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Dal prodotto al servizio: ecco come potrebbero cambiare i nostri consumi

In futuro il possesso di beni potrebbe essere superato dal pagamento per l'uso. I vantaggi ambientali sembrano evidenti. Con alcuni “ma”...

Dal prodotto al servizio: ecco come potrebbero cambiare i nostri consumi

Riflettiamo: noi abbiamo bisogno di un’auto o ciò che ci importa è spostarci? Ci servono delle lampade o abbiamo bisogno di illuminazione? Vogliamo un

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Riflettiamo: noi abbiamo bisogno di un’auto o ciò che ci importa è spostarci? Ci servono delle lampade o abbiamo bisogno di illuminazione? Vogliamo una lavatrice o ci serve bucato pulito e profumato? Dalla rivoluzione dei consumi, così ben analizzata dal sociologo Thorsten Veblen, noi abbiamo sempre accumulato e posseduto oggetti per distinguerci, per posizionarci nelle gerarchie sociali. Fosse anche per fare invidia al cugino o alla vicina. Il possesso come consumo distintivo, diceva VeblenSiamo quello che possediamo.

Siamo all’alba di una trasformazione: arriverà il “cittadino leggero”

Per liberarci dall’eccessivo possesso siamo all’alba di una nuova trasformazione che vedrà l’emergere di un nuovo tipo di consumatore: il cittadino leggero. Il suo motto è passare dal possesso del prodotto al suo servizio, ove possibile. Noleggio, prestito, condivisione, riduzione, consumo pubblico. Il trend del servizio al posto del prodotto vede i suoi prodromi negli anni ’80 con l’economia dei servizi ipotizzata da Walter Stahel. Ma ha trovato nuova linfa con il diffondersi del concetto di economia circolare integrale ed in particolare con il principio di massimizzare il valore d’uso di un oggetto.

La statistica più nota ed impiegata in ogni lezione o libro di economia circolare (come nel caso di “Che cosa è l’economia circolare”) è quella legata a quanto usiamo l’automobile. Secondo la Ellen MacArthur Foundation, un veicolo di proprietà rimane inutilizzato per il 92% del suo tempo vita, viene guidato solo per il 5%, il resto sprecato nel traffico o alla ricerca di parcheggio. Le nostre case sono piene di oggetti che usiamo solo per pochi minuti ogni anno (il trapano ad esempio per coloro che non sono fanatici bricoleurs). Ma anche tanti oggetti che non vengono più usati ma non si buttano (vestiti fuori moda, vecchi cellulari, cose “che prima o poi possono servire”). Il loro valore d’uso è dunque estremamente basso.

Economia circolare e prodotti come servizi: la chiave della sostenibilità?

È stato notato invece come un’auto condivisa del car-sharing condivisa possa essere usata fino al 40% del suo tempo vita. Ciò vale anche per tanti oggetti che sono ceduti attraverso un contratto di noleggio, leasing o performance (dalle biblioteche per gli oggetti, fino ai macchinari ad alto contenuto tecnologico condivisi tra imprese o addirittura ospedali).

Il termine tecnico dell’economia circolare è quello di PaaS, Product-as-a-Service, ovvero il prodotto è venduto come servizio. Dalla seconda casa ai vestiti, dagli oggetti di ufficio agli attrezzi per giardinaggio o agricoltura, sono tanti i settori dove grandi aziende ma anche gruppi di cittadini o piccoli commercianti stanno sperimentando il PaaS.

Il cittadino leggero quindi non paga più per il possesso ma una cifra per il suo valore d’uso, o la performance di questo. Ad esempio una società di servizi energetici chiede di pagare luci e altri servizi legati alle performance di consumo. Oppure si paga per la durata di uso, come per il car-sharing. Un fenomeno questo che ha visto lo sharing, ma anche sistemi di noleggio a lungo termine ibridi (come CarCloud di Leasys, che prevede una flotta al 75% elettrica o plug-in hybrid di auto condivise entro il 2024) ha visto numeri di crescita importanti, con picchi del 30% l’anno (ad eccezione del 2020, per ovvie ragioni).

Il caso emblematico di una lavatrice

Nel report di SystemiQ del settembre 2021, intitolato “XaaS Everything-as-a-service”, si illustra come la sostituzione del possesso dei grandi elettrodomestici al servizio, in particolare la lavatrice, possa ridurre l’impronta in termini di emissioni di CO2 del 24%, rispetto a una lavatrice media attualmente in uso. «Accanto ai benefici economici e ambientali, i ricercatori di SystemiQ evidenziano anche i potenziali benefici sociali del prodotto-come-servizio.

La democratizzazione del consumo, ad esempio. In quanto si dovrebbero ridurre i costi domestici (le lavatrici-come-servizio potrebbero far risparmiare ai consumatori tra 43 e 76 euro all’anno). Crescerebbe poi la creazione di valore e occupazione a livello regionale, migliorando gli impatti positivi sulla salute, connessi ad una migliore qualità dell’aria», spiega Antonella Totaro, giornalista di Materia Rinnovabile e ricercatrice in Innovation for the Circular Economy presso l’università di Torino.

Attenzione però: il prodotto-come-servizio non è di per sé circolare. Secondo un rapporto di Bcg (Boston Consulting Group) la vita media di uno scooter elettrico in sharing è di soli tre mesi. Misurando l’intero ciclo di vita, un viaggio in monopattino inquina quanto uno in auto. E nella sharing economy, mentre si elogiano Uber e Lift , i dati mostrano come nella sola San Francisco i servizi siano stati responsabili di un aumento del 50% del traffico tra il 2010 e il 2016.

I rischi e la necessità di ulteriori ricerche

Ci sono perplessità anche sul vestito-come-servizio. Un tempo erano gli abiti da sposa, costossisimi ad essere noleggiati. O i vestiti tecnici come i completi da sci. Oggi, con l’esplosione della subscription economy, ovvero gli abbonamenti mensili per ogni tipo di servizio, si è visto, analizzando il ciclo di vita (LCA) di un paio di jeans, come l’opzione del noleggio aveva emissioni di CO2 più alte rispetto al semplice buttare via i jeans (non sono però menzionati acqua e impatto sulla biodiversità).

Insomma, anche in questo caso c’è bisogno di tanta ricerca e accurate misurazioni. Ma per il mondo industriale il passaggio dal possesso all’uso da parte dei consumatori è un’opportunità immensa. Mantenere la proprietà significa poter gestire al meglio il prodotto a fine vita. Ricuperando i materiali più critici o attivando filiere di remanufacturing (la ricostruzione di un prodotto secondo le specifiche dell’originale, utilizzando una combinazione di parti riutilizzate, riparate e nuove) oppure di prodotti ricondizionati. C’è da scommettere che sentiremo molto parlare di questo modello. Sperando venga sfruttato al meglio e secondo le indicazioni degli esperti.

Fonte: Valori.it

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