti, mentre c’è un potenziale per il sistema paese più ampio, sia sul lato della produzione di elettrolizzatori sia in termini di produzione, trasporto e stoccaggio di H2 vis à vis l’Europa. Varrebbe la pena chiarire se è una scommessa che l’Italia deve provare a cogliere».

Gli energivori

C’è poi un altro capitolo e riguarda l’industria pesante. Il settore dei cosiddetti “hard to abate” dove, come sottolinea Salvatore Bernabei, amministratore delegato di Enel Green Power, «i processi di elettrificazione non sono efficienti e contribuiscono in maniera rilevante alle emissioni di CO2». «È fondamentale investire ulteriormente sull’idrogeno verde, in modo da avere prezzi che consentano poi di sviluppare la tecnologia in questi settori – argomenta -: oggi è una risorsa che viene prodotta principalmente con il gas, ma riteniamo che entro il 2030 la produzione di idrogeno verde possa essere competitiva con le fonti alternative».

E in questa rivoluzione che punta a decarbonizzare gli energivori, non può che avere un ruolo importante la cosiddetta infrastrutturazione. Ossia la rete in cui dovrà poi viaggiare l’intero sistema. Un aspetto, per usare le parole di Cosma Panzacchi, EVP Business Unit Idrogeno Snam «diventato sempre più importante». Con un Obiettivo: «Trasportare idrogeno a basso costo. Per essere competitivo deve avere un costo tra i 2 ai 4 euro al chilo. Se si produce in larga scala e si trasporta in strutture efficienti 0,1 euro al chilo per 1000 chilometri». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas secondo il quale «le infrastrutture devono essere pronte non solo ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl), ma anche a gestire gas diversi, dal biometano all’idrogeno: e gli operatori si stanno preparando a questo scenario avviando sperimentazioni». A puntare sulle reti anche Renato Boero, Presidente Iren che sottolinea come al 2035 «saremo a idrogeno tutte le nostre reti perché è il vettore del futuro».

Il nodo dei costi

Quanto all’aspetto legato al costo «si può risolvere abbassando quello dei Capex ma sopratutto lavorando sulle rinnovabili». Inoltre, come sostiene Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A, «la tassonomia europea deve fare chiarezza sul tema dell’idrogeno: le incertezze sul piano regolatorio hanno un impatto diretto sugli investimenti, e sulla possibilità di creare un vero e proprio mercato».

Tra fonti e stoccaggio

Nella partita per la produzione di idrogeno a rivestire un ruolo importante sono poi i gas e la questione dello storage. Non a caso, Pierroberto Folgiero, Ceo e Managing Director Maire Tecnimont punta l’attenzione sulla necessità di «diversificare le fonti e affrancarsi dal gas russo». Per il manager è necessario «spingere l’acceleratore su parte di gas, biogas e gas sintetici». Con un’attenzione ai gas sintetici che si possono ottenere dalla lavorazione dei rifiuti secchi. «In Italia dobbiamo correre colmando il gap sul costo energia». La vera emergenza del settore energetico, a sentire Daniela Gentile, Ceo Ansaldo Green Tech, è rappresentata dallo stoccaggio: «Solo per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati al 2030, occorrerà raddoppiare la quantità di energia prodotta da fotovoltaico e quintuplicare quella derivante dall’eolico, ma soprattutto abbiamo bisogno di una capacità di stoccaggio 15 volte superiore a quella attuale. Dobbiamo assolutamente creare sistemi che siano in grado di accogliere l’energia prodotta da fonti rinnovabili senza gettarla via».

Tempi troppo lunghi

Nel viaggio verso la transizione energetica le aziende si scontrano poi con le questioni autorizzative e con i tempi che si dilatano in maniera importante. Non a caso Giovanni Brianza, Amministratore Delegato Servizi energetici Edison, sottolinea la necessità di «sveltire tutto il processo autorizzativo bloccato» e il bisogno di «un riferimento normativo scolpito sula pietra. Abbiamo tanti progetti sul campo ma stiamo attendendo di capire quali sono le regole del gioco ma non sappiamo come giocare». Dello stesso avviso anche Stefano Erba, Responsabile Pianificazione Strategica e Sviluppo Fnm, che rimarcando l’importanza della sfida idrogeno auspica «risorse per finanziare il differenziale di costi di esercizio. Va bene sostenere gli investimenti ma è necessario anche sostenere anche chi decide di fare una scelta di cambiamento di questo tipo durante la fase di esercizio».

Qualche difficoltà

E a viaggiare tra opportunità e difficoltà è lo studio illustrato da Gianluca Marini, Executive Vice President Consulting Division CESI a proposito di rischi e difficoltà derivate dall’impatto della transizione energetica. «Siamo all’interno di un quadro regolatore che è lentissimo. Siamo molto lenti nell’implementare e nel riuscire a creare dei quadri regolatori facilmente integrabili dagli operatori di settore. Oltre al tema regolatorio c’è poi quello tecnologico». Che riguarda il sistema di costruzione degli elettrolizzatori che «non sono una tecnologia matura, nel senso che non è stata ancora determinata la tecnologia vincente».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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