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Perché il codice “green” salverà l’ambiente

Perché il codice “green” salverà l’ambiente

Streaming, social network e mail hanno un forte impatto sul nostro pianeta. La ricercatrice Boyd: «Dobbiamo pensare alle conseguenze di ciò che progra

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GBL_019-kjID-U1080986055336UkB-1024x576@LaStampa.itStreaming, social network e mail hanno un forte impatto sul nostro pianeta. La ricercatrice Boyd: «Dobbiamo pensare alle conseguenze di ciò che programmiamo»

Quanto inquina Internet? Ogni giorno utilizziamo tablet e smartphone per condividere informazioni, immagini e video, senza mai farci domande sull’impatto ambientale della Rete, preoccupandoci invece dei gigabyte che ci rimangono sul piano telefonico. La realtà però è che oltre a consumare dati, e-mail, social network e servizi di streaming consumano anche un bel po’ di energia: un’ora di Netflix alla settimana, ad esempio, ha lo stesso impatto di un freezer in un anno intero.

A lanciare, anzi, a ri-lanciare l’allarme è stata Danah Boyd, ricercatrice esperta di social network e big data che attraverso un post su Medium ha sottolineato l’importanza di un codice non solo funzionale ma anche “ecologico”. «Proviamo a pensare alla programmazione come se parlassimo di edilizia: anche nel mondo digitale costruiamo grattacieli, ponti e sistemi fognari – spiega la Boyd -. Solo che in questo caso la maggior parte degli operai in passato ha costruito giusto qualche casetta in legno. E non c’è neppure un ispettore addetto al controllo delle fondamenta». Il codice, il web e le app sono e saranno sempre più importanti in futuro, «ma dobbiamo iniziare a guardare sotto il cofano e pensare alle conseguenze di ciò che programmiamo», avvisa la ricercatrice statunitense.

Una nuvola di carbone

Oggi gran parte delle tecnologie funziona attraverso il cloud, la “nuvola” sulla quale si trovano i nostri dati, documenti, film, foto e canzoni, che così non occupano spazio sui dispositivi che utilizziamo ogni giorno. L’immagine di questo gigantesco nuvolone bianco però è ben lontana dalla realtà: il cloud non è altro che un gigantesco ammasso di server rinchiuso in una grande struttura chiamata “data center”. Ogni volta che guardiamo una serie tv in streaming o controlliamo la posta elettronica, lo smartphone si collega a uno di questi edifici per estrarre, in tempo reale, le informazioni di cui abbiamo bisogno. Uno scambio di dati spesso modesto, ma che moltiplicato su scala globale trasforma la nuvola bianca e soffice del cloud in un agglomerato di carbone e fuligine:secondo uno studio di Greenpeace, oggi i data center costituiscono il 20% del consumo di energia nel settore delle telecomunicazioni, a causa soprattutto deivideo, che nel 2018 varranno quasi l’80% del traffico generato da noi utenti. E nel 2017, nel peggiore dei casi, l’intero settore ICT potrebbe arrivare a consumare 3500 terawatt all’anno.

Apple “al verde”

Tra i giganti dell’hi-tech, il primo della classe è senza dubbio quello di Cupertino. Come riconosciuto anche dallo studio Clicking Clean di Greenpeace, il 100% delle strutture di Apple si basa interamente su energie rinnovabili come quella solare, eolica, idroelettrica e geotermica. Una strategia talmente efficiente che l’azienda guidata da Tim Cook ha dovuto creare una società ad hoc per rivendere l’energia prodotta in eccesso dai suoi campi di pannelli solari.

Subito dopo c’è Google, seguita a lunga distanza da Microsoft e Amazon, la vera maglia nera della classifica. Un problema non di poco conto, visto che moltissimi servizi, tra cui Netflix e AirBnb, utilizzano l’infrastruttura digitale chiamata Amazon Web Services, molto utilizzata a livello globale soprattutto per i prezzi competitivi. L’azienda di Bezos ha promesso che entro il 2016 i suoi data center saranno alimentati al 40% con energia verde, ma la crescita esponenziale del consumo di dati, che fino al 2020 raddoppierà ogni due anni secondo IDC, potrebbe vanificare in pochi mesi ogni buon proposito del gigante di Seattle.

Domande e risposte

Di fronte a un sistema così enorme e complesso, non esistono soluzioni preconfenzionate o formule salvifiche. L’unica cosa che possiamo fare, sottolinea Danah Boyd, è iniziare a farci domande. E, soprattutto, a pretendere risposte, chiare e trasparenti. «La tecnologia può darci la forza di fare cose incredibili, ma solo quando viene utilizzata in maniera responsabile – conclude la ricercatrice -. Il codice non è pura magia: senza un sistema di controlli e salvaguardie, può essere facilmente distorto e usato in maniera nociva. Dobbiamo cominciare a pensare ai costi sociali ed economici di tutto questo». Ovvero trasformarci tutti in piccoli grandi urbanisti. Della Rete, s’intende.

fonte La Stampa

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