Fonte: Formiche.net Con l’avvento del Gdpr è indiscutibile che abbiamo conosciuto una “nuova” privacy tutt’altro che esente da impatti – anche sign
Fonte: Formiche.net
Con l’avvento del Gdpr è indiscutibile che abbiamo conosciuto una “nuova” privacy tutt’altro che esente da impatti – anche significativi – sul business, soprattutto su quelli che hanno il loro valore più importante nell’utilizzo di un significativo volume di dati personali. Questo ha portato a un lungo dibattito sul fatto che tale protezione abbia potuto compromettere altri diritti, come ad esempio l’uso dei dati per scopi commerciali o scopi di ricerca scientifica e medica.
Recentemente, la Commissione europea ha dimostrato di riconoscere le limitazioni dell’attuale situazione, soprattutto con la nuova Strategia europea per i dati. Attualmente, il mercato unico digitale europeo è ancora lontano dall’essere completamente realizzato, con molte aziende statunitensi che sfruttano i dati personali degli europei senza contribuire in modo significativo all’economia dei dati europea. Questa nuova strategia, che include proposte normative, cerca di sfruttare i dati personali per favorire lo sviluppo del mercato europeo dei dati, promuovendo il loro flusso, scambio ed utilizzo a fini economici. Tuttavia, è essenziale trovare un equilibrio tra l’utilizzo dei dati per scopi diversi e la protezione dei diritti delle persone coinvolte, soprattutto quando l’intero business model della Internet come la conosciamo è legata al concetto di “freemium” e di supporto economico da parte del mondo pubblicitario: un mondo che per riuscire ad avere margini significativi deve concentrarsi su una personalizzazione spinta.
Ma il dibattito si è esteso. Negli anni successivi, infatti, è andato nella direzione di comprendere se la privacy sia un diritto fondamentale e pertanto inalienabile, oppure una potenziale merce di scambio. Come accaduto analogamente, in passato, al diritto di immagine, che ha lentamente trovato una sua collocazione giuridica anche nel mercato: inizialmente visto come un diritto della personalità non cedibile, non “mercificabile” per massima e integerrima tutela della dignità umana, si è arrivati a una giurisprudenza che ha ammesso la possibilità di autorizzarne l’uso parziale da parte altrui anche in cambio di un compenso, senza che oggi rappresenti un illecito né uno scandalo.
Tornando alla privacy, attualmente (si pensi ad esempio al tema cookie-paywall di molte testate giornalistiche) non è ben chiaro quale sarà l’esito finale di questa contrapposizione. È però plausibile che l’indirizzo normativo recente (che vuole incentivare i flussi, il riuso e lo scambio di dati anche personali, pensiamo al Data Governance Act) sia la spia di una strada ormai indirizzata ad ammettere, con limiti, un maggior e più libero impiego dei dati nell’Unione. Proprio per poter valorizzare le possibilità insite in essi, sia commerciali che sociali.
l tema è – come già accaduto con il diritto di immagine di cui parlavamo sopra – l’equilibrio e la volontà di non rinunciare alle sfide della società e dei mercati: trovare forme di delicato, difficile ma fruttuoso compromesso tra le varie istanze di utilizzo che la società e il commercio stanno già imponendo, rispetto al mantenimento di una tutela minima ma rigorosa dei diritti fondamentali. Diritti della persona che, comunque sia, ricordiamo non essere assoluti in ambito privacy, e quindi ben possono entrare in gioco di bilanciamento con altri come quelli di impresa o di ricerca.
L’AI moltiplica esponenzialmente tematiche non nuove e presenta pertanto criticità elevate, rischi elevati, ma ci tenta a chiudere un occhio (anche due, a volte) per quanto di enorme può contribuire a creare e supportare. In futuro, un compromesso potrebbe essere la possibile concessione d’uso dei dati personali da parte degli utenti per “training” ed estrazione di valore da soluzioni di AI, in cambio di una qualche forma di corrispettivo: non necessariamente o solo denaro, si può vedere anche in un’ottica di miglioramento e personalizzazione di determinati servizi (anche di tipo sanitario, per esempio). Allentare le maglie dei limiti applicabili ai dati personali è una strada, ma va accompagnata con grande attenzione alla difesa dei diritti delle persone. Ciò richiede, per attuare un sensato equilibrio, il contributo di più visioni, un dialogo tra stakeholder anche per una visione futura del mondo che si desidera, così da cercare di governarla.
In conclusione, non stiamo solo parlando di creare nuovi modelli di business, ma anche di proteggere la privacy delle persone. L’IA ha la capacità di estrarre valore dai dati molto più efficacemente rispetto ai metodi tradizionali e può trovare delle soluzioni interessanti, peraltro, per tutelare proprio la privacy (per es. dei dipendenti o di altri soggetti deboli o maggiormente vulnerabili). Allo stesso modo, se mal governata, può incidere in modo davvero negativo nei confronti della popolazione e violare sia la privacy che altri, importanti diritti fondamentali.
Ma non si parla solamente dei modelli di business legati alla pubblicità online: il grande “elefante nella stanza” è anche la conoscenza necessaria per alimentare l’addestramento delle intelligenze artificiali, che necessitano quantità astronomiche di dati per poter essere create: per questo Open AI (e non solo) ha preso tutti i dati che avevamo messo più o meno maldestramente in Rete (tramite la nota e “disinvolta” pratica del web-scraping) e li ha utilizzati tuttavia per fare training di un modello che potrebbe cambiare il mondo come lo conosciamo. I vantaggi e le potenzialità sono chiaramente immensi, per svariati ambiti, pubblici e privati, esattamente come lo sono, però, gli illeciti potenzialmente posti in essere. Non sarebbe stato possibile in qualche modo prevedere questo scenario, questi conflitti tra potenzialità e discipline vigenti – peraltro derivanti da criticità e violazioni noti da tempo, solo riuniti assieme e in una diversa scala – per intervenire con maggiore tempestività?
Solo ora, infatti, alcune autorità di controllo, a livello internazionale (di recente alcune si sono unite in un comunicato “globale” proprio su questo tema), stanno dando un giro di vite al problema del web-scraping, “minacciando” misure e controlli a carico dei siti web che avrebbero dovuto proteggere meglio i dati dei propri utenti: però il genio è già uscito dalla lampada. E sì che era noto come queste prassi fossero diffuse, come alimentassero enormi dataset illeciti e come potessero fornire così il materiale per “formare” i modelli algoritmici dell’AI.