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Scoperta una nuova cellula cerebrale che potrebbe cambiare il futuro delle neuroscienze

Scoperta una nuova cellula cerebrale che potrebbe cambiare il futuro delle neuroscienze

Fonte: Indipendente.online Nel cervello non ci sono solo neuroni o cellule della glia, ma anche una via di mezzo chiamata astrocita glutammatergico

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Fonte: Indipendente.online

Nel cervello non ci sono solo neuroni o cellule della glia, ma anche una via di mezzo chiamata astrocita glutammatergico. Un team internazionale di ricercatori dell’Università di Losanna, in Svizzera, e del Centro Wyss Bio e Neuroingegneria di Ginevra ha scoperto un nuovo tipo di cellula cerebrale fondamentale per il movimento, la memoria e l’apprendimento. Attraverso l’utilizzo di strumenti specializzati per analizzare l’espressione genetica, è stata trovata una sottopopolazione di particolari cellule chiamate astrociti glummatergici: una classe di cellule gliali (che svolgono cioè, tra le altre cose, funzioni immunitarie e di isolamento dei tessuti del cervello) che però possono anche rilasciare neurotrasmettitori, proprio come i neuroni. La scoperta apre nuove strade per la comprensione delle funzioni e delle disfunzioni cerebrali e, come dichiarano gli stessi autori dello studio, potrebbe portare allo sviluppo di trattamenti più precisi e mirati per le malattie al cervello.

Le cellule cerebrali sono divise da decenni in due categorie: i neuroni e le cellule gliali. I primi sono l’unità fondamentale di tutto il sistema nervoso: sono composti da una regione rigonfia che contiene il corpo cellulare (chiamato soma o pericario), dal quale si diramano numerosi filamenti chiamati neutriti, che possono raggiungere fino a un metro di lunghezza e trasmettono l’impulso alle altre cellule. Le cellule gliali (o della glia) invece, si occupano del mantenimento dell’omeostasi del sistema nervoso: hanno il compito di nutrire i neuroni, sostenere il loro metabolismo e assicurare l’isolamento dei tessuti svolgendo anche funzioni immunitarie. A differenza dei neuroni, le cellule gliali mantengono la capacità di riprodursi per mitosi e riescono così a garantire una corretta riparazione del tessuto nervoso danneggiato. La tipologia appena scoperta, invece, è quella degli astrociti glutammatergici: cellule cerebrali che, pur essendo tra i componenti della glia, presentano caratteristiche neuronali e sono in grado di mettere in circolo il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema centrale. Si tratta di una caratteristica mai osservata prima di questo studio, che pone questa nuova classe di cellule a metà tra le due categorie principali.

Le cellule individuate, come riportato dallo studio pubblicato su Nature, sono anche coinvolte nei processi di regolazione della forza di comunicazione tra neuroni e sono essenziali per il “potenziamento a lungo termine”, il meccanismo alla base dell’apprendimento. Ada Le donne, autrice dello studio, farmacologa e ricercatrice presso l’Università di Roma Tor Vergata e la Fondazione Santa Lucia IRCCS, ha dichiarato che «i risultati ottenuti dimostrano che gli astrociti glutammatergici influenzano l’attività neuronale, la neurotrasmissione e la plasticità sinaptica in importanti circuiti cerebrali, quali il circuito cortico-ippocampale e il sistema dopaminergico nigrostriatale, con implicazioni nella regolazione di processi di apprendimento e memoria, controllo del movimento, e insorgenza di crisi epilettiche». Il controllo del sistema dopaminergico nigrostriatale è anche fondamentale nella lotta alla malattia di Parkinson che solo in Italia colpisce circa 300.000 persone.

La scoperta apre la strada alla creazione di nuovi trattamenti neurologici che, visto il continuo sviluppo tecnologico del campo biomedico, si spera arrivino già nei prossimi anni. Questa settimana un’altra ricerca pubblicata su Science ha rivelato il meccanismo che porta alla morte delle cellule cerebrali durante l’Alzheimer e secondo la dottoressa Susan Kohlhaas dell’Alzheimer’s Research UK la scoperta «potrebbe aprire la strada a nuovi trattamenti per rallentare o addirittura fermare la progressione della malattia in futuro».

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