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Euro: ancora in fasce a 20 anni dalla nascita e a 30 anni da Maastricht

Due anniversari passati un po’ in sordina che però devono diventare una occasione di riflessione sugli errori compiuti. Convincersi che è arrivata l’ora di cambi radicali, sulla base di quanto rimasto sospeso a Maastricht e richiamato di recente da diversi attori europei, da Macron a Draghi, da Scholz a Sanchez. L’opinione di Carmelo Cedrone

Euro: ancora in fasce a 20 anni dalla nascita e a 30 anni da Maastricht

Sembra ieri, eppure sono passati 20 anni dalla grande attesa dell’euro! Quanta curiosità, quante speranze aveva suscitato l’arrivo della nuova moneta.

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Sembra ieri, eppure sono passati 20 anni dalla grande attesa dell’euro! Quanta curiosità, quante speranze aveva suscitato l’arrivo della nuova moneta. Ma non solo. Aveva suscitato anche preoccupazioni. Cosa sarebbe successo ai cambi? Ai prezzi? Ai salari? All’economia?

Così, dopo un breve periodo di sbandamento e di incertezza, in cui sembrava che tutto fosse andato bene, noi italiani fummo costretti ad un risveglio amaro per come fu applicato il cambio e per gli effetti che man mano produsse sui prezzi. Assistemmo attoniti, a differenza di quanto avvenne negli altri paesi, praticamente al raddoppio dei prezzi di molti prodotti, a cominciare da quelli che costavano relativamente poco, come la frutta, le verdure, la pizza, la ristorazione, caffè e cappuccini, ecc.
La stessa cosa fecero i lavoratori autonomi e i professionisti. Tutto avvenne a parità di salari e stipendi, che naturalmente non furono raddoppiati, per cui ci fu un dimezzamento del potere d’acquisto di una gran parte della popolazione, in particolare lavoratori e pensionati, che si trovò impoverita, mentre altre categorie si arricchirono, raddoppiando le entrate, senza nemmeno pagare le tasse, perché tra di loro si annidavano e si annidano ancora molti evasori. Ci volle del tempo per metabolizzare quanto avvenuto. In particolare per comprendere gli effetti nefasti prodotti sul sistema economico, sulle disuguaglianze e sul tessuto sociale. Ma ormai era troppo tardi per intervenire. A nulla valsero le denunce dei sindacati e della Confindustria. Alla fine, dietro una campagna anestetizzante del governo Berlusconi, intento a privilegiare le categorie che più stavano beneficiando dell’euro, tutto si affievolì. Per un periodo rimasero solo i sindacati e l’Eurispes a protestare e denunciare quanto stava avvenendo. Ma fu del tutto inutile.

Ancora oggi, come Paese e come lavoratori dipendenti ne stiamo pagando le conseguenze, visto che i salari italiani sono ancora al di sotto di quelli di 20 anni fa, con conseguenze su tutto il sistema economico.  C’è stato un impoverimento generale del paese, il reddito medio è sceso di molto, ma la responsabilità non è stata dell’euro. È stata piuttosto della furbizia e del malcostume italico, unita all’ignavia ed alla pessima gestione che ne fece il governo, il Parlamento e la politica, la principale imputata di quanto avvenuto. I soliti limiti e il solito pressapochismo italiano, pagato a caro prezzo dal paese e da una gran parte della popolazione! In altri Paesi tentativi del genere furono repressi e bloccati sul nascere, per cui gli aumenti dei prezzi furono molto marginali.

Ma torniamo ai vent’anni dell’euro. Venti anni sono tanti. È il tempo necessario ad una persona per diventare adulta, ma né l’euro, né l’Eurozona, nata dieci anni prima, lo sono ancora diventati! Infatti in questi giorni ricorre anche il trentennale della firma del Trattato di Maastricht, quello che ha dato origine all’euro ed all’Uem, piena di buchi, di limiti. Nonostante ciò tutto è rimasto allo stato iniziale, a quel 7 febbraio 1992. L’Eurozona non è riuscita a crescere, a completare il suo percorso, a cambiare, per diventare adulta. Non ci sono riuscite, sinora, nemmeno le diverse crisi che nel frattempo l’hanno attraversata, in particolare quella finanziaria del 2008. Ci riuscirà quella attuale, del Covid-19?

Quello che più meraviglia, comunque, è che le due ricorrenze siano passate quasi inosservate da parte delle Istituzioni Europee, dei leader dei vari Paesi e della stampa. Se poi guardiamo, per quanto riguarda l’euro, alla rievocazione della presidente della Commissione e della presidente della Bce, c’è da rimanere allibiti o quanto meno increduli. Solo affermazioni generiche. Poche parole di circostanza legate ai ricordi di ognuna, e questo è bello, ma senza dire nulla sul merito, in particolare sui limiti che ancora affliggono l’eurozona, che lasciano l’euro nella tempesta dei mercati finanziari e non solo. Eppure la situazione in cui ci troviamo a causa della pandemia, dal punto di vista economico, sociale e sanitario, era ed è un’occasione da non perdere per discutere e superare i limiti attuali dell’Eurozona e dell’Euro. Il rischio reale è di assistere ad un altro rinvio, invece di approfittare della situazione che si è creata per colmare i limiti dell’Euro e dell’Uem. Ma forse è proprio questo che si vuole, nonostante l’euro nel 2008-2015 aveva già dimostrato praticamente tutti i suoi limiti rischiando il crollo, evitato solo dal coraggio di Draghi e della Bce, in assenza della politica.

Forse l’errore principale fatto sin dall’origine dell’Ue, è stato quello di non dare una base costituzionale all’Unione, prima di mettere in circolazione l’euro e fare l’allargamento ad Est. Bisognava insistere, anche dopo il fallimento del vertice di Nizza nel 2000, così come dopo il fallimento della Conferenza per un Trattato Costituzionale. Oppure rinviare l’entrata in funzione dell’euro. Infatti così come avvenuta, con la nascita dell’euro ci si limitò semplicemente a sostituire il nome del Marco e basta, lasciando tutto il resto immutato, con la promessa che si sarebbe provveduto di lì a poco, ma come abbiamo detto, non sono bastati né venti, né trent’anni per farlo. La conseguenza che gli squilibri economici e sociali preesistenti, invece di diminuire sono aumentati, perché i vantaggi e gli svantaggi dell’euro non sono stati distribuiti equamente tra i paesi. E non poteva essere diversamente in presenza di un sistema bancario separato, senza un mercato comune dei capitali che sono l’a, b, c di una moneta comune. Riforme poi avviate durante la crisi finanziaria precedente, ma rimaste al palo, come tutto il resto. È a ciò che occorre porre rimedio per recuperare l’entusiasmo iniziale con l’arrivo dell’euro.

Bisogna farlo subito per evitare un altro rischio a cui stiamo andando incontro, quello di un’amnesia generale, che ha fatto dimenticare a molti i limiti ed il vuoto che stavano e stanno dietro l’euro. Infatti da tempo sembra che l’unica questione dell’Eurozona sia quella del debito, intorno al quale è stato alimentato il dibattito in tutti questi anni, mentre sul resto è caduto il silenzio. Perché? È quello che sta avvenendo anche in questo periodo con la ripresa del confronto sul patto di stabilità, come se questo fosse l’unico problema dell’Eurozona, mentre è solo uno dei tanti, e certamente non il più importante.

Infatti il Patto andrebbe abolito, cambiando completamente i suoi connotati e la filosofia economica su cui si basa, per passare dalla politica di austerità a quella degli investimenti, dello sviluppo e dell’occupazione. È dentro questa nuova logica che va trovata una soluzione per il debito, quello dei Paesi, in particolare quello fatto per far fronte alla pandemia, sia quello comune che va potenziato per finanziare le politiche comuni di cui l’Unione si deve far carico. Ma per far questo l’Ue deve uscire da questa condizione di sospensione e di rinvii continui, per decidere cosa vuole essere, cosa vuol fare da grande, visto che tale è diventata. Trent’anni non sono pochi!

Perciò i due anniversari, quello di Maastricht e quello dell’entrata in circolazione dell’euro, al di là dell’illusione iniziale da parte di molti Paesi, devono diventare una occasione di riflessione sugli errori compiuti. Convincersi che è arrivata l’ora di cambi radicali, sulla base di quanto rimasto sospeso a Maastricht e richiamato di recente da diversi attori europei, da Macron a Draghi, da Scholz a Sanchez, ecc. approfittando dell’occasione offerta dalla Conferenza sul futuro dell’Europa. Sarebbe il modo migliore per celebrare l’anniversario dell’euro e di Maastricht, recuperando lo spirito con cui fu pensato e istituito nel ’92, facendolo diventare finalmente una moneta comune.

(1) Il cambio fissato era 1 euro pari a £ 1.936,27, che per facilitare i conti, veniva arrotondato a 2.000, ossia 1 euro = 2.000 lire. Levando gli zeri 1 = 2. Semplice. Per avere i prezzi in euro bastava levare gli zeri e dividere per due i prezzi precedenti in lire. Si sarebbe trattato di un piccolo arrotondamento, accettabile. Invece i commercianti fecero il contrario: passarono da 1=2 a 2=2, cioè due euro eguale a due mila lire, producendo un raddoppio netto dei prezzi perché, naturalmente, 2 euro erano pari a 4.000 lire!

Fonte: Formiche.net

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